Come la vendita di San Siro è diventata un caso politico

Dalle tensioni in consiglio comunale alle accuse incrociate tra alleati, la vicenda dello stadio ha diviso la politica milanese, e non solo 
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Due settimane dopo il via libera del consiglio comunale di Milano alla vendita dello stadio di San Siro alle società sportive di Inter e Milan, la vicenda è tornata al centro del dibattito politico. L’11 ottobre il Tribunale amministrativo regionale (TAR) della Lombardia ha respinto la richiesta presentata da alcuni comitati cittadini di sospendere temporaneamente l’attuazione della delibera che autorizza la vendita.

I comitati avevano chiesto di bloccare la cessione dello stadio in attesa dell’udienza sul ricorso da loro presentato contro l’abbattimento di San Siro, per evitare che la vendita rendesse di fatto irreversibile il progetto di demolizione. Secondo i giudici, però, non sussistevano i presupposti di «estrema gravità ed urgenza» necessari per bloccare gli effetti del provvedimento. La decisione del TAR consente quindi al Comune di proseguire l’iter verso la cessione definitiva dello stadio.

Nonostante questo passaggio giudiziario, il futuro di San Siro resta da mesi uno dei temi più divisivi della politica milanese, capace di creare fratture non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche all’interno delle stesse coalizioni. Durante la votazione in consiglio comunale, infatti, la maggioranza di centrosinistra non si è presentata compatta: alcuni consiglieri che sostengono il sindaco Giuseppe Sala hanno votato contro la delibera, approvata il 17 settembre dalla giunta comunale. Anche nel centrodestra non c’è stata unità di intenti: i partiti di opposizione si sono divisi, e questo ha permesso al provvedimento di passare.

Il confronto politico non si è limitato al merito della vendita, ma ha toccato questioni più ampie: dall’impatto ambientale del progetto all’idea di sviluppo economico della città. Le trasformazioni previste per San Siro hanno così messo in evidenza differenze profonde nelle priorità politiche delle forze milanesi e, in parte, anche di quelle nazionali.

Un percorso accidentato

Il cammino che ha portato alla decisione di vendere lo stadio è stato lungo e tortuoso. Tutto è cominciato nell’estate del 2019, quando Inter e Milan hanno presentato al sindaco Sala una proposta per costruire un nuovo impianto nel quartiere di San Siro. Negli anni successivi, i due club hanno ribadito più volte la volontà di abbattere lo stadio esistente, mentre Sala ha cercato di convincerli a ristrutturarlo. Ne sono seguiti dibattiti, polemiche e ricorsi: da una parte chi sosteneva la necessità di un nuovo stadio moderno, dall’altra chi chiedeva di salvaguardare quello storico.

Dopo il rifiuto dei due club di accettare l’ipotesi di ristrutturazione, il Comune ha avviato la procedura di vendita dell’impianto e delle aree circostanti. Le due squadre hanno presentato un’offerta formale a marzo, con l’obiettivo di chiudere l’operazione entro il 10 novembre, prima che scattasse il vincolo storico-culturale della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Comune di Milano. Settanta anni dopo il collaudo del 1955, infatti, il secondo anello dello stadio non avrebbe più potuto essere demolito, come invece previsto dal progetto presentato da Inter e Milan. 

L’ultima tappa di questo percorso si è svolta in consiglio comunale lo scorso settembre. Dopo una seduta di oltre undici ore, la cessione di San Siro è stata approvata con 24 voti a favore, 20 contrari e 2 astenuti. La maggioranza si è spaccata: sette consiglieri – tre del Partito Democratico, tre di Europa Verde e uno del gruppo misto – hanno votato contro la delibera, mentre uno si è astenuto. Anche nel centrodestra la spaccatura è stata evidente. Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro, mentre tre dei quattro consiglieri di Forza Italia hanno lasciato l’aula prima del voto, abbassando il quorum e rendendo così possibile l’approvazione.

Europa Verde si oppone

Tra le forze più critiche della maggioranza sulla vendita di San Siro c’è Europa Verde. Già dopo l’approvazione della delibera in giunta, la consigliera Francesca Cucchiara aveva definito il provvedimento «una cosa pensata male e fatta peggio». Il partito ha contestato anche i tempi ristretti imposti al consiglio comunale, che avrebbe avuto «al massimo dieci giorni per decidere», a fronte dei mesi concessi a Milan e Inter per elaborare la proposta.

La tensione è cresciuta durante la seduta del 29 settembre, quando è stato approvato il cosiddetto emendamento “tagliola” del Partito Democratico, che ha permesso di andare al voto senza discutere tutti i 239 emendamenti presentati, compresi quelli di Europa Verde. «Avete compresso il dibattito democratico in tutti i modi possibili», ha dichiarato Cucchiara in aula.

Dopo il voto, la frattura si è allargata. Il consigliere di Europa Verde Carlo Monguzzi si è dimesso dalla presidenza della Commissione Ambiente e Mobilità e ha annunciato ricorso contro la delibera. «Lo strappo dell’altra notte fatto da una parte della maggioranza è stato micidiale», ha detto. La permanenza degli altri due consiglieri di Europa Verde nella maggioranza è oggi incerta.

Le tensioni hanno attraversato anche il Partito Democratico. Nei giorni precedenti alla votazione, tre consiglieri del partito si erano espressi pubblicamente contro la delibera, mentre altri due avevano esitato a lungo. Tra questi, Monica Romano ha annunciato il suo voto favorevole solo poche ore prima del voto. Alessandro Giungi, uno dei primi a opporsi, ha definito il provvedimento «un errore politico clamoroso». Sulla stessa linea Angelo Turco, secondo cui le criticità del piano erano «insuperabili» e le perplessità diffuse nel PD.

Le polemiche non si sono spente neppure dopo l’approvazione della delibera. Il 3 ottobre Sala ha difeso la scelta del Comune, dicendo di non avere «timore a dire che lo stadio ha i suoi anni» e di considerarsi «coraggioso» per aver voluto affrontare il tema della sicurezza dell’impianto. Le sue parole hanno irritato diversi esponenti del Partito Democratico milanese. La capogruppo Beatrice Uguccioni ha replicato che «parlare di coraggio al singolare è offensivo» e ha invocato «un cambio di passo sul metodo». La vendita di San Siro – ha scritto – «ha lasciato un segno profondo nella maggioranza che governa la città».

Il lasciapassare di Forza Italia

Se il centrosinistra ha mostrato divisioni interne, anche il centrodestra non è apparso compatto. Durante la votazione, Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro la vendita, ma Forza Italia ha scelto una strada diversa: tre consiglieri hanno abbandonato l’aula, mentre uno solo ha espresso voto contrario. Questa decisione, che ha permesso di approvare la delibera, è stata duramente criticata dagli alleati. «Forza Italia, sullo stadio a Milano, ha rotto il fronte in maniera sbagliata», ha commentato Ignazio La Russa, presidente del Senato.

Il leader della Lega Matteo Salvini ha definito la scelta «sbagliata perché gli assenti hanno sempre torto», mentre la vicesegretaria leghista Silvia Sardone ha accusato Forza Italia di aver fatto da «stampella» al PD. Da parte sua, il deputato di Forza Italia Alessandro Sorte ha difeso la decisione del suo partito: «Sei in consiglio comunale per amministrare o per urlare? Se vuoi amministrare, devi ragionare». Sorte ha sostenuto che, con il voto sulla delibera su San Siro, Forza Italia ha «certificato la fine dell’attuale maggioranza e del progetto del cosiddetto “campo largo”» a Milano, e che così «ha salvato la città» dal declino.

I temi che dividono

Le spaccature emerse nel voto riflettono visioni diverse del futuro di Milano, e dietro la discussione sulla vendita di San Siro ci sono temi più ampi: il modello di sviluppo economico, la tutela ambientale e la conservazione del patrimonio cittadino.

Europa Verde, per esempio, sostiene che la demolizione dello stadio «cancella in un colpo solo anni di sforzi climatici». Il partito proponeva invece di ristrutturare l’impianto, evitando un intervento così impattante. Anche alcuni consiglieri del Partito Democratico contrari alla delibera condividono questa preoccupazione: «Il verde nell’operazione di vendita sarà l’ultima cosa che verrà realizzata», ha detto Angelo Turco, ricordando che i lavori avranno «connotati faraonici» e tempi lunghi.

Il Partito Democratico, nella sua posizione ufficiale, ha invece difeso la delibera, sostenendo che garantirà «un nuovo stadio moderno e ingenti risorse per il quartiere e per tutta la città». Una visione simile a quella di Forza Italia, che considera l’investimento da 1,2 miliardi di euro un’occasione di rilancio economico e di riqualificazione urbana. «Perdere questa opportunità sarebbe imperdonabile», ha dichiarato Gianluca Comazzi, consigliere comunale e assessore regionale. Anche Letizia Moratti ha parlato di una «visione di futuro» in gioco per Milano.

Lega e Fratelli d’Italia, pur favorevoli in passato alla costruzione di un nuovo impianto, oggi si oppongono all’abbattimento di San Siro, che considerano un simbolo identitario. La Russa ha proposto di costruire il nuovo stadio accanto a quello esistente, mentre il leghista Fabrizio Cecchetti ha spiegato che il suo partito ha votato contro per difendere «la storia e l’identità di Milano».

In definitiva, il confronto su San Siro va oltre una semplice scelta amministrativa. È diventato il terreno su cui si misurano due idee diverse di città: da un lato chi vede nel nuovo stadio un’occasione di sviluppo e modernizzazione, dall’altro chi teme la perdita di un luogo simbolico e un intervento dannoso per l’ambiente.

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