Il referendum di Salvini contro lo stop alle auto a diesel e benzina ha poco senso

La proposta è stata fatta dal leader della Lega durante un comizio in Piemonte: ecco perché ha basi giuridiche poco solide
ANSA/MATTEO CORNER
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Il 21 settembre, durante un comizio elettorale a Rivoli, in Piemonte, il segretario della Lega Matteo Salvini ha proposto (min. 0:20), nel caso in cui la Lega riuscisse ad andare al governo, di indire «un referendum popolare» contro il regolamento dell’Unione europea che punta a vietare dal 2035 la vendita di auto e veicoli commerciali a diesel e benzina. 

Al di là del fatto che il regolamento citato da Salvini non è ancora stato approvato definitivamente, quanto è solida da un punto di vista giuridico la proposta del segretario della Lega? In breve: molto poco.

Di che cosa stiamo parlando

Il divieto alla produzione di auto e veicoli commerciali a diesel e benzina è previsto da una proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea il 14 luglio 2021. Questa proposta fa parte del cosiddetto pacchetto “Fit for 55”, una serie di provvedimenti che l’Ue vuole approvare per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di CO2 entro il 2050. Un regolamento europeo, è bene precisarlo, è un atto che, se approvato definitivamente, si applica automaticamente in tutti gli stati membri dell’Ue senza che questi debbano ratificarlo con una legge nazionale, come nel caso delle direttive.

Più nel dettaglio, la proposta di regolamento punta a modificare un precedente regolamento europeo approvato nel 2019, che fissava una serie di limiti alle emissioni di CO2 per combattere i cambiamenti climatici. La nuova proposta di regolamento prevede la riduzione del 100 per cento delle emissioni di CO2 medie sia delle auto che dei veicoli commerciali a partire dal 1° gennaio 2035. In sostanza, i veicoli con motori che emettono CO2, come quelli a diesel e a benzina, non potranno più essere prodotti. Il testo non vieta comunque l’utilizzo dei veicoli a diesel e a benzina già in circolazione. 

L’8 giugno, il Parlamento europeo ha approvato una serie di emendamenti al testo, confermando comunque il divieto alla produzione di veicoli a diesel e benzina. In Italia, quest’ultimo ha scatenato le proteste di alcuni partiti, soprattutto quelli della coalizione di centrodestra, ossia Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Sempre l’8 giugno, lo stesso Salvini ha definito l’eventuale stop al diesel e alla benzina «una follia assoluta», un «regalo alla Cina», un «disastro per milioni di lavoratori italiani ed europei».

Il «referendum popolare» proposto da Salvini ha poco senso

La proposta di regolamento non è comunque ancora stata approvata definitivamente. L’ufficio stampa del Parlamento europeo in Italia ha spiegato a Pagella Politica che ora il testo emendato della proposta è al centro di una serie di negoziati tra Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea e solo dopo un accordo tra queste istituzioni il testo finale della proposta di regolamento verrà votata dal Parlamento ed eventualmente approvata in via definitiva. 

Posto che il testo della proposta venga approvato, l’idea di Salvini di indire un referendum contro questo regolamento è poco solida. «La proposta di indire un referendum, di qualsiasi tipologia, su un regolamento europeo è senza senso, perché i referendum previsti dalla nostra Costituzione, come per esempio quello abrogativo, hanno effetto solo su leggi italiane e non sugli atti europei, che sono gerarchicamente superiori», ha spiegato a Pagella Politica il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia. «L’unica soluzione per Salvini potrebbe essere quella di ricorrere al diritto di iniziativa popolare a livello europeo, grazie al quale i cittadini degli Stati membri possono invitare la Commissione europea a intervenire su una determinata questione», ha aggiunto Volpi. 

Il diritto di iniziativa popolare richiede comunque un percorso molto lungo. Dopo aver costituito un comitato promotore, formato da minimo sette cittadini di sette diversi Stati membri dell’Ue, e inviato il testo dell’iniziativa alla Commissione europea, i cittadini interessati devono far partire una raccolta firme in almeno sette Paesi membri, pena l’annullamento dell’iniziativa. Per ciascuno di questi sette Stati, il numero di firme da raccogliere è pari al numero di parlamentari europei eletti da quel Paese moltiplicato per 750. Per fare un esempio, nel caso dell’Italia, i cui parlamentari europei sono 73, sono necessarie 54.750 firme.

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