Il 14 luglio sono stati pubblicati i nuovi risultati delle prove Invalsi dell’anno scolastico 2020-2021, le prime dopo l’inizio della pandemia di Covid-19. Queste prove, spiega il sito ufficiale Invalsi, hanno l’obiettivo di valutare «gli apprendimenti delle alunne e degli alunni in italiano, matematica e inglese». Nelle valutazioni di quest’anno sono stati coinvolti oltre 2,1 milioni di studenti: 1,1 milioni delle classi seconde e quinte elementari; circa 530 mila delle classi di terza media; e circa 475 mila delle classi quinte superiori.
I nuovi dati Invalsi sono stati subito ripresi sui social da molti politici italiani, di diversi partiti, per sostenere per lo più l’inefficacia della didattica a distanza (Dad), messa in campo durante la pandemia. «Dobbiamo evitare a tutti i costi il ritorno della Dad. Oggi sono stati presentati i dati del rapporto Invalsi, che fotografano quanto grave sia stato l’allontanamento dei ragazzi dalle aule scolastiche fra il 2020 e il 2021», ha scritto su Facebook il 14 luglio la deputata del Partito democratico Chiara Gribaudo. «Praticamente uno studente su due non ha raggiunto la preparazione minima nelle materie più importanti, come italiano e matematica». La stessa statistica è stata ripresa anche da altri parlamentari, come la sottosegretaria alle Infrastrutture Teresa Bellanova (Italia viva) e il compagno di partito Luigi Marattin, mentre l’ex ministro del Pd Graziano Delrio ha dichiarato su Facebook: «Mai più Dad: deve essere un impegno collettivo».
Ma che cosa dicono davvero i nuovi dati Invalsi sulla scuola in tempo di pandemia? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza su un dibattito che in alcuni casi – non solo di recente – ha assunto posizioni polarizzate, tra chi crede che la quantificazione scolastica sia la panacea a tutti i problemi dell’istruzione e chi ritiene che prove come quelle Invalsi siano inutili e dannose.
I nuovi dati Invalsi sono stati subito ripresi sui social da molti politici italiani, di diversi partiti, per sostenere per lo più l’inefficacia della didattica a distanza (Dad), messa in campo durante la pandemia. «Dobbiamo evitare a tutti i costi il ritorno della Dad. Oggi sono stati presentati i dati del rapporto Invalsi, che fotografano quanto grave sia stato l’allontanamento dei ragazzi dalle aule scolastiche fra il 2020 e il 2021», ha scritto su Facebook il 14 luglio la deputata del Partito democratico Chiara Gribaudo. «Praticamente uno studente su due non ha raggiunto la preparazione minima nelle materie più importanti, come italiano e matematica». La stessa statistica è stata ripresa anche da altri parlamentari, come la sottosegretaria alle Infrastrutture Teresa Bellanova (Italia viva) e il compagno di partito Luigi Marattin, mentre l’ex ministro del Pd Graziano Delrio ha dichiarato su Facebook: «Mai più Dad: deve essere un impegno collettivo».
Ma che cosa dicono davvero i nuovi dati Invalsi sulla scuola in tempo di pandemia? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza su un dibattito che in alcuni casi – non solo di recente – ha assunto posizioni polarizzate, tra chi crede che la quantificazione scolastica sia la panacea a tutti i problemi dell’istruzione e chi ritiene che prove come quelle Invalsi siano inutili e dannose.