Il fact-checking di Orsini sulla guerra in Ucraina

Da settimane le posizioni del professore della Luiss sono criticate. Abbiamo verificato: alcune sono basate su fatti, altre meno
Alessandro Orsini, ospite a Piazzapulita su La7
Alessandro Orsini, ospite a Piazzapulita su La7
Nell’ultimo mese, dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il professor Alessandro Orsini, direttore e fondatore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale dell’università Luiss di Roma, è stato più volte criticato per le sue posizioni sulla guerra in corso, ritenute eccessivamente vicine al presidente russo Vladimir Putin e alla Russia. Di recente la Rai ha deciso di non dare seguito a un contratto con Orsini, che è spesso ospite in programmi televisivi, per partecipare al programma Cartabianca su Rai3. 

Orsini esprime opinioni legittime e punti di vista personali basati sulla sua esperienza e sulle sue conoscenze. Ma i fatti che ci stanno dietro sono solidi? Abbiamo verificato quattro dichiarazioni che il professore ripete spesso sia in tv sia sui quotidiani per sostenere le proprie posizioni. Alcune sono basate sui fatti, altre meno.

Le sanzioni contro l’Arabia Saudita sui bambini uccisi

Secondo Orsini, le sanzioni occidentali contro la Russia non stanno funzionando e rischiano solo di peggiorare il conflitto. La sua proposta ribadita più volte, per esempio nel suo primo articolo per Il Fatto Quotidiano del 18 marzo, è quella di legare l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia al numero di bambini uccisi dai russi in Ucraina. Ciò sarebbe in linea con quanto fatto dalle Nazioni unite, secondo Orsini, contro l’Arabia Saudita nella guerra in Yemen.

Il professore della Luiss ha sostenuto più volte, per esempio a Piazzapulita su La7, che nel 2016 l’Onu abbia inserito l’Arabia Saudita in una «lista nera», per poi toglierla nel 2020 quando il numero di bambini morti è calato, per effetto delle misure introdotte dal regime saudita. Secondo Orsini, una misura simile andrebbe introdotta anche contro la Russia. 

Di recente, questa ricostruzione dei fatti è stata contestata da diverse parti, come il direttore del quotidiano Domani Stefano Feltri e il ricercatore dell’Istituto degli studi di politica internazionale (Ispi) Matteo Villa

Come stanno le cose, dunque?

A giugno 2020, come ha ricordato Orsini, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha rimosso in effetti la coalizione militare araba guidata dall’Arabia Saudita in Yemen dalla cosiddetta “lista nera” dei Paesi che uccidono, attaccano o abusano dei bambini. Nel 2019, spiegava la relazione del segretario generale dell’Onu, la coalizione araba aveva ucciso 222 bambini in Yemen, un dato in calo rispetto ai 510 uccisi nel 2015, numero che aveva spinto l’allora segretario Ban Ki-moon a inserire la coalizione nella “lista nera”. Dunque è vero che nell’intervallo citato da Orsini il numero dei bambini uccisi dall’Arabia Saudita e i suoi alleati in Yemen è calato, rimanendo comunque su numeri molto alti. Ma la parte che non torna nel ragionamento di Orsini è quella delle sanzioni. 

Come ha spiegato per esempio il New York Times a giugno 2020, commentando la rimozione dell’Arabia Saudita dalla “lista nera” (scelta molto criticata da diverse organizzazioni internazionali), «il rapporto dell’Onu non sottopone a sanzioni i Paesi inseriti nella lista, ma piuttosto punta a disonorare le parti coinvolte nel conflitto con la speranza di spingerle a implementare misure per proteggere i bambini».

L’audizione in Senato del 2018

Nei suoi interventi, Orsini ripete spesso di aver previsto in passato l’invasione russa dell’Ucraina, citando una sua audizione alla Commissione Affari esteri del Senato del 4 dicembre 2018. «Nel dicembre del 2018 ho detto che a un certo punto la Russia avrebbe invaso l’Ucraina», ha dichiarato Orsini, per esempio (min. 1:19:40) durante una sua ospitata a Cartabianca. È davvero così?

Ospite oltre tre anni fa in Senato, Orsini aveva presentato una relazione sul futuro dei rapporti tra Italia e Russia. Qui, tra le altre cose, nell’analizzare i fronti di possibile scontro tra Stati Uniti e Russia, Orsini aveva scritto che all’epoca «l’unico fronte davvero pericoloso» era «quello ucraino», rispetto a quelli in Corea del Nord e Siria. 

Nel chiedersi che cosa Putin intendeva fare in Ucraina, Orsini presentava «due tesi»: «Una afferma che Putin intende attaccare; l’altra afferma che non vuole farlo». Il professore però non si identificava in una di queste due posizioni, bensì in una terza: «Sostengo che, in questo momento, Putin non ha ancora definito una strategia precisa ed è in una fase in cui sta cercando di raccogliere informazioni sulle intenzioni del blocco occidentale», scriveva Orsini nella sua relazione. «Noi ci chiediamo che cosa Putin voglia fare in Ucraina, mentre Putin si sta domandando che cosa intendiamo fare noi».

Dunque è vero che Orsini, già a dicembre 2018, aveva colto il grave rischio di un possibile conflitto tra Russia e Ucraina, senza però esserne così certo come dà a vedere in queste settimane. 

A margine, quell’intervento permette di notare che Orsini, su un punto importante, sembra aver cambiato idea: concludeva infatti la sua relazione scrivendo che ​​in quel momento le sanzioni contro la Russia – il cui inasprimento è oggi criticato da Orsini – fossero «lo strumento migliore per frenare l’impeto di Putin ed evitare un’ondata di sanzioni ancora peggiore».

Le esercitazioni della Nato in Ucraina

Nel ricercare le cause dell’invasione russa dell’Ucraina, Orsini ha elencato in più occasioni quelle che lui ha definito «tre gigantesche esercitazioni militari» della Nato in Ucraina. Queste tre si sarebbero tenute a giugno, luglio e settembre 2021, dunque a pochi mesi dall’inizio dell’attuale conflitto. È vero in effetti che diversi membri della Nato hanno condotto operazioni militari congiunte con l’Ucraina lo scorso anno. 

La prima operazione, chiamata in inglese Sea breeze (“Brezza marina” in italiano), si è tenuta nel Mar Nero tra la fine di giugno e inizio luglio 2021, con la partecipazione di 30 Paesi, con circa 5 mila soldati, 32 navi e 40 aerei. Non si è trattato di una vera e propria esercitazione solo della Nato, ma di alcuni membri della Nato (tra cui gli Stati Uniti) e altri Paesi alleati nella zona, come la stessa Ucraina. La Russia, per voce del suo Ministero della Difesa, aveva annunciato all’epoca che avrebbe reagito nel caso in cui la sua sicurezza nazionale fosse stata minacciata.

La seconda operazione si è tenuta invece a fine luglio 2021 nella regione di Leopoli, nell’Ucraina occidentale, e ha visto coinvolti, oltre all’Ucraina e agli Stati Uniti, anche Polonia e Lituania. Anche in questo caso l’operazione, chiamata in inglese Three swords (“Tre spade” in italiano) vedeva dunque coinvolti alcuni membri della Nato.

Infine, la terza operazione – chiamata in inglese Rapid trident (“Tridente rapido” in italiano) – è iniziata il 20 settembre 2021 nella base militare di Yavoriv, vicino a Leopoli (di recente bombardata dai russi), con la partecipazione congiunta di truppe ucraine, degli Stati Uniti e di alcuni Paesi membri della Nato. 

A inizio dello scorso gennaio, le esercitazioni degli Stati Uniti e altri alleati con l’Ucraina sono stati al centro delle trattative tra l’amministrazione statunitense di Joe Biden e la Russia, che da mesi stava già concentrando migliaia di soldati al confine ucraino.

L’andamento demografico della Russia

Una delle argomentazioni più usate da Orsini nei suoi interventi riguarda l’interpretazione delle intenzioni di conquista che nelle ultime settimane sono attribuite al presidente russo Vladimir Putin. «Io voglio dimostrarvi che non è vero che Putin intenda conquistare la Polonia e che intenda ricostruire l’impero», ha dichiarato per esempio Orsini il 17 marzo, ospite a Piazzapulita su La7. Tra le altre cose, il professore della Luiss ha sostenuto che «la Russia ha un forte calo demografico», un fattore che, a detta sua, non permetterebbe a Putin di avere un esercito in grado di ricostituire l’Unione sovietica. 

Al di là delle reali possibilità di conquista russe dei Paesi limitrofi e della volontà di ricostituire un “impero”, questione troppo complessa per essere analizzata in un fact-checking e in larga parte inverificabile, vediamo che cosa dicono le statistiche sulle nascite in Russia.

Secondo i dati più aggiornati della Banca mondiale, nel 2019 il tasso di fertilità russo (ossia il numero di nascite per donna) era pari a 1,5, in calo rispetto all’1,8 circa del 2015. Per avere un ordine di grandezza, nel 2019 la Cina aveva un tasso di fertilità dell’1,7, più o meno stabile dall’inizio degli anni Novanta ad oggi. Intorno all’1,7 sono anche gli Stati Uniti, mentre l’Unione europea si aggira intorno all’1,5, cifra vicina a quella russa.

È vero dunque che in base ai dati più recenti la Russia ha registrato un calo demografico, ma con Putin al potere la tendenza rispetto al passato si era invertita. Nel 1999 il tasso di natalità russo aveva infatti raggiunto un valore pari quasi a 1, per poi risalire rapidamente nei 15 anni successivi. Dall’inizio di questo millennio, però, la popolazione della Russia è passata da oltre 147 milioni a circa 144,5 milioni, dopo essere scesa sotto quota 143 milioni nel 2008.

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