Putin può davvero incontrare Trump in Ungheria senza essere arrestato?

L’ipotesi di un vertice solleva dubbi sulle sanzioni europee e sull’obbligo di eseguire il mandato della Corte penale internazionale
ANSA
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Aggiornamento 21 ottobre, ore 20 – La Casa Bianca ha annunciato che non ci sono «piani» per un incontro tra Trump e Putin «nell’immediato futuro».

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L’ipotesi di un nuovo vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin a Budapest, annunciato lo scorso 16 ottobre dal presidente degli Stati Uniti, ha riacceso in Europa il dibattito sulla legittimità e sull’opportunità di ospitare in territorio dell’Unione un leader colpito da sanzioni e da un mandato di arresto internazionale.

Anche in Italia la notizia ha provocato reazioni politiche. Il segretario di Più Europa Riccardo Magi, per esempio, ha scritto su Instagram che «se Putin va in Ungheria, va arrestato», ricordando che l’Ungheria, in quanto Stato membro della Corte penale internazionale (CPI), sarebbe tenuta a eseguire il mandato.

Sul caso si intrecciano sia questioni giuridiche sia politiche: il punto è capire se l’Ungheria possa davvero accogliere Putin senza violare né le regole europee né gli obblighi previsti dallo Statuto di Roma. I dubbi riguardano sia la possibilità di farlo entrare nello spazio aereo e nel territorio dell’Ue, sia la posizione del governo ungherese nei confronti della CPI, da cui ha annunciato il ritiro ma a cui resta vincolato almeno fino al 2026.

Tra sanzioni e deroghe

Per capire meglio la situazione sul versante dell’Unione europea, conviene separare i due piani e distinguere tra il regime dei divieti di ingresso e transito, e quello delle restrizioni ai voli.

Il primo – il cosiddetto travel ban – riguarda i nominativi inseriti nelle liste dell’Ue nell’ambito delle sanzioni contro la Russia, avviate nel 2014. A oggi, l’Ue ha disposto nei confronti di Putin il congelamento dei beni, ma non un divieto di viaggio. Lo ha confermato pubblicamente il 17 ottobre una portavoce della Commissione europea. In teoria, quindi, Putin potrebbe entrare in territorio europeo: il divieto varrebbe soltanto per eventuali membri della sua delegazione già inclusi nelle liste sanzionatorie.

Diverso è il caso del blocco dello spazio aereo. Dal 28 febbraio 2022 l’Ue vieta atterraggi, decolli e sorvoli a tutti gli «aeromobili russi», ossia quelli operati da vettori russi, immatricolati in Russia o controllati da soggetti russi, in base a un regolamento del 2022, che a sua volta ne ha modificato uno del 2014. A giugno 2024, con un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, il divieto è stato esteso anche ai voli non di linea in cui una persona o entità russa decide luogo e ora del volo, come accade per i charter.

Ma le autorità nazionali possono disporre deroghe per motivi umanitari o per altri scopi compatibili con gli obiettivi delle sanzioni, purché notifichino la decisione agli altri Stati membri e alla Commissione Ue entro due settimane. In teoria, dunque, un “corridoio aereo” eccezionale potrebbe essere autorizzato per consentire a Putin di arrivare in Ungheria. 

Ma, anche ammesso ciò, l’operazione metterebbe l’Ue in una posizione scomoda da un punto di vista politica: ospitare un capo di Stato sotto mandato di arresto internazionale, nel momento in cui difende le proprie sanzioni contro la Russia, rischierebbe di compromettere la coerenza della sua azione esterna.

A questo si aggiunge il fatto che l’Ue e i suoi Stati membri si sono impegnati politicamente e operativamente a sostenere la Corte penale internazionale (CPI), obbligandosi di fatto a mantenere una condotta coerente con le sue decisioni.

Nonostante ciò, la Commissione Ue ha lasciato uno spiraglio politico. Il 17 ottobre, una sua portavoce ha dichiarato che «un processo di pace giusta e duratura per l’Ucraina è il benvenuto», pur ribadendo la necessità di rispettare sia le sanzioni sia il mandato di arresto nei confronti di Putin.

Il nodo del mandato d’arresto

Sul piano della giustizia internazionale, il problema è invece più chiaro. A marzo 2023, la CPI ha emesso un mandato di arresto contro Putin per il crimine di guerra di deportazione e trasferimento illegale di minori ucraini. Gli Stati, come l’Ungheria, che hanno sottoscritto lo Statuto di Roma – istitutivo della CPI – hanno l’obbligo di cooperare con la Corte, e in particolare di arrestare e consegnare i ricercati. 

Lo scorso aprile, però, il governo ungherese ha annunciato la decisione di abbandonare la CPI. Il Parlamento ungherese ha approvato il ritiro il mese successivo, e due settimane dopo il governo ungherese ha notificato ufficialmente l’uscita al Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Ma, secondo l’articolo 127 dello Statuto di Roma, il recesso diventa effettivo solo un anno dopo la notifica. Di conseguenza, l’Ungheria resterà vincolata agli impegni con la CPI fino al giugno 2026. Entro quella data, Orbán avrebbe dunque l’obbligo di eseguire il mandato d’arresto se Putin dovesse arrivare nel Paese.

Il precedente recente mostra tuttavia che il governo ungherese non sembra intenzionato a rispettare tali vincoli. Lo scorso aprile Budapest ha accolto in visita ufficiale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, anch’egli destinatario di un mandato d’arresto della CPI per crimini di guerra e contro l’umanità, emesso a novembre 2024.

In caso di mancata cooperazione, la CPI può deferire la questione all’Assemblea degli Stati che ne fanno parte o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Altri Stati in passato sono stati censurati per episodi simili: la Giordania, il Sudafrica, il Ciad e il Malawi, per non aver arrestato l’ex presidente sudanese Omar al-Bashir; più di recente, la Mongolia e la stessa Ungheria, per il mancato arresto rispettivamente di Putin e Netanyahu.

In conclusione, un vertice a Budapest non sarebbe impossibile da un punto di vista formale: l’Ungheria potrebbe concedere una deroga nazionale al divieto di volo e notificarla alla Commissione Ue. Ma sul piano del diritto internazionale e della coerenza politica, l’incontro resterebbe controverso. Orbán dovrebbe scegliere tra rispettare gli obblighi assunti verso la CPI e l’Ue o ignorarli in nome della sua strategia di equilibrio con la Russia.

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