Vendola esagera sulla lingua russa “fuorilegge” in Ucraina

Secondo l’ex presidente della Regione Puglia, un provvedimento di Volodymyr Zelensky sarebbe tra le cause della guerra con la Russia, ma la realtà è più complessa
ANSA
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Il 7 settembre, durante un intervento alla Festa dell’Unità di Bisceglie, l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha parlato delle cause che, a suo avviso, hanno portato allo scoppio della guerra in Ucraina e al conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza.

«Noi dobbiamo soprattutto analizzare politicamente il giorno prima di ogni catastrofe», ha dichiarato Vendola (min. 49:47), che alle prossime elezioni regionali in Puglia sarà candidato con Alleanza Verdi-Sinistra. «Il giorno prima dell’invasione dell’Ucraina e il giorno prima del 7 ottobre» 2023, giorno dell’attacco di Hamas contro Israele.

Parlando della guerra in Ucraina, Vendola ha sostenuto che prima dell’invasione russa la NATO avrebbe iniziato «a girare e a danzare attorno alla Russia» e «a fare le proprie provocazioni», «cooptando nell’Alleanza tutti i vicini della Russia». Ha aggiunto che, nell’anno precedente allo scoppio della guerra, la NATO avrebbe compiuto «manovre ultra provocatorie», riferendosi alle esercitazioni militari organizzate dall’Alleanza in Ucraina nel 2021. Secondo la NATO, però, quelle manovre erano state pensate per rafforzare la difesa dei Paesi più vicini al confine russo.

Vendola ha inoltre indicato tra le cause della guerra una decisione presa dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. «Zelensky aveva messo fuorilegge la lingua russa, provocando una reazione di dolore delle minoranze russofobe [sic!], che ci sono soprattutto nel Donbass», ha dichiarato Vendola.

Le parole del candidato di Alleanza Verdi-Sinistra sono state criticate da più parti, perché ricalcano le motivazioni portate avanti dalla Russia per invadere il Paese confinante. In questo fact-checking ci concentriamo solo sulla seconda parte delle sue dichiarazioni, quella relativa alla messa al bando della lingua russa in Ucraina. In breve, la ricostruzione fatta da Vendola è esagerata, anche se la questione linguistica della minoranza russa nelle regioni orientali del Paese esiste. 

La legge sulla lingua

L’affermazione dell’ex presidente della Puglia lascia intendere che, prima dell’inizio della guerra nel febbraio 2022, ai cittadini ucraini di lingua russa fosse stato vietato parlare russo, che radio e televisioni in quella lingua fossero state chiuse o che libri e giornali in russo non potessero più essere diffusi. Nulla di tutto questo è accaduto, anche se è vero che sono state introdotte numerose limitazioni all’uso del russo e che la questione linguistica è storicamente uno dei nodi del contendere principali nelle regioni più vicine alla Russia.

Ad aprile 2019 è entrata in vigore in Ucraina una legge che mirava a promuovere nei contesti pubblici l’uso della lingua ucraina, unica lingua ufficiale dello Stato, limitando al contempo l’uso del russo. All’epoca il presidente era Petro Porošenko, non Zelensky, che sarebbe diventato presidente il mese successivo. 

Tra l’altro lo stesso Zelensky all’epoca aveva sollevato alcuni dubbi sulla legge, che è stata poi modificata all’inizio del 2022. Dopo l’entrata in vigore di alcune norme di quella legge sull’uso dell’ucraino sulla stampa, alcune organizzazioni internazionali tra cui Human Rights Watch avevano parlato di «preoccupazioni» per i diritti linguistici della minoranza russa.

La norma prevedeva, tra le altre cose, che chi volesse ottenere la cittadinanza dovesse conoscere la lingua ucraina; che autorità e funzionari pubblici la usassero nei loro atti; che agli studenti fosse garantito l’insegnamento dell’ucraino, e alle minoranze linguistiche anche quello della propria lingua madre; che le testate giornalistiche cartacee pubblicassero i contenuti anche in lingua ucraina (un quotidiano in russo poteva continuare a uscire solo se i testi fossero disponibili anche in ucraino); che le televisioni riservassero gran parte della quota prestabilita di programmazione alla lingua ucraina nelle fasce orarie centrali della giornata; e via dicendo, altri provvedimenti simili. In ogni caso la norma non interveniva sull’uso privato della lingua, che restava libero nella vita quotidiana.

Questa legge seguiva un’altra legge controversa, approvata nel 2012 durante la presidenza di Viktor Janukovyč. Quest’ultimo aveva consentito alla lingua russa di diventare lingua regionale nelle zone dove era parlata da oltre il 10 per cento della popolazione, permettendone l’uso in scuole, tribunali e istituzioni pubbliche, con conseguente riduzione del ruolo dell’ucraino. La legge era stata revocata nel 2014, dopo la fuga di Janukovyč in seguito alle proteste di piazza Euromaidan e alla sua destituzione da parte del Parlamento, e nel 2018 era stata dichiarata incostituzionale.

La legge del 2019, dunque, puntava a rafforzare la lingua ucraina nelle istituzioni e nei media, riducendo lo spazio del russo, molto diffuso in Ucraina specie nelle regioni orientali. Per capire il contesto, va ricordato che nel 2014 la Russia aveva occupato la Crimea e ampie zone del Donbass, un’area abitata da molte persone russofone – cioè che parlano il russo come lingua principale – e non «russofobe», come ha detto Vendola, termine che indica invece chi prova ostilità o paura nei confronti dei russi. Negli anni seguenti la Russia ha continuato gli attacchi militari contro l’Ucraina, sostenendo i gruppi separatisti.

In conclusione, indipendentemente dalle opinioni sulle politiche linguistiche ucraine, è esagerato affermare che l’Ucraina abbia «messo fuori legge» la lingua russa prima dell’inizio della guerra. Una legge, approvata quando Zelensky non era ancora presidente, ha però imposto dei limiti all’uso del russo nei contesti pubblici.

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