Una volta per tutte: la velocità dei vaccini dipende soprattutto dalle dosi

Ansa
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Il dibattito sulla velocità della campagna vaccinale italiana è spesso viziato da un errore di prospettiva: quello secondo cui, con la giusta organizzazione, si potrebbe arrivare a numeri molto più consistenti rispetto a quelli che in realtà si riescono a somministrare. In realtà si dimentica una variabile che è ancora più importante: quanti vaccini abbiamo a disposizione.

Da quando è iniziata la campagna vaccinale anti-Covid, uno dei temi di maggiore dibattito in Italia riguarda l’efficienza del nostro Paese nelle vaccinazioni. L’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi non ha fatto altro che aumentare le discussioni su questo punto.

Da un lato molti politici – tra cui Matteo Renzi – ripetono che il costante aumento delle somministrazioni sia merito del nuovo governo e del commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo. Dall’altro lato, come abbiamo sottolineato di recente, va detto che gli obiettivi fissati dal commissario sono stati finora sistematicamente disattesi.

Al di là delle valutazioni politiche, cerchiamo di capire una volta per tutte perché la velocità delle vaccinazioni in Italia (ma anche nei grandi Paesi Ue) continua a dipendere – come già valeva per il precedente governo – soprattutto dal numero di dosi di vaccino che settimanalmente sono consegnate dalle case farmaceutiche.

Dosi e vaccinazioni in Italia

Vediamo in primo luogo perché è importante guardare al fattore “autonomia” dei vaccini, ossia a quanti vaccini rimangono da utilizzare una volta arrivate le nuove dosi, per poi analizzare il fattore delle tempistiche delle consegne.

Quanta autonomia abbiamo

Nell’ultima settimana in Italia sono state somministrate in media ogni giorno 460 mila dosi di vaccino contro la Covid-19, superando la soglia delle 500 mila vaccinazioni in due giorni: il 6 e il 7 maggio. Oltre un quarto degli italiani ha ricevuto almeno una dose, dato che sale all’80 per cento tra gli over 70.

Al 10 maggio in Italia è stato usato l’88 per cento delle dosi consegnate. Se si dovesse proseguire con la media di vaccinazioni tenuta nell’ultima settimana, senza ulteriori consegne si potrebbero fare ancora sette giorni di vaccinazioni e poi ci si dovrebbe fermare.

Ci sono comunque differenze nell’utilizzo dei vaccini, che aumentano a loro volta di regione in regione. Per il vaccino Pfizer l’attuale autonomia sarebbe di soli tre giorni (al momento le dosi utilizzate sono al 97 per cento); con Moderna si potrebbe andare avanti ancora per 14 giorni (ne è stato utilizzato il 74 per cento); con AstraZeneca le disponibilità permetterebbero invece di andare avanti ancora per 14 giorni (la percentuale utilizzata delle consegne è del 78 per cento).

Il vaccino monodose sviluppato da Johnson & Johnson invece è stato utilizzato solo per il 50 per cento delle dosi, con alcune regioni che non hanno ancora somministrato alcuna dose. Senza altre consegne si avrebbe un’autonomia di altre due settimane.

Il Grafico 1 mostra, partendo dall’inizio della campagna vaccinale, per quanti giorni si sarebbe potuto ancora vaccinare con le sole scorte nelle date in cui sono state consegnate le nuove dosi dei tre vaccini [1].
Il grafico mostra la forte variabilità che c’è tra Pfizer, Moderna e AstraZeneca.

Le somministrazioni con Pfizer sono quelle più legate alla disponibilità di dosi. Nelle ultime settimane, quando sono arrivate le nuove consegne, le scorte avrebbero permesso un’autonomia di solo uno o due giorni. Per quanto riguarda Moderna e AstraZeneca, la disponibilità delle dosi avrebbe invece permesso di andare avanti ancora per circa dieci giorni.

La campagna vaccinale in Italia è dipendente in gran parte proprio dal vaccino Pfizer, in quanto al momento rappresenta quasi il 70 per cento delle vaccinazioni fatte. Una maggiore efficienza nell’utilizzo di questo vaccino permette complessivamente una buona velocità nelle somministrazioni, anche se sugli altri i ritmi sono meno costanti.

Quanto contano le tempistiche nelle consegne

La disparità nell’utilizzo dei vaccini può essere parzialmente spiegata dalla regolarità delle consegne.

Come mostra sempre il grafico precedente, negli ultimi due mesi solo Pfizer ha garantito consegne regolari il martedì o mercoledì di ogni settimana. Questo ha permesso alle regioni di calibrare le prenotazioni e garantire così di arrivare al giorno della consegna con poche dosi rimaste. Le curve mostrano anche come l’efficienza nell’utilizzo di Pfizer sia migliorata nel tempo.

AstraZeneca e Moderna sono invece sensibilmente meno costanti nelle consegne delle dosi. AstraZeneca consegna ogni 10-15 giorni e ogni volta le dosi sono in numero diverso. Anche Moderna consegna in modo più sporadico, ma le dosi aumentano progressivamente e ultimamente sembra essere diventata più regolare.

Ogni tanto alcune consegne sembrano arrivare un po’ a sorpresa. Tra fine aprile e inizio maggio AstraZeneca ha consegnato all’Italia 1,8 milioni di dosi, ma le regioni se ne attendevano di meno (anche se, ricordiamo, che l’azienda ha più volte tagliato il numero di dosi da consegnare all’Ue). Il 25 aprile la Regione Piemonte aveva infatti comunicato di attendersi per quattro giorni meno di 10 mila dosi che a livello nazionale sarebbero state 130 mila. Secondo fonti stampa, quella consegna era inizialmente attesa per il 3 maggio e sembra quindi essere stata anticipata.

Per AstraZeneca bisogna anche tenere conto della confusione normativa che a metà marzo ha portato alla sospensione del vaccino per sospetti casi di trombosi e ai cambi delle fasce di età vaccinabili (prima il vaccino era consigliato solo i più giovani, ora solo i più anziani).

La non regolarità nelle consegne è in generale il principale ostacolo a qualsiasi programmazione nelle vaccinazioni. Per evitare di rimanere scoperta, di recente la stessa Regione Piemonte ha deciso di somministrare meno prime dosi di AstraZeneca e tenere più scorte per i richiami, che stanno iniziando in questi giorni. Una decisione simile era stata presa anche dalla Lombardia il 25 aprile, anche se poi la regione ha cambiato programmi grazie all’arrivo delle nuove dosi.

Dosi e vaccinazioni in Europa

Un altro modo per valutare l’efficienza della campagna vaccinale italiana è confrontare i nostri dati con quelli degli altri grandi Paesi dell’Unione europea: Germania, Francia e Spagna. Le dosi tra gli Stati membri sono infatti distribuite in proporzione alla popolazione.

Ad oggi l’Italia ha somministrato un numero di dosi pari al 38 per cento della popolazione, una percentuale leggermente più alta della Francia (36 per cento), ma un po’ più bassa di Spagna e Germania (entrambe al 41 per cento). Si tratta comunque di percentuali molto simili tra di loro.

Anche i tassi di vaccinazione giornalieri sono più o meno abbastanza in linea. Nell’ultima settimana l’Italia ha vaccinato in media ogni giorno lo 0,71 per cento della popolazione, la Spagna lo 0,77 per cento, la Germania lo 0,8 per cento e la Francia lo 0,6 per cento. Il trend italiano è comunque in crescita, mentre quelli di Spagna e Germania stanno rallentando.

Se la disponibilità di dosi non fosse il principale ostacolo, ci attenderemmo ritmi di vaccinazione ben diversi tra loro, in quanto i Paesi più efficienti staccherebbero i meno efficienti. Invece tutti gli indicatori sono più o meno allineati.
In conclusione

Il ritmo delle vaccinazioni in Italia continua a dipendere in gran parte dalla disponibilità di dosi, in particolar modo da quelle di Pfizer. La costanza delle consegne nelle date e nelle dosi permette una migliore organizzazione e di essere più efficienti nell’utilizzo, cosa che attualmente garantisce solo Pfizer.

I ritmi di vaccinazione europei sono inoltre molto simili tra di loro, un’ulteriore evidenza che il principale limite all’immunizzazione di massa resta sempre la disponibilità di dosi.



[1] Abbiamo escluso il vaccino Johnson & Johnson perché ad oggi non c’è ancora stata una seconda consegna.

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