Il 24 maggio il segretario della Lega Matteo Salvini, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani si sono incontrati per un primo tavolo (definito «interlocutorio») sui candidati da presentare, insieme, alle elezioni comunali in autunno.
L’ultima volta che i leader del centrodestra si sono visti al completo – con Silvio Berlusconi collegato in video – era il 3 febbraio, nel periodo della formazione del governo Draghi, quando le strade dei tre partiti si sono divise: Lega e Forza Italia hanno deciso di entrare nella maggioranza del governo Draghi, Fratelli d’Italia ha scelto di rimanere all’opposizione.
Negli ultimi mesi, i rapporti fra gli alleati, nello specifico Lega e Fratelli d’Italia, non sono stati sempre cordiali. Nello sfondo c’è la competizione interna per i consensi: mentre il partito di Giorgia Meloni continua a crescere nei sondaggi, la Lega sta lentamente calando, rischiando di perdere la leadership della coalizione.
Una vicenda in particolare ha portato le due forze politiche allo scontro frontale: la contesa sulla presidenza del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Facciamo un punto sulla situazione all’interno del centrodestra.
Il Copasir e le opposizioni
Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) è un organo bicamerale, composto da cinque senatori e cinque deputati, che esercita la funzione di controllo parlamentare sui servizi segreti del nostro Paese. Da ottobre 2019 il presidente del Copasir è Raffaele Volpi, un deputato leghista.
Volpi è stato eletto quando il Carroccio era all’opposizione del governo Conte II, sostenuto da Pd e M5s. Come abbiamo spiegato di recente, infatti, le funzioni del Copasir sono regolate dalla legge 124 del 2007, in base alla quale il suo presidente «è eletto tra i componenti appartenenti ai gruppi di opposizione e per la sua elezione è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti».
Non si tratta di una semplice distribuzione di incarichi. Il Copasir è un organo di controllo sulle attività dell’intelligence italiana, la cui gestione è nelle mani della presidenza del Consiglio. Per questo motivo è importante che la commissione sia presieduta da un membro esterno alla maggioranza che sostiene l’esecutivo in carica.
Da quando a febbraio è nato il governo Draghi e la Lega è entrata a far parte della maggioranza, Fratelli d’Italia ha cominciato a chiedere che la presidenza del Copasir venisse assegnata al suo partito in quanto unica forza politica all’opposizione (fatta eccezione per alcune componenti dei gruppi misti di Camera e Senato). Nello specifico il nome di Fdi sarebbe quello del senatore Adolfo Urso, politico di lungo corso e già vicepresidente del Comitato.
Raffaele Volpi – e con lui il suo partito – ha rifiutato per settimane di lasciare il vertice della commissione. Secondo la Lega, la conferma di Volpi sarebbe stata legittimata da un precedente. Durante il governo Monti, nel 2011, Massimo D’Alema, eletto presidente del Copasir l’anno prima – quando Silvio Berlusconi era al governo e il Pd all’opposizione – mantenne l’incarico nonostante il suo partito fosse entrato nella nuova maggioranza a sostegno di un esecutivo tutto tecnico.
Tuttavia, in quel caso (un’eccezione più che la regola) D’Alema presentò regolarmente le sue dimissioni, ma fu riconfermato sulla base di un accordo fra tutti i partiti: compresa la Lega, in quella fase unica forza politica all’opposizione.
Le dimissioni di Volpi
Dopo un lungo braccio di ferro fra i due alleati, il 20 maggio il presidente Volpi si è dimesso dal Copasir, e con lui il secondo membro leghista della commissione, il senatore Paolo Arrigoni. La decisione è arrivata quando i parlamentari di Pd e M5s hanno annunciato che non avrebbero partecipato ai lavori del comitato finché non si fosse risolto il nodo della presidenza. Le dimissioni, dunque, non sono state l’esito di una trattativa politica, bensì una contromossa alle azioni degli altri gruppi politici.
La Lega, infatti, ha chiesto con una nota le dimissioni di tutti gli altri componenti e ha richiesto «l’integrale applicazione della legge 124 del 2007 che prevede l’assegnazione all’opposizione di 5 (cinque) componenti su 10 (dieci) tra cui poter scegliere l’eventuale presidente».
Più precisamente, la legge 124 del 2007 – la stessa che, come abbiamo visto, assegna la presidenza all’opposizione – prevede che la composizione del Copasir venga decisa «in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, garantendo comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni». I due aspetti sembrerebbero in parte incompatibili: se cinque membri fossero assegnati alla maggioranza e cinque all’opposizione, la rappresentanza sarebbe sì «paritaria», alla lettera, ma sarebbe molto lontana dal rappresentare una proporzione fra i gruppi.
La polemica su Urso
I toni dello scontro non si sono placati negli ultimi giorni. Anzi, la Lega ha attaccato duramente Adolfo Urso, che Fratelli d’Italia vorrebbe “promuovere” dal ruolo attuale di vice a quello di presidente del Copasir. Matteo Salvini ha detto che il suo partito non voterà mai «un amico dell’Iran e un nemico di Israele» per l’incarico.
Secondo il Corriere della sera, i leghisti contesterebbero a Urso la partecipazione nella Italy World Service, società di consulenza che ha lavorato con alcune aziende italiane anche in Iran. Urso è fondatore dell’azienda, come ha scritto nel suo profilo Linkedin.
Secondo quanto ha riportato il Corriere della sera, ha lasciato il ruolo di rappresentante legale della società ma ha mantenuto le quote, attività non in contrasto con il regolamento del Senato (Palazzo Madama, del resto, non ha un Codice di condotta per i senatori – tema di cui si era molto parlato in relazione alla vicenda degli affari di Matteo Renzi in Arabia Saudita). Il senatore di FdI ha fatto sapere di aver lasciato il ruolo di legale rappresentante al figlio, Pietro Urso, che però non viene mai citato nel documento di presentazione dell’azienda, fra i pochi materiali presenti sul sito.
«Mi può dispiacere che alcuni esponenti dei nostri alleati abbiano parole così dure verso di noi che non hanno neanche verso Pd-M5s – ha commentato Giorgia Meloni intervistata da Radio 24 – ma non alimento la polemica e non voglio arrivare a questo livello».
Per quanto i leader di centrodestra abbiano sempre smentito pubblicamente le difficoltà all’interno della coalizione, secondo la stampa, il braccio di ferro sul Copasir – non ancora risolto – ha reso più faticose le trattative per la ricerca di candidati comuni alle amministrative in autunno.
Lo stallo sulle comunali
Il 24 maggio i leader del centrodestra si sono visti di persona per la prima volta dopo tre mesi e mezzo di confronti a distanza e dichiarazioni a mezzo stampa per fare il punto sulle candidature da presentare alle comunali in autunno.
Nel corso dell’incontro non è stata raggiunta un’intesa definitiva su nessuna delle città al voto. L’unica certezza è che «il centrodestra correrà unito in tutte le città che andranno al voto», come hanno sottolineato i partiti in una nota congiunta alla fine del vertice.
Nel comunicato è stato annunciato un altro vertice fra una settimana perché «sul tavolo ci sono molti profili, alcuni inediti che si sono fatti avanti recentemente».
Per respingere la narrazione dei difficili rapporti all’interno della coalizione, i leader hanno messo l’accento sul «clima di grande collaborazione» puntualizzando che «lo stesso non si può dire del fronte opposto, dal momento che Pd e Cinquestelle non sono stati capaci di raggiungere un accordo e si presenteranno divisi agli elettori con progetti disomogenei».
Al confronto non si sarebbe però toccato l’argomento – ancora divisivo – della presidenza del Comitato per la sicurezza della Repubblica: «Non abbiamo parlato di Copasir, oggi solo comuni», ha detto Matteo Salvini lasciando il vertice.
Per quanto riguarda la ricerca dei nomi per le amministrative, l’obiettivo dichiarato della coalizione è ora quello di trovare candidati civici, «rappresentanti del mondo del lavoro e delle professioni», che più facilmente possano attirare voti trasversali soprattutto se arrivassero al ballottaggio.
Dopo i (ripetuti) rifiuti dell’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso per Roma e di Gabriele Albertini per Milano, ex sindaco della città, sono emersi altri nomi, non confermati dai leader. Per la Capitale sarebbe gradito, in particolare a Fratelli d’Italia, il profilo di Enrico Michetti, avvocato e professore di diritto, ma anche opinionista con una certa popolarità della radio locale Radio Radio. Fra i papabili milanesi ci sarebbe invece Annarosa Racca, presidente di Federfarma Lombardia (che ha però subito commentato: «Ci sono tanti nomi, non solo il mio. Sono decisioni ancora premature»).
Sono invece sempre più solide le candidature su cui il centrodestra dovrebbe puntare a Torino e a Napoli. Nel capoluogo piemontese, già da dicembre è in campo un candidato civico, l’imprenditore del vino (Barolo) Paolo Damilano, su cui i partiti della coalizione si sono gradualmente trovati d’accordo.
A Napoli invece il candidato dovrebbe essere il magistrato Catello Maresca, sostituto procuratore della città. Maresca non ha ancora ufficializzato la candidatura, ma ha chiesto al Consiglio superiore della magistratura l’aspettativa per motivi elettorali. Intervistato dal quotidiano Domani, il pm ha rifiutato la definizione di “candidato del centrodestra”, rivendicando il proprio come un «progetto civico».
Lega vs. FdI
Un altro tema si intreccia a ognuna di queste questioni: la competizione fra Lega e Fratelli d’Italia. Secondo i sondaggi, ormai da mesi il partito di Giorgia Meloni continua a crescere, mentre quello di Matteo Salvini sta lentamente calando, fiaccato anche dalla partecipazione al governo Draghi che lo costringe, in una certa misura, a moderare i toni.
Secondo la supermedia del 21 maggio di Youtrend – una media delle rilevazioni settimanali degli istituti statistici Demos, Emg, Piepoli, Swg, Tecnè – la Lega sarebbe al 21,5 per cento dei consensi, in calo di 3 punti rispetto a due settimane fa. Fratelli d’Italia sarebbe invece in crescita al 18,7 per cento, appena pochi decimali meno del Partito democratico, al 19,4 per cento. Dietro a Fratelli d’Italia c’è poi il Movimento 5 stelle, stimato al 17,2 per cento.
«Io non sto azzannando il partito di Salvini, ma il M5s e il Pd che sono entrambi stati superati da FdI secondo alcuni sondaggi», ha commentato Giorgia Meloni, intervistata da Radio 24. «Questa rivalità forzata tra Lega e FdI a me non appassiona e non appartiene – ha aggiunto – Io credo che la sfida sia crescere tutti insieme». L’argomento tuttavia non è secondario, considerata la regola interna al centrodestra secondo cui, alle elezioni, il primo partito della coalizione esprime il premier di un eventuale, successivo governo.
Per quanto negata, la competizione fra i due partiti è un dato di fatto. E non mancano le frecciatine fra i due leader. Il 21 maggio, il segretario della Lega Matteo Salvini, a una domanda su un possibile sorpasso di Fratelli d’Italia sul suo partito nei sondaggi, ha risposto con sarcasmo: «E se sbarcano gli alieni? Ci porremo il problema quando sbarcheranno e penso non sbarcheranno da qui a breve».
Intanto Meloni, nelle librerie con l’autobiografia Io sono Giorgia, sta costruendo la propria leadership, senza escludere che la destinazione sia la presidenza del Consiglio. «Io mi preparo a governare la nazione – ha detto in un’intervista a Mezz’ora in più su Rai3 – ma il punto d’arrivo non lo decido io. Io sono pronta ad assumermi le responsabilità che gli italiani mi chiederanno di assumere. Se non fosse così, perché farei politica?».
Governo Meloni
Il “Taglia leggi” del governo Meloni non convince tutti