La strada del ddl Zan contro l’omotransfobia continua ad essere accidentata. La Lega, in contrasto con le altre forze della maggioranza, fa di tutto perché l’esame del provvedimento in Commissione non proceda – e per farlo adotta strategie che, come sottolineano i partiti favorevoli al ddl Zan, violano i regolamenti del Senato. Ma il problema di fondo non è di regolamento: è il disaccordo politico. Veniamo agli avvenimenti degli ultimi giorni.
Il 20 aprile l’Ufficio di presidenza della commissione Giustizia di Palazzo Madama – composto da dal presidente e i suoi vice – era chiamato a decidere sulla calendarizzazione del provvedimento richiesta dai rappresentanti dei gruppi. Ma la riunione si è di nuovo conclusa in un nulla di fatto.
Il presidente della commissione, il senatore leghista Andrea Ostellari ha chiesto che sulla questione si esprimano i capigruppo della maggioranza, nonostante il regolamento del Senato preveda un iter differente.
Al centro della questione, al di là delle procedure, rimane una questione di natura politica. Il provvedimento, approvata alla Camera quando c’era ancora il governo Conte bis, appoggiato da Pd, M5s, Leu e Iv, ora si trova a dover fare i conti con una maggioranza assai più ampia. E di cui fa parte anche la Lega, fra i più convinti oppositori del ddl Zan.
Vediamo che cos’è successo e che cosa, invece, avrebbe previsto il regolamento del Senato.
La decisione di Ostellari
Il 20 aprile l’Ufficio di presidenza della commissione Giustizia del Senato – l’organismo che riunisce il presidente e i suoi vice – è stata convocato per stabilire con i rappresentanti dei gruppi la programmazione dei lavori per le prossime settimane.
I capigruppo in commissione di Partito democratico, Movimento 5 stelle, Liberi e uguali e Italia viva hanno di nuovo richiesto la calendarizzazione del ddl Zan contro l’omotransfobia e degli altri 4 testi collegati sul tema.
Nell’ultimo mese – lo ricordiamo – l’inizio dell’esame è stato più volte rinviato, l’ultima volta per un intoppo tecnico, ovvero la necessità che il testo del ddl Zan, già approvato alla Camera, venisse abbinato ad altri quattro disegni di legge sulla stessa materia.
Superati questi problemi formali, sembrava che non ci fossero altri impedimenti alla calendarizzazione. Invece, anche il 20 aprile il presidente della commissione Andrea Ostellari non ha voluto inserire l’esame dei testi contro l’omotransfobia nella programmazione dei lavori e ha chiesto che la questione sia discussa dai capigruppo del Senato.
«Prendo atto della spaccatura fra i rappresentati dei gruppi di maggioranza in commissione e segnalo come questa renda impossibile procedere serenamente con i lavori – ha commentato Ostellari in una nota – per questo chiedo un confronto politico sul metodo ai presidenti dei gruppi del Senato». Secondo il senatore leghista, «disegni divisivi come il ddl Zan non possono rallentare l’agenda della maggioranza».
Al di là della legittima posizione politica della Lega, molti parlamentari del Pd e del M5s hanno fatto notare che in questo caso il presidente Ostellari si è spinto oltre, ignorando il regolamento del Senato.
«In assenza di qualunque aggancio al regolamento del Senato il Presidente Ostellari ha forzato nuovamente la mano sulla calendarizzazione del ddl Zan, questa volta appellandosi addirittura ai presidenti dei gruppi parlamentari della maggioranza che sostiene il governo», ha scritto la senatrice Monica Cirinnà su Facebook, augurandosi un intervento della presidente del Senato Casellati.
In effetti, come abbiamo spiegato di recente, il regolamento del Senato prevederebbe una procedura differente da quella seguita da Ostellari.
Secondo una piccola nota del regolamento di Palazzo Madama (art. 29), «in mancanza di accordo in sede di ufficio di presidenza» (allargato ai rappresentanti dei gruppi) «sul programma e sul calendario dei lavori delle commissioni, la decisione definitiva in materia va rimessa al plenum della commissione», dunque a tutti i membri che ne fanno parte. Ma in commissione i numeri per approvare la calendarizzazione del ddl Zan ci sarebbero – i partiti a favore (Pd, M5s, Leu, Iv e Autonomie) sommati insieme corrispondono alla maggioranza che sosteneva il precedente governo Conte II prima che Italia viva si sottraesse e l’esecutivo entrasse in crisi – e dunque Ostellari non ha voluto sottoporre la questione al voto.
In più, «non spetta ai capigruppo di maggioranza decidere sul calendario della commissione», ha spiegato a Pagella Politica il senatore Pd Franco Mirabelli.
«Il presidente Ostellari ha fatto una forzatura dilatoria, ma non potrà essercene un’altra, io credo che si procederà alla calendarizzazione», ha aggiunto Mirabelli.
Contattato da Pagella Politica, il senatore Ostellari ha rifiutato, tramite l’ufficio stampa della Lega, di rilasciare dichiarazione sul tema.
Il nodo politico
Il tema, il 21 aprile, è stato discusso anche dall’aula del Senato. Dagli interventi è emerso con chiarezza il nodo politico intorno alla vicenda di calendarizzazione: si rischia una spaccatura, anche grave, all’interno della maggioranza.
«Andare avanti con temi divisivi vuol dire avvelenare il clima nel Parlamento e mettere a rischio una situazione già difficile tra noi – ha detto il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo – Ognuno si prenda le proprie responsabilità di fronte al governo e al presidente Mattarella». Secondo Romeo, il presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe richiesto espressamente ai capigruppo di maggioranza di «accantonare tutto ciò che ha significato un marcare la differenza tra i vari partiti negli ultimi venti anni».
Da Forza Italia, per voce della capogruppo Anna Maria Bernini, è invece arrivato l’invito a «non andare avanti a forza di colpi di mano» – riferito alla possibilità che il calendario venga imposto da un voto in commissione – e a fare invece «una riunione di maggioranza» per decidere insieme.
Il giorno stesso, nel pomeriggio, si è tenuta una riunione dei capigruppo di Palazzo Madama, di nuovo conclusa con una fumata nera.
I rappresentanti di Pd, M5s, Leu e Italia viva hanno chiesto ancora la calendarizzazione dei disegni di legge contro l’omotransfobia, ma la Lega si è di nuovo detta contraria. Nonostante ciò, dal Partito democratico garantiscono che spingeranno di nuovo per l’avvio dell’esame del testo in occasione del prossimo ufficio di presidenza della commissione Giustizia.
«Noi voteremo contro quella richiesta – ha replicato Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Senato – Se si spaccherà la maggioranza, ognuno se ne assumerà la responsabilità».
Durante la riunione dei capigruppo, Romeo, a nome della Lega, ha proposto di lasciarsi alle spalle il ddl Zan e presentare un nuovo disegno di legge sui diritti civili, firmato da tutti i partiti, «che aumenti le pene per chi discrimina non solo per via dell’orientamento sessuale, senza i riferimenti alla fluidità di genere, ai reati di opinione e alle scuole». La proposta, secondo quanto ha riferito il capogruppo Romeo sarebbe stata bocciata dai partiti a favore del ddl Zan, che hanno intenzione di continuare l’iter con il testo già approvato alla Camera.
A complicare il quadro, la posizione espressa in aula dal capogruppo di Italia Viva Davide Faraone, secondo cui «il ddl Zan può essere trattato, trovando condivisione tra le forze, con le proposte di modifica che anche noi vogliamo avanzare». Se il testo del ddl a prima firma del deputato Pd Alessandro Zan venisse modificato, un eventuale via libera del Senato non rappresenterebbe l’approvazione definitiva e il provvedimento dovrebbe ripassare alla Camera per un terzo passaggio. Allungando troppo i tempi, secondo il Partito democratico.
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