L’Italia riapre, ma morti e ricoverati sono vicini a quelli della seconda ondata

Ansa
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I dati in breve:

• Da settimane i contagi sono in calo, ma restano al livello di fine ottobre, quando è iniziata la seconda ondata. Per la prima volta dall’inizio dell’epidemia il Sud è l’area più colpita del Paese.

• Negli ospedali la situazione migliora, ma resta peggiore di quella di dicembre, in particolare per quanto riguarda le terapie intensive.

• Ci sono ancora oltre 300 morti al giorno, con un miglioramento al Nord e maggiore stabilità al Centro e al Sud.

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Da oggi quasi otto italiani su dieci torneranno a vivere in zona gialla. Solo Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata e Valle d’Aosta restano in arancione, mentre l’unica regione in rosso è la Sardegna.

Ad oggi qual è la situazione dell’epidemia in Italia, tra contagi, ricoverati e morti? Rispetto alla seconda ondata di autunno siamo messi meglio? Abbiamo analizzato che cosa dicono i numeri: ci sono elementi incoraggianti, ma ancora tanti indicatori suggeriscono che i rischi restano alti.

Da oltre un mese i nuovi casi sono in calo costante, ma il miglioramento è stato minore al Sud, dove oggi si concentrano le regioni in arancione. Lo stress sugli ospedali sta scendendo, ma i ricoverati in intensiva, per esempio, restano a livelli da seconda ondata. I morti invece sono al livello di inizio dicembre.

Come stanno andando i contagi

Nelle ultime settimane si è osservato un progressivo miglioramento della situazione epidemiologica nel nostro Paese, dopo il peggioramento registrato tra fine febbraio e inizio marzo a causa della cosiddetta “variante inglese”.

Tra il 19 e il 25 aprile in Italia si sono registrati poco più di 92 mila casi. Nelle due settimane precedenti erano stati 100 mila e in quelle ancora prima 136 mila, 145 mila e 153 mila.

Il miglioramento non è però stato uniforme. Se si confrontano le quattro macroaree che dividono l’Italia, i casi sono scesi in particolar modo nel Nord-Est e nel Nord-Ovest, mentre al Centro il miglioramento è più contenuto. Nelle regioni meridionali invece c’è stazionarietà e per la prima volta dall’inizio della pandemia questa è la zona più colpita del Paese. Si tratta infatti dell’unica macroarea dove giornalmente si registrano ancora, in media mobile, più di 25 casi ogni 100 mila abitanti.

Facendo un confronto con il periodo autunnale, in questo momento i casi in Italia sono al livello di fine ottobre, quando però la situazione si stava deteriorando. Solo al Sud i livelli sono più simili a quelli di novembre, quando venne introdotto il sistema a colori.

Qual è l’andamento del tasso di positività

Come abbiamo sottolineato più volte in passato, affinché la situazione migliori è necessario che, oltre al calo dei casi, vi sia anche una discesa del tasso di positività dei tamponi, ossia il rapporto tra i nuovi casi e i nuovi tamponi effettuati. Se questo indicatore rimane troppo elevato, vuol dire che quasi certamente molti casi non vengono diagnosticati.

Da metà gennaio nel conteggio nazionale dei tamponi sono stati aggiunti anche i tamponi antigenici, accanto ai classici molecolari. Gli antigenici, noti anche come “test rapidi”, sono meno affidabili di quelli molecolari, ma permettono di avere una diagnosi in pochi minuti. Confrontare il tasso di positività attuale con quello del passato è complicato proprio per via dell’aggiunta dei tamponi antigenici che, avendo aumentato notevolmente il denominatore, hanno causato un crollo del tasso di positività generale.

Guardando ai soli tassi di positività dei tamponi molecolari osserviamo che c’è stato un netto calo nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, dove rispetto al momento peggiore si sono quasi dimezzati (passando dal 12-13 per cento al 6-7 per cento), mentre al Centro e al Sud il calo è più contenuto. Nelle regioni meridionali il tasso di positività complessivo è ancora superiore al 10 per cento, mentre in quelle centrali è sceso dal 10 al 7 per cento.

I dati aggregati possono nascondere importanti differenze. Ad esempio in Emilia-Romagna, in Friuli-Venezia Giulia e nelle Marche si è assistito a un forte e progressivo calo, mentre in Veneto la discesa è molto più contenuta. In diverse regioni, come Basilicata, Calabria, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia e Valle d’Aosta, è ancora sopra il 10 per cento, un livello troppo alto.

Come per i casi, anche per il tasso di positività ci troviamo a un livello simile a quello di fine ottobre. Tutte le macroaree, tranne il Sud, sono messe meglio rispetto a dicembre.

La situazione negli ospedali

A livello ospedaliero si sta registrando un progressivo miglioramento, anche se le strutture sanitarie rimangono sotto forte stress. I dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) mostrano che i ricoverati nelle tre aree mediche – pneumologia, malattie infettive e medicina generale – occupano il 32 percento dei posti disponibile, così come quelli in terapia intensiva.

Va sempre considerato che i tassi di occupazione si riferiscono al numero di persone positive al Sars-CoV-2 ricoverate e non tengono conto invece dei posti letto normalmente occupati da chi ha altre malattie.

Anche qui, come detto, la situazione sta migliorando. A livello nazionale i ricoverati nelle aree mediche sono circa 21 mila e nel momento peggiore della terza ondata sono arrivati a essere quasi 30 mila, mentre a novembre furono 34 mila. In terapia intensiva ci sono circa 2.900 persone ricoverate; i massimi livelli durante la seconda e terza ondata sono stati circa 3.800.

Disaggregando per macroaree si ha, come per gli altri indicatori, un miglioramento particolarmente pronunciato nel Nord e una situazione di stazionarietà nel Sud. Nonostante la discesa comunque i posti occupati in relazione alla popolazione rimangono sensibilmente migliori nelle regioni meridionali piuttosto che in quelle settentrionali. La macroarea con il maggior numero di pazienti ricoverata è il Nord-Ovest.

A differenza dei casi e dei tassi di positività, negli ospedali la situazione è ancora peggiore di quella che si registrava a dicembre, in particolar modo per quanto riguarda le terapie intensive che rimangono a un livello più elevato.
Da dicembre disponiamo anche dei numeri degli ingressi in terapia intensiva, indicatore che permette di valutare meglio l’andamento ospedaliero. A livello nazionale negli ultimi giorni ci sono stati in media 170 ingressi giornalieri contro gli oltre 270 della prima metà di marzo, dove vi furono picchi di 320.

Le quattro macroaree hanno un livello degli ingressi in terapia intensiva simile negli ultimi giorni, seppur ci siano differenze di andamento. Al Nord si è assistito a un’importante riduzione con un dimezzamento degli ingressi, al Centro sono diminuiti ma in misura minore e al Sud il calo è solo degli ultimi giorni.

I decessi migliorano, ma restano alti

Anche i decessi stanno scendendo: sono passati da quasi 500 in media mobile a sette giorni nella prima metà aprile a circa 320 in questi ultimi giorni. Sono comunque ancora a un livello maggiore di quello che si aveva quando la situazione è tornata a peggiorare.

Le macroaree hanno livelli simili di decessi, ma con andamenti diversi. Al Nord si è assistito a un miglioramento, mentre al Centro e al Sud a una tendenziale stazionarietà.

Gli effetti delle vaccinazioni sono ancora poco evidenti perché possono servire fino a 30-35 giorni per osservare un effetto e a metà marzo era stato vaccinato solo il 35-40 per cento degli over 80. L’età mediana dei decessi comunicata dall’Istituto superiore di sanità (Iss) rimane alta, anche se c’è un leggero miglioramento.

Nel confronto con la seconda ondata vediamo che i decessi sono ancora a un livello superiore rispetto a quando è cominciata la terza ondata, ma inferiore a quello che si è avuto a dicembre. Complessivamente sono al livello di inizio novembre.

In conclusione

L’epidemia di Sars-CoV-2 in Italia sta migliorando, anche grazie alle misure restrittive a cui sono state soggette tutte le regioni. I casi stanno scendendo, così come il tasso di positività.

Gli ospedali si stanno svuotando, seppur rimangono ancora sotto stress, e i decessi stanno diminuendo. Ma i livelli rimangono vicini a quelli della seconda ondata. Il miglioramento riguarda in particolar modo il Nord e il Centro, mentre la situazione al Sud rimane più stazionaria, motivo per il quale diverse regioni sono ancora in zona arancione.

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