L’eterno problema delle licenze dei taxi

Una proposta di Azione e Italia viva punta a riformare le regole di questo settore, su cui da anni la politica è incapace di intervenire, complice la ritrosia degli operatori
Ansa
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Il 27 luglio alcuni deputati di Azione e Italia Viva hanno presentato in conferenza stampa alla Camera una proposta di legge sulla liberalizzazione dei taxi, un tema che da anni ritorna nel dibattito politico. In Italia sono attivi relativamente pochi taxi e la domanda, specialmente d’estate, è di gran lunga superiore rispetto all’offerta. 

Nonostante il problema sia noto e diffuso, le istituzioni faticano ad attivare nuove licenze e ad ampliare il mercato, a causa delle proteste dei tassisti ma anche degli ostacoli di una parte consistente della politica, che negli anni ha difeso gli interessi di questa categoria bloccando le liberalizzazioni. Ma come siamo arrivati a questo punto?

Il problema dei taxi

In Italia la legge che regola l’attività dei taxi risale al 1992 e definisce i criteri da rispettare per tutti gli autoservizi pubblici non di linea. Questa legge di oltre trent’anni fa stabilisce le condizioni per il rilascio delle licenze da parte dei comuni sulla base di regolamenti regionali (articolo 8) e la possibilità per i titolari di vendere queste licenze ad altre persone (articolo 9). 

Sono proprio questi due articoli a causare i problemi presenti oggi nel mercato dei taxi, perché le amministrazioni locali non rilasciano nuove licenze, e la possibilità dei tassisti di vendere la propria ha generato un mercato interno con prezzi altissimi, per cui una licenza nelle principali città italiane può costare centinaia di migliaia di euro. Il tutto in un sistema poco o per nulla trasparente, dal momento che gli ultimi dati sul numero complessivo delle licenze dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), l’ente che si occupa di gestire il trasporto pubblico, risalgono al 2018 e non sono più stati aggiornati. In ogni caso, secondo questi dati le licenze taxi attive al 31 dicembre 2018 erano circa 20 mila, di cui 7.703 a Roma (2,7 taxi ogni mille abitanti) e 4.852 a Milano (3,4 taxi ogni mille abitanti). Il problema però deriva dal fatto che, nonostante l’aumento del turismo internazionale, nelle principali città italiane il numero di licenze attive sia in sostanza rimasto identico rispetto al 2008, anno in cui sono iniziate le rilevazioni. Invece che assegnarne di nuove, il comune di Roma tra il 2008 e il 2018 ha perso sette licenze, Milano ne ha perse tre e Napoli altre sette.  

È quindi proprio questa scarsità di taxi che porta ai disagi documentati in questi giorni sui giornali e sui social network, riportando il tema delle liberalizzazioni nel dibattito politico. Ma allora perché i comuni non rilasciano nuove licenze? A dire il vero avrebbero tutti gli strumenti per farlo, dal momento che una legge del 2006, nota come “decreto Bersani”  – dal nome dell’ex segretario del Partito Democratico e allora ministro dello Sviluppo economico del secondo governo Prodi – permette (articolo 6) interventi per il potenziamento del servizio di taxi, attraverso l’assegnazione di nuove licenze stagionali non cedibili e la disposizione di turni di lavoro aggiuntivi per adeguare il servizio all’aumento della domanda, specie nei mesi estivi.

Il motivo per cui non viene fatto è perché la categoria dei tassisti è sempre stata contraria all’assegnazione di nuove licenze, dal momento che una maggiore concorrenza significherebbe per loro una diminuzione dei guadagni e una svalutazione del prezzo delle licenze, e quindi le amministrazioni comunali e la politica in generale sono restie a inimicarsi una categoria propensa a scioperi e proteste su vasta scala. 

Dall’altro lato, una parte politica ha spesso preso le parti dei tassisti, opponendosi a qualsiasi tentativo di liberalizzare il mercato del trasporto pubblico non di linea, assegnando nuove licenze o liberalizzando le piattaforme di noleggio con conducente (Ncc). Nello specifico, i partiti che più volte hanno preso le difese dei tassisti in questi anni sono Fratelli d’Italia e la Lega, che hanno affiancato il contrasto alla liberalizzazione delle licenze dei taxi al contrasto alla cosiddetta “direttiva Bolkestein”, una direttiva europea che ha l’obiettivo di promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati dell’Unione europea e che in Italia riguarda principalmente i venditori ambulanti e le concessioni balneari.

Ora che è ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, tocca quindi a Matteo Salvini cercare di risolvere il problema dei disservizi nel trasporto pubblico non di linea. Il segretario della Lega ha incontrato  il 19 luglio i principali sindacati di categoria e ha dichiarato di essere «al lavoro per una riforma complessiva», ma al momento non è noto in che modo il governo voglia intervenire, se non con un aggiornamento dei dati sulle licenze attive. Il 26 luglio Salvini è tornato sul tema durante un question time alla Camera, dichiarando che «riguardo l’annoso problema dei taxi e degli Ncc» l’obiettivo è quello di «avere un miglior servizio per tutti gli utenti, ma miracoli non ne facciamo».

La proposta del terzo polo

Il giorno dopo il question time di Salvini, Azione e Italia Viva hanno presentato in conferenza stampa alla Camera il loro disegno di legge. Il testo ha come primi firmatari Luigi Marattin (Italia Viva) e Giulia Pastorella (Azione) ed è stato scritto in collaborazione con Libdem Europei, un movimento politico di stampo liberista ed europeista fondato tra gli altri dal giornalista Oscar Giannino e presieduto dall’ex senatore del Partito Democratico Andrea Marcucci.

Il testo del disegno di legge non è pubblicamente disponibile ma Marattin ne ha illustrato il contenuto sia in conferenza stampa sia con un lungo post su Twitter. In breve, l’intento della proposta è quello di assegnare una licenza aggiuntiva a tutti i tassisti regolari: questa licenza non potrà essere utilizzata dagli assegnatari ma dovrà essere venduta entro due anni su una piattaforma apposita predisposta dall’Autorità di regolazione dei trasporti (Art). Secondo i proponenti, in questo modo la vendita della licenza, che avverrà secondo i prezzi di mercato, oltre a creare nuovi taxi ricompenserà gli attuali tassisti degli eventuali mancati guadagni generati da un aumento della concorrenza. 

Altri punti della proposta sono poi la trasformazione delle tariffe fisse stabilite dai comuni in un «tetto massimo», che permette quindi ai tassisti di fare prezzi più bassi per essere più competitivi, e l’obbligo per i taxi di rientrare in rimessa dopo ogni turno per favorire il lavoro degli Ncc.  

I tentativi di riforma

La proposta di Azione e Italia Viva non è il primo tentativo di riforma del mercato del trasporto pubblico non di linea. Il tentativo più recente è quello di un anno fa da parte del governo Draghi, che aveva provato a intervenire sulla questione nel cosiddetto “ddl Concorrenza”, una legge annuale sul mercato e la concorrenza allo scopo di esercitare la tutela della concorrenza come previsto dalla Costituzione. In questa legge, approvata a luglio 2022, il governo Draghi aveva inserito un articolo che affidava all’esecutivo il compito di riformare il settore dei taxi e del noleggio con conducente (Ncc) attraverso una serie di passaggi per favorire il mercato tra gli operatori, tra cui un «adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante l’uso di applicazioni web».

Proprio questo passaggio fu visto dai tassisti come il tentativo, da parte del governo, di favorire servizi internazionali di Ncc come Uber e Lyft a discapito dei taxi con licenza. In pochi giorni quindi nelle principali città italiane furono indetti diversi scioperi, che terminarono solo in seguito alla crisi di governo e all’approvazione del “ddl Concorrenza” privo dell’articolo riguardante la parziale liberalizzazione dei taxi, come era stato chiesto da Salvini.

Prima di Draghi, anche i governi Renzi e Monti avevano provato a intervenire sul mercato dei taxi, ma senza successo: nel 2016 il governo guidato da Matteo Renzi aveva inserito degli emendamenti al decreto “Concorrenza” in cui si facevano alcune concessioni agli Ncc – tra cui la rimozione dell’obbligo di rientro in rimessa delle auto dopo ogni corsa, presente anche nella nuova proposta di legge del Terzo polo – ma dopo un lungo sciopero dei tassisti in tutta Italia l’esecutivo decise di ritirare gli emendamenti. Allo stesso modo, nel 2012 anche il governo tecnico guidato da Mario Monti nel suo programma di liberalizzazioni, previsto dal decreto “Cresci Italia”, proponeva di spostare la competenza del rilascio delle licenze per i taxi dalle amministrazioni comunali all’Autorità di regolazione dei trasporti. Anche in questo caso però l’iniziativa allo studio del governo non ebbe seguito a causa delle proteste dei tassisti.

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