Non è vero che un quindicenne su due non è in grado di capire un testo scritto

Questa statistica è circolata molto negli ultimi giorni, ma è frutto di una lettura sbagliata dei dati
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Negli ultimi giorni diversi quotidiani e siti di notizie hanno rilanciato un dato piuttosto preoccupante: quello secondo cui il 51 per cento dei quindicenni in Italia non sarebbe in grado di capire un testo scritto. Questa percentuale è stata poi ripresa sui social anche da alcuni parlamentari, tra gli altri, della Lega e del Partito democratico.

Ma davvero nel nostro Paese più della metà dei quindicenni è incapace di leggere un testo scritto e di capirlo? Abbiamo verificato e le cose non stanno così: la notizia è frutto di un’errata interpretazione dei dati. In breve, la percentuale del 51 per cento non fa riferimento né ai quindicenni né alle competenze in italiano, men che meno alla comprensione del testo.

Qual è la fonte del dato

Partiamo innanzitutto dalla fonte del dato riportato dai mezzi di informazione. 

La percentuale del «51 per cento» è iniziata a circolare il 19 maggio, quando a Roma è stato inaugurato l’evento “Impossibile 2022”, organizzato dalla ong Save the children. Durante l’introduzione dei lavori, il presidente di Save the children Italia Claudio Tesauro ha fatto questa dichiarazione: «La dispersione scolastica implicita – una parola difficile ma vuol dire una cosa semplice: l’incapacità per un ragazzo di leggere un testo scritto e di capirlo, o di fare un semplice esercizio di matematica – raggiunge oggi quasi il 50 per cento degli adolescenti quindicenni».

Nel suo discorso, Tesauro non ha specificato da dove venga questa percentuale. Ma se si legge il report “Impossibile 2022”, pubblicato in occasione dell’evento, le cose iniziano subito a farsi più confuse. Qui infatti c’è scritto: «Parliamo della dispersione scolastica implicita, cioè del fatto che il 44 per cento di ragazzi e ragazze alla fine della scuola secondaria superiore non è in grado di raggiungere un livello minimo di competenze in italiano, percentuale che sale al 51 per cento per la matematica. Questo significa non riuscire a comprendere il significato di un testo scritto, saper svolgere un ragionamento logico, fare un semplice calcolo aritmetico».

Sulla base di queste parole, sembra dunque che la percentuale del 51 per cento faccia riferimento alla matematica, e non all’italiano. Al di là di questa inversione delle percentuali (più avanti vedremo nel dettaglio da dove vengono), concentriamoci su una serie di errori contenute nella frase di Tesauro e nel report di Save the children.

Primo errore: la confusione sulla dispersione scolastica

La prima fonte di confusione sta nel diverso utilizzo del concetto di “dispersione scolastica implicita”, fatto da Tesauro nel suo discorso e da Save the children nel suo report. Il presidente lo ha usato parlando di quindicenni, mentre il report parlando degli studenti che finiscono le scuole superiori, ossia quelli che generalmente si trovano nella fascia di età tra i 18 e i 19 anni.

In effetti, l’uso corretto del concetto di “dispersione scolastica implicita” è il secondo, come spiega anche il sito delle prove Invalsi, i test standardizzati che ogni anno vengono somministrati agli studenti italiani per valutare le loro competenze a scuola. Da un lato, esiste il concetto di “dispersione scolastica”, che fa riferimento ai giovani che hanno lasciato la scuola prima di concludere le superiori. Dall’altro lato, esiste quello di “dispersione scolastica implicita”, che fa riferimento agli studenti che, pur avendo concluso il percorso di studi, non raggiungono le competenze di base minime in italiano, matematica e inglese. 

Secondo i dati Invalsi più aggiornati, nel 2021 la dispersione scolastica implicita colpiva il 9,5 per cento degli studenti in Italia, in crescita rispetto al 7 per cento del 2019, con ampie differenze tra le regioni (dal 2,6 per cento del Nord al 14,8 per cento del Sud).

In italiano, le competenze minime sono individuate con il raggiungimento al massimo del livello 2, uno dei cinque con cui sono valutate le competenze degli studenti in questa materia (il livello 1 indica il livello più basso, il livello 5 il più alto). Tra le altre cose, va sottolineato che uno studente che raggiunge il livello 2 comprende comunque il contenuto di un testo scritto. Infatti, spiegano le descrizioni Invalsi dei livelli, chi raggiunge il livello 2 all’ultimo anno di superiori «ricostruisce il significato di parti del testo collegando più informazioni e coglie il tema o l’argomento principale di testi di diverso genere».

Secondo errore: le competenze dei quindicenni

Ma quali sono allora le competenze degli studenti di 15 anni? Secondo un report pubblicato l’anno scorso da Save the children, nel 2018 «circa un quarto» degli studenti di 15 anni in Italia «non raggiungeva le competenze minime in matematica, lettura e scienze». Per quanto riguarda le competenze in “lettura”, queste percentuali andavano dal 16,3 per cento nelle regioni del Nord Ovest al 35,1 per cento delle isole. Dati dunque anche qui inferiori al «51 per cento» riportato sui quotidiani.

In questo caso, la fonte citata dalla ong erano le rilevazioni Ocse Pisa, ossia i test standardizzati condotti in diversi Paesi del mondo per valutare le competenze degli studenti quindicenni. Come ha spiegato l’Invalsi in un approfondimento dedicato proprio ai test Ocse Pisa del 2018, in quell’anno circa il 77 per cento degli studenti a livello internazionale aveva raggiunto almeno il livello 2, considerato quello minimo di competenza in lettura. «L’Italia – sottolineava l’Invalsi – presenta una percentuale di studenti che raggiunge almeno il livello minimo di competenza in lettura analoga alla percentuale media internazionale. A questo livello, gli studenti iniziano a dimostrare la capacità di utilizzare le loro abilità di lettura per acquisire conoscenze e risolvere una vasta gamma di problemi pratici».

Anche qui, nessuna traccia del 51 per cento, anzi: per quanto riguarda le competenze minime in lettura, il nostro Paese era in linea con gli altri.

Terzo errore: da dove viene il 51 per cento

Arriviamo così a rispondere alla domanda: da dove vengono dunque i dati presentati da Tesauro e dalla ong, che nel report ha scritto che «il 44 per cento di ragazzi e ragazze alla fine della scuola secondaria superiore non è in grado di raggiungere un livello minimo di competenze in italiano, percentuale che sale al 51 per cento per la matematica»? Quasi sicuramente queste percentuali sono un’errata lettura degli ultimi dati Invalsi, pubblicati a luglio 2021.

Come abbiamo spiegato più nel dettaglio in un fact-checking dell’anno scorso, in base alle ultime prove Invalsi, relative all’anno scolastico 2020-2021, a livello nazionale il 44 per cento degli studenti all’ultimo anno delle superiori – e, ancora una volta, non dei quindicenni – non ha raggiunto «risultati adeguati» in italiano, percentuale che sale al 51 per cento in matematica.

Ecco dunque dove compaiono le percentuali del «51 per cento» e del «44 per cento». Qui il riferimento è al raggiungimento di risultati «adeguati», e non – ribadiamo – alla dispersione scolastica implicita. Per quanto riguarda l’italiano, l’Invalsi ritiene che uno studente ha raggiunto competenze adeguate se rientra dal livello 3 in su. Ma come abbiamo visto sopra, anche chi si ferma al livello 2 ha comunque la capacità di leggere un testo e di comprenderlo, seppure in maniera più limitata rispetto a chi si trova nei tre livelli superiori.

Se si guarda ai dati della terza media, un’età abbastanza vicina ai quindicenni, si scopre poi che il 15 per cento circa degli studenti l’anno scorso si fermava al livello 1, quello più associabile all’incapacità di leggere e capire un testo.

Prima di concludere, sottolineiamo che i dati Invalsi vanno maneggiati e letti con cautela, visto che si prestano a letture eccessivamente semplicistiche. «Per valutare e misurare una competenza in maniera più completa servono più prove di natura diversa. Più che le “competenze”, che sono qualcosa di più complesso, le prove Invalsi quantificano solo alcune specifiche conoscenze e solo alcune specifiche abilità, valutate per come sono costruiti i test», aveva spiegato l’anno scorso a Pagella Politica Cristiano Corsini, professore all’Università di Roma Tre di docimologia, la disciplina che in pedagogia studia i metodi di valutazione, per esempio, negli esami

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