Schlein non la dice tutta sui conti della sanità nelle Marche

La regione guidata da Acquaroli è in debito per chi va a curarsi fuori regione, ma non è un problema nuovo
ANSA/TINO ROMANO
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Durante la campagna elettorale per le elezioni regionali nelle Marche, in programma il 28 e 29 settembre, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha insistito più volte su un argomento per criticare la gestione della sanità da parte di Francesco Acquaroli, esponente di Fratelli d’Italia, eletto presidente della regione nel settembre 2020.

«Le voglio dare dei dati, perché i dati parlano: non sono di destra, e non sono di sinistra. In questa regione, si spendono 160 milioni di euro per l’emigrazione sanitaria», ha dichiarato Schlein (min. 1:06:25) il 2 settembre, ospite a In Onda su La7. «Questa era una regione con la sanità eccellente, dove la gente si veniva a curare da fuori». La stessa affermazione è stata ripetuta il 17 settembre a Pesaro, durante l’evento di chiusura della campagna elettorale a sostegno di Matteo Ricci, il candidato presidente sostenuto dal centrosinistra e dal Movimento 5 Stelle che sfiderà Acquaroli.

Abbiamo controllato: la spesa indicata da Schlein trova effettivamente riscontro nei dati ufficiali. Ma la segretaria del Partito Democratico tralascia un dettaglio fondamentale che riguarda proprio la storia recente del suo partito.

Di che cosa stiamo parlando

Quando si parla di cittadini che scelgono di farsi curare in una regione diversa da quella di residenza, viene usato il termine “mobilità ospedaliera interregionale”. Non sempre, però, chi si sposta lo fa perché la sanità della propria regione è peggiore rispetto a quella di altre aree del Paese. La mobilità sanitaria è un fenomeno complesso, che dipende sì dalla qualità delle prestazioni e dai tempi di attesa, ma anche da altri fattori. Conta, per esempio, la vicinanza agli ospedali per chi vive nelle zone di confine, oppure il fatto di trovarsi temporaneamente in un’altra regione per motivi di lavoro o di vacanza nel momento in cui si presenta una malattia o un incidente.

La mobilità sanitaria si divide in due componenti. Quella attiva riguarda le prestazioni erogate a cittadini non residenti, mentre quella passiva indica le cure ricevute dai residenti al di fuori della loro regione. In termini pratici, se una regione registra più mobilità attiva che passiva significa che attrae più pazienti da fuori di quanti ne veda andare via per curarsi altrove.

Dal punto di vista economico, questi spostamenti generano per le regioni due effetti opposti: accogliere pazienti da fuori significa registrare un credito, mentre perdere cittadini che si curano altrove comporta un debito. Ogni anno la regione che ha fornito le prestazioni riceve un rimborso da quella di residenza del paziente.

I conti delle Marche

Lo scorso gennaio la Fondazione GIMBE, che svolge ricerca indipendente in ambito sanitario e analizza periodicamente l’andamento dei sistemi regionali, ha pubblicato i dati più completi e aggiornati sulla mobilità sanitaria interregionale, relativi al 2022. In quell’anno i debiti delle Marche legati a questo fenomeno ammontavano a 178 milioni di euro, un valore persino superiore a quello citato da Schlein. Le entrate generate dai cittadini non residenti curati nella regione erano state invece circa 125 milioni. Il saldo finale tra crediti e debiti risultava quindi negativo per quasi 54 milioni. 

Nel 2022 la maggior parte delle regioni italiane aveva un saldo in perdita, mentre solo sette registravano un attivo (Grafico 1).
Grafico 1. Saldo totale della mobilità sanitaria interregionale, anno 2022 – Fonte: Fondazione GIMBE
Grafico 1. Saldo totale della mobilità sanitaria interregionale, anno 2022 – Fonte: Fondazione GIMBE
Anche nel 2021, primo anno interamente governato da Acquaroli, le Marche avevano speso più di quanto incassato: 152 milioni di debiti a fronte di circa 114 milioni di crediti, per un saldo negativo di oltre 38 milioni, peggiorato poi l’anno successivo. Nel 2020 il saldo era stato di oltre 25 milioni (circa 125 milioni di debiti e poco più di 100 milioni di crediti), ma si trattava di un anno condizionato dalla pandemia di COVID-19, che aveva ridotto sia gli spostamenti delle persone sia la disponibilità di prestazioni sanitarie, facendo calare di conseguenza anche la mobilità.

A una prima lettura questi numeri sembrano confermare le parole di Schlein: le Marche hanno effettivamente un saldo negativo nella mobilità sanitaria. Ma la segretaria del Partito Democratico lascia intendere che questo fenomeno sia legato esclusivamente alla gestione del centrodestra, mentre i dati dimostrano che si tratta di una tendenza più lunga.

La stessa Fondazione GIMBE, rielaborando i numeri degli anni passati, ha mostrato come i saldi negativi si registrassero anche prima del 2020, quando la regione era governata dal centrosinistra con Luca Ceriscioli, esponente del Partito Democratico ed ex sindaco di Pesaro, proprio come Ricci. Ceriscioli si era insediato nel 2015 e dal 1995, da quando i presidenti vengono eletti direttamente dai cittadini, le Marche sono sempre state amministrate dal centrosinistra fino all’arrivo di Acquaroli.

Non a caso, già durante la campagna elettorale del 2020 alcuni candidati di centrodestra avevano promesso di ridurre «la grande migrazione sanitaria», un impegno che Acquaroli ha inserito anche nel programma di governo della Regione una volta eletto. I dati mostrano comunque che il problema non è nato allora. Nel 2018 i debiti della Regione Marche per la mobilità sanitaria erano stati di 172 milioni di euro, con un saldo negativo di quasi 33 milioni. Nel 2017 i debiti erano stati superiori a 174 milioni (un valore vicino a quello del 2022), con un saldo negativo di oltre 38 milioni.

Insomma, questi dati fotografano una realtà non nuova: la mobilità passiva rappresenta da anni uno dei problemi del sistema sanitario marchigiano, che nessuna delle ultime amministrazioni regionali, di centrosinistra prima e di centrodestra poi, è riuscita a invertire.

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