Il 19 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento programmatico di bilancio per il 2022, che anticipa a grandi linee quali dovrebbero essere le misure contenute nella prossima legge di Bilancio.
Tra i provvedimenti promessi dal governo, c’è la riduzione dell’aliquota dell’Iva sugli assorbenti (la cosiddetta tampon tax), dall’attuale 22 per cento al 10 per cento. Secondo fonti stampa, il Partito democratico, il Movimento 5 stelle e Italia viva puntano a una riduzione ancora maggiore in manovra, fino all’aliquota del 4 per cento, quella applicata ai beni di prima necessità.
In passato sono già fallite proposte simili, per esempio nel 2019 e nel 2020. Uno degli ostacoli principali del taglio dell’Iva sugli assorbenti riguarda la necessità di trovare risorse per coprire le mancate entrate per le casse dello Stato. Secondo le stime del Ministero dell’Economia riportate in questi giorni da diversi giornali, una riduzione della tampon tax causerebbe ogni anno perdite per il fisco pari a «300 milioni» di euro. Al momento il testo ufficiale del Documento programmatico di bilancio ancora non c’è, dunque non è possibile sapere a quante e a quali risorse il governo intende attingere per coprire un eventuale calo delle entrate.
Al di là della bontà o meno della proposta, quanto è affidabile la stima dei «300 milioni»? Abbiamo verificato e sembra essere esagerata, anche se è al momento non è semplice quantificare con precisione una cifra alternativa.
Che conti ha fatto il Ministero dell’Economia
Facciamo un salto indietro nel tempo. A maggio 2019 alla Camera è stato bocciato un emendamento al decreto “Semplificazioni” che chiedeva di ridurre l’Iva sugli assorbenti dal 22 al 5 per cento. Secondo la presidente della Commissione Bilancio della Camera Carla Ruocco (Movimento 5 stelle), l’emendamento presentava coperture per soli 5 milioni di euro, mentre il Ministero dell’Economia stimava che una riduzione dell’aliquota dal 22 al 5 per cento avrebbe comportato minori entrate per «300 milioni» di euro. Una riduzione dal 22 al 10 per cento – quella indicata dal Documento programmatico di bilancio – avrebbe invece bisogno di coperture per «212 milioni di euro».
In quell’occasione Ruocco non aveva però chiarito come fossero state calcolate queste cifre. Il conto è stato poi spiegato dallo stesso Ministero dell’Economia in una risposta scritta a un’interrogazione presentata a novembre 2020 da alcuni parlamentari del Pd. I «300 milioni», tornati in questi giorni sulle pagine dei giornali, sono stati calcolati moltiplicando tra loro due dati: da un lato ci sono gli «oltre 22 euro» di Iva che «annualmente ogni donna in età fertile» spende in assorbenti, secondo «un’indagine» non meglio specificata; dall’altro lato c’è il numero di «tutte le donne in età fertile», secondo le stime Istat.
Come vedremo tra poco, questa moltiplicazione ha di per sé diversi limiti. Ma analizziamo prima i due fattori del calcolo, su cui non sembra esserci particolare chiarezza.
Quanto si spende di Iva sugli assorbenti
Partiamo dai «22 euro». Il Ministero dell’Economia non cita esplicitamente qual è la fonte di questo dato, che trova però riscontro in un calcolo piuttosto spannometrico pubblicato ad aprile 2018 dal Corriere della Sera.
Secondo un’analisi della giornalista Milena Gabanelli, le donne hanno in media 13 cicli mestruali l’anno, per la durata di 3-5 giorni l’uno, durante i quali usano 4-5 assorbenti ogni 24 ore. Dunque, circa 300 assorbenti l’anno 0 25 al mese. Visto che una confezione di assorbenti ne contiene in media 14 e costa 4-5 euro, l’articolo – senza mai citare la fonte di questi dati – calcola che ogni anno in Italia una donna spenderebbe in media «126 euro» di assorbenti.
Di questi, «22,88 euro» vanno in Iva, cifra a cui molto probabilmente fanno riferimento gli «oltre 22 euro» di cui parla il Ministero dell’Economia. Il dato compare anche in una proposta di legge del M5s, per la riduzione dell’Iva sugli assorbenti, presentata in Senato ad agosto 2018.
Come si è arrivati ai «300 milioni» partendo da questi «22 euro»?
Di quante donne stiamo parlando
Come anticipato, il Ministero dell’Economia ha moltiplicato questa spesa per il numero di donne in «età fertile» in Italia, citando Istat ma senza precisare a quale fascia di popolazione guardare.
È molto probabile che la fascia di età in questione sia quella tra i 15 e i 49 anni, usata dall’Istat per calcolare le statistiche sulla fecondità della popolazione femminile. Nel 2020 le donne in Italia in questa fascia di popolazione erano oltre 12,2 milioni, che moltiplicati per i 22 euro visti prima danno una somma intorno ai 270 milioni di euro, un dato un po’ più basso rispetto ai «300 milioni» stimati dal Ministero dell’Economia.
Al di là della genesi dei due fattori, questa cifra ha un ampio margine di incertezza ed è molto probabilmente arrotondata per eccesso.
I limiti dei «300 milioni»
In primo luogo questa statistica è stata calcolata a partire da una cifra, i 22 euro, che riguarda quando spenderebbe in media una donna per tutta l’Iva in un anno. La proposta di cui si dibatte in Italia non è però quella di azzerare tutta l’Iva, ma di ridurla al massimo al 4 per cento. Assumendo sia corretta la stima dei 126 euro spesi in un anno da una donna per assorbenti, con il taglio della tampon tax al 4 per cento, l’Iva pagata in un anno passerebbe intorno ai 4-5 euro, che moltiplicati per la popolazione femminile in età fertile garantirebbero entrate intorno ai 60 milioni di euro annui. Dunque il “buco” per l’erario non sarebbe di quasi 270 milioni, ma intorno ai 210 milioni. Questa cifra scenderebbe intorno ai 150 milioni, se l’Iva fosse portata al 10 per cento (con una spesa media annua per donna di 10 euro in Iva).
In secondo luogo non è detto che tutta la popolazione in età fertile usi assorbenti per il ciclo. Ci sono donne infatti che usano le coppette o prodotti compostabili e biodegradabili per la protezione dell’igiene femminile, che da dicembre 2019, per un provvedimento del secondo governo Conte, rientrano tra i prodotti con un’aliquota Iva al 5 per cento. A novembre 2020, in Commissione Finanze alla Camera, la deputata del Pd Lia Quartapelle aveva inoltre fatto notare che il criterio dell’età fertile è variabile e non univoco, e che in molti casi non corrisponde alla necessità di uso di prodotti igienici femminili.
Negli anni sono state inoltre diffuse altre stime sull’impatto del taglio della tampon tax sull’entrate dello Stato, che hanno un ordine di grandezza ben diverso da quello indicato dal Ministero dell’Economia.
Le altre stime in circolazione
Il già citato articolo del Corriere spiega per esempio che le entrate per lo Stato sulla vendita di assorbenti sarebbero solo di «65 milioni» di euro. Il pezzo cita come fonte del dato Fater Group, una joint venture di aziende che operano nel settore della produzione di assorbenti, senza però spiegare quale calcolo è stato fatto per arrivare a questo valore (che diviso per i 22 euro darebbe una platea di quasi 3 milioni di donne, molto lontana dagli oltre 12 milioni visti prima).
Un’altra stima, parecchio più bassa rispetto a quella dei «300 milioni», è stata pubblicata nell’autunno del 2020 da WeWorld, un’organizzazione indipendente italiana attiva nel garantire i diritti delle comunità più vulnerabili, che a novembre dell’anno scorso ha lanciato una campagna per il taglio della tampon tax. Secondo WeWorld, una riduzione dell’Iva dal 22 per cento al 5 per cento porterebbe meno entrate per lo Stato pari a 72 milioni di euro (circa la metà, aggiungiamo noi, se la riduzione fosse al 10 per cento), una cifra decisamente più sostenibile per l’erario.
Abbiamo contattato WeWorld per capire come è stata calcolata questa cifra. L’organizzazione ha spiegato a Pagella Politica che, a differenza di quanto fatto dal Ministero dell’Economia, si è escluso di partire dal dato dei «22 euro», ritenuto piuttosto arbitrario e non in grado di rappresentare la varietà di utilizzo dei prodotti igienici femminili nel nostro Paese. L’organizzazione, in collaborazione con la società di analisi di mercato Nielsen, ha così quantificato in 515 milioni di euro il fatturato legato agli assorbenti in Italia, considerando anche il mercato online e dei negozi di vicinato, dunque non soltanto la grande distribuzione. Qui il peso dell’Iva al 22 per cento si aggirerebbe intorno ai 90 milioni di euro. Prendendo per corretto questo dato, se l’aliquota scendesse al 10 per cento, le mancate entrate per lo Stato sarebbero di circa 50 milioni, mentre se scendesse al 4 per cento il “buco” sarebbe di oltre 70 milioni.
Prima di concludere, sottolineiamo che nella sua risposta scritta di novembre 2020, il Ministero dell’Economia ha riconosciuto l’esistenza dei dati di WeWorld, elencati anche dai parlamentari nell’interrogazione, preferendo però mantenere come ufficiale la sua stima dei «300 milioni».
In conclusione
Nel Documento programmatico di bilancio il governo ha promesso che abbasserà le aliquote dell’Iva sugli assorbenti dal 22 al 10 per cento, ma secondo alcune fonti stampa si proverà a rendere il taglio ancora più consistente, fino al 4 per cento.
Da tempo circola una stima del Ministero dell’Economia, secondo cui una riduzione così sostanziosa costerebbe al fisco circa «300 milioni» di euro. Abbiamo verificato come è stata calcolata questa cifra, che sembra piuttosto arbitraria e spannometrica, nonché contestata da alcune associazioni impegnate a promuovere il taglio dell’Iva sugli assorbenti.
Da un lato, il Ministero dell’Economia ha preso la stima secondo cui una donna spende in media in Iva oltre 22 euro l’anno in assorbenti, ma questa cifra non sembra tenere in considerazione l’ampia varietà di utilizzo dei prodotti igienico-sanitari femminili. Dall’altro lato, il Ministero ha moltiplicato questa cifra per tutta la popolazione femminile in età fertile. In questo modo però si ottiene una stima – da prendere con molta cautela – sull’eventuale eliminazione di tutta l’Iva, non di un suo taglio.
L’organizzazione WeWorld ha invece provato a calcolare l’impatto del taglio della tampon tax a partire dal fatturato del mercato degli assorbenti in Italia, valutato sui 515 milioni di euro. Fosse corretto questo dato, una riduzione dell’Iva dal 22 al 4 per cento causerebbe minori entrate intorno ai 70 milioni di euro.
Economia
Il fact-checking di Giorgia Meloni ad Atreju