Tecnici al potere: che cosa rende l’Italia un’eccezione europea

Ansa
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Aggiornamento 10 febbraio, ore 9:30 – I due studiosi Valbruzzi e McDonnell hanno aggiornato il loro conteggio dei governi tecnici nell’Ue, includendo anche gli anni dal 2014 al 2020. Gli esecutivi a guida tecnica sono così saliti da 24 a 31, contando per l’Italia sia un eventuale governo Draghi sia entrambi i due governi di Giuseppe Conte. Ricordiamo che il presidente del Consiglio dimissionario è entrato a Palazzo Chigi da tecnico, ma durante le elezioni del 2018 era stato indicato dal Movimento 5 stelle come futuro ministro della Pubblica amministrazione in caso di vittoria al voto.

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Il 4 febbraio il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha iniziato le sue consultazioni, che dureranno fino a sabato 6 febbraio. Negli incontri con i vari schieramenti politici, l’ex presidente della Banca centrale europea dovrà capire se un suo governo avrà il supporto di una maggioranza all’interno del Parlamento.

Negli ultimi giorni, diversi quotidiani italiani hanno fatto notare che un eventuale esecutivo Draghi sarebbe il quarto governo tecnico della storia repubblicana italiana, dopo quelli di Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994), Lamberto Dini (1995-1996) e Mario Monti (2011-2013)

Ma il ricorso a esecutivi tecnici è una caratteristica tutta italiana? O ci sono altri esempi simili in giro per l’Europa? La risposta in breve è che un po’ di compagnia ce l’abbiamo, ma non dagli altri grandi Paesi europei.

Che cos’è un governo tecnico

Prima di fare i conti, bisogna rispondere a una domanda di partenza tutt’altro che semplice, come hanno sottolineato Duncan McDonnell, professore alla Griffith University in Australia, e Marco Valbruzzi, politologo dell’Istituto Cattaneo, in uno dei più citati studi sul tema (pubblicato nel 2014).

Il punto di partenza è infatti stabilire che cosa si intende per “governo tecnico” e qui subentra una certa dose di arbitrarietà, un po’ come avviene quando bisogna classificare i diversi sistemi parlamentari in giro per il mondo (ne abbiamo parlato qui). Sulla base della letteratura scientifica in materia, i due ricercatori hanno individuato le condizioni che, secondo loro, un esecutivo deve rispettare per essere considerato un “governo tecnico” nel senso stretto del termine.

Da questo punto di vista, il punto di riferimento per definire il “governo tecnico” è un teorico esecutivo in cui il primo ministro e tutti i ministri non provengono da partiti e in cui le decisioni politiche non sono prese e promosse dai partiti, ma, appunto, dai tecnici. Con “tecnico”, si intende, sempre secondo McDonnell e Valbruzzi, una persona che non ha ricoperto incarichi politici con uno specifico partito e che ha una competenza specifica riconosciuta e direttamente collegata al suo incarico di governo. In poche parole: una figura come Mario Draghi – o Mario Monti prima di lui – è l’esempio perfetto del tecnico.

Diverse composizioni...

Il problema è che non tutti i governi tecnici lo sono allo stesso modo: quella che abbiamo vista sopra è una definizione molto rigida e possono esserci molte sfumature tra i diversi casi concreti, per esempio sulla composizione e sul tipo di provvedimenti che può prendere.

Vediamo un esempio, restando alle vicende del nostro Paese. Il governo Ciampi – allora ex governatore della Banca d’Italia – è diverso dagli altri due governi tecnici, quelli di Dini e Monti, perché aveva 14 membri dell’esecutivo provenienti dai partiti e 11 tecnici. Gli altri due erano invece composti soltanto da tecnici.

Sulla base di queste differenze di composizione dei governi, McDonnell e Valbruzzi hanno individuato 24 esecutivi tecnici saliti al potere tra il 1945 e il 2013 negli Stati membri dell’Ue. Oltre ai già citati tre italiani, ce n’erano stati cinque in Grecia e in Romania, tre in Bulgaria e Finlandia, due in Repubblica Ceca e Portogallo e uno in Ungheria (Tabella 1). Nessun governo tecnico c’è dunque stato negli altri quattro grandi Paesi europei: Francia, Spagna, Germania e Regno Unito.
Tabella 1. Governi tecnici tra il 1945 e il 2013 in Europa – Fonte: McDonnell, Valbruzzi 2014
Tabella 1. Governi tecnici tra il 1945 e il 2013 in Europa – Fonte: McDonnell, Valbruzzi 2014

… e diversi poteri

Un altro elemento che differenzia i vari governi tecnici, oltre a quello della composizione dei membri dell’esecutivo, riguarda il loro mandato. Alcuni governi tecnici, infatti, hanno avuto per esempio il ruolo di traghettare un Paese verso elezioni, cosa non avvenuta con Ciampi, Dini e Monti in Italia, che hanno avuto invece il compito, tra le altre cose, di attuare riforme di un certo peso.

Incrociando questi due elementi – composizione del governo e tipo di potere ricevuto – McDonnell e Valbruzzi hanno ottenuto quattro categorie di governi tecnici (Tabella 2).
Tabella 2. Le quattro tipologie di governo tecnico – Fonte: McDonnell, Valbruzzi 2014
Tabella 2. Le quattro tipologie di governo tecnico – Fonte: McDonnell, Valbruzzi 2014
Un primo tipo di governo tecnico è un esecutivo formato a maggioranza da tecnici, con compiti non gravosi, ma di mantenimento dello status quo. Sono i cosiddetti nonpartisan caretaker (che si potrebbe tradurre come “gestori imparziali”): hanno una vita abbastanza breve e fino al 2013 nell’Ue ce ne sono stati 11 su 24, la categoria più numerosa.

I governi partisan caretaker (“gestori di parte”)sono invece quegli esecutivi tecnici, con membri per la maggior parte provenienti da partiti politici e senza il mandato di fare riforme importanti. In totale questi sono stati zero: seppure non si possano escludere in linea di principio, sono infatti i governi tecnici che hanno meno ragion d’essere.

Tra gli esecutivi che hanno invece il mandato di intervenire con forza sulla vita politica di un Paese, ci sono due tipi di governo tecnico, ed entrambi li abbiamo visti nella distinzione tra Ciampi e Dini-Monti. I primi sono chiamati da McDonnell e Valbruzzi technocrat-led partisan government (“governi tecnocratici di parte”), perché sono governi a maggioranza politica guidati da un tecnico (ce ne sono stati 7 esempi fino al 2013 nell’Ue). I secondi sono i cosiddetti full technocratic government (“governi tecnocratici puri”), l’apoteosi della tecnicità perché hanno la maggioranza dei ministri tecnici (e in alcuni casi il 100 per cento): ce ne sono stati sei fino al 2013, di cui due in Italia, uno in Bulgaria, uno in Ungheria, uno in Romania e uno in Repubblica Ceca.

Se il governo Draghi diventerà realtà, sicuramente rientrerà in uno di queste ultime due tipologie di esecutivo tecnico che abbiamo appena visto: il suo compito è quello di far uscire l’Italia dalle secche della crisi sanitaria ed economica. Uno dei nodi che resta da sciogliere per l’ex governatore della Bce è però quello relativo alla composizione del suo eventuale governo, ossia se prediligerà tecnici o esponenti dei partiti che lo sosterranno come maggioranza in Parlamento. Staremo a vedere.

In conclusione

Il presidente incaricato Mario Draghi ha iniziato le consultazioni per dare vita a quello che potrebbe essere il quarto governo tecnico della storia repubblicana italiana. Se non sarà una prima assoluta per il nostro Paese, un discorso analogo vale anche per l’Unione europea.

Secondo uno studio uscito nel 2014, fino ad allora c’erano stati 24 governi catalogabili come “tecnici” nei vari Stati membri: nessuno nei grandi Paesi europei – fatta eccezione per l’Italia – e, con diverse sfumature, raggruppabili in quattro categorie.

Tutti e tre i governi tecnici che ha avuto l’Italia hanno avuto un mandato forte, ossia di fare riforme, e soltanto quello di Ciampi aveva una maggioranza di ministri provenienti dai partiti. I governi Dini e Monti sono stati, per così dire, l’emblema del governo tecnico, essendo guidati da un tecnico e composti da tecnici. Fino al 2013, ci sono stati soltanto quattro esempi di esecutivi di questo tipo nell’Ue – oltre ai due citati italiani – tutti in Europa centro-orientale.

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