I punti deboli della proposta di Azione per limitare i social network agli adolescenti

Il partito di Calenda vuole vietarne l’accesso ai minori di 13 anni e permetterlo solo con il consenso dei genitori a chi ha tra i 13 e i 15 anni. Abbiamo fatto il punto sui problemi di questa proposta  
ANSA/CIRO FUSCO
ANSA/CIRO FUSCO
Da oltre un mese il segretario di Azione Carlo Calenda sta promuovendo una proposta di legge del suo partito per chiedere di limitare l’accesso degli adolescenti ai social network. «I più piccoli vanno tutelati, le piattaforme devono essere responsabili per i contenuti pericolosi e occorre ora più che mai una grande campagna informativa per le scuole e per le famiglie. Agiamo subito Giorgia Meloni», ha scritto Calenda il 5 luglio su Twitter, rivolgendosi alla presidente del Consiglio.

La proposta di legge, presentata l’8 giugno alla Camera dai deputati di Azione, ha però alcuni punti deboli.

Che cosa dice la proposta di Azione

Il testo ufficiale della proposta di legge – firmato da 13 membri del gruppo parlamentare di Azione e Italia Viva – non è ancora disponibile sul sito della Camera, ma è stato pubblicato da Azione sul suo sito ufficiale e l’8 giugno è stato presentato da Calenda in una conferenza stampa. In concreto Azione propone di modificare il Codice in materia di protezione dei dati personali (chiamato anche “Codice Privacy”), che attua il regolamento europeo sulla protezione dei dati, meglio noto con la sigla “Gdpr”. Tra le altre cose nella proposta di legge Azione scrive che vuole vietare «l’accesso dei minori di 13 anni ai servizi di comunicazione elettronica a maggior rischio per la salute fisica e mentale dei minori e per la loro sicurezza e incolumità». Per gli adolescenti tra i 13 e i 15 anni Azione chiede che l’accesso a questi servizi possa avvenire solo con il consenso congiunto dei genitori o di chi ne fa le veci.

Come prima cosa è necessario notare che la proposta del partito di Calenda mette insieme due questioni non sovrapponibili da un punto di vista giuridico. «La tutela dei minori da contenuti dannosi e la tutela dei loro dati personali presidiano beni giuridici diversi, spesso in contrasto tra loro e che hanno poco in comune. Se il sito di Peppa Pig acquisisce, profila o vende dati dei minori che guardano e interagiscono con un maialino parlante, il provider allora vìola il diritto alla protezione dei dati. Ma quel contenuto in sé non può dirsi pericoloso o dannoso», ha spiegato a Pagella Politica Carlo Blengino, avvocato esperto di tecnologie digitali. 

Le regolamentazioni come quella proposta da Azione mostrano la difficoltà nel bilanciare una possibile sorveglianza commerciale con eventuali contenuti presenti sul web considerati “dannosi”, rischiando di garantire un diritto e non l’altro. La proposta non chiarisce poi altre questioni fondamentali.

Il primo punto debole

La prima questione riguarda i soggetti che dovrebbero essere regolati e che sarebbero impegnati a tutelare i minori da possibili contenuti dannosi. Nell’articolo 1 della proposta di legge si parla di “Verifica dell’età e tutela dei minori utenti di servizi di comunicazione elettronica”. Secondo Blengino la terminologia utilizzata è «errata» perché al centro di questa regolamentazione ci sono «gli access provider», ossia chi fornisce l’accesso alla rete (per esempio Tim Vodafone), o «i sistemi di messaggistica» (come Whatsapp), e «non i siti che offrono contenuti considerati “dannosi” per i minori, come per esempio Pornhub». 

Nella proposta si legge poi un’altra definizione, quella di “servizi di comunicazione sociale”. Il passaggio è all’articolo 1, comma 3: entro tre mesi dall’entrata in vigore delle nuove norme la Presidenza del Consiglio deve effettuare una «consultazione pubblica» per individuare i «servizi di comunicazione sociale con finalità commerciali, fondati sulla condivisione di contenuti, sull’interazione pubblica degli utenti», il cui accesso dovrà avere requisiti più restrittivi per gli adolescenti. I «servizi di comunicazione sociale» a cui fa riferimento Azione non esistono da un punto di vista giuridico. Con tutta probabilità il partito fa riferimento ai social network. La Presidenza del Consiglio «dovrà chiedere ai servizi individuati di condividere, in maniera riservata, informazioni e valutazioni del rischio relative all’accesso e utilizzo dei servizi da parte dei minori». I social network non sono però i protagonisti di una regolamentazione in questo senso.

Il secondo punto debole

La seconda questione che la proposta di legge non chiarisce è legata alla verifica dell’età dell’utente. Nel testo si legge che gli adolescenti tra i 13 e i 15 anni di età devono ottenere un consenso da parte dei genitori o di un tutore per accedere ai servizi, ma non spiega in che modo possa essere operata questa procedura di consenso nel preciso momento in cui gli utenti effettuano l’accesso ai siti. 

Per i minori di età superiore ai 15 anni Azione propone che la verifica dell’età garantita venga fatta con «un servizio fiduciario offerto da un fornitore accreditato», ossia riconosciuto a livello europeo (come per esempio Aruba, InfoCert, Poste Italiane e altri). Questi servizi possono fare ricorso a sistemi di riconoscimento biometrico o «basati su soluzioni di intelligenza artificiale», garantendo l’anonimato degli utenti «senza rivelare dati non necessari e minimizzando il periodo di ritenzione dei dati utilizzati nella procedura». 

Anche in questo caso la normativa sulla privacy attualmente in vigore non sembra essere il mezzo migliore per contrastare possibili contenuti dannosi presenti in rete e accessibili a minori. Sulla questione il Garante per la privacy, spesso citato nella proposta di legge, non ha un potere effettivo, al contrario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), un organismo indipendente che svolge funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle comunicazioni elettroniche. «Se questo è l’intento, l’errore nella legge è concettuale nonché tecnico: la verifica dell’età per i minori, a prescindere dal modo in cui potrebbe essere attuata, significa estendere il processo a tutti gli utenti della rete», ha commentato Blengino, dal momento che non è possibile sapere in anticipo se chi si collega è un minore o meno. 

La verifica dell’età anagrafica e dell’identità potrebbe essere problematica anche per un altro aspetto. Spesso chi vede di buon occhio una regolamentazione simile ne motiva l’introduzione parlando di una sorta di “impunità” delle azioni commesse in rete (si pensi ai commenti discriminatori, alla diffamazione e all’hate speech). In realtà Internet non è uno spazio in cui è possibile agire in anonimato, a meno che non vengano utilizzati specifici strumenti che lo garantiscono. La polizia postale è in grado di risalire quasi sempre quantomeno all’indirizzo IP del computer utilizzato per eventuali illeciti. 

Sulla rete è possibile agire con il proprio nome e cognome oppure attraverso pseudonimi e nickname. Il rischio di una proposta di legge come quella presentata da Azione è quello di obbligare tutti, non solo i minori, a dichiarare attraverso il riconoscimento biometrico (il volto o impronta digitale, per esempio) la propria età anagrafica e dunque, indirettamente, anche la propria identità.

Il terzo punto debole

La proposta di regolamentazione, così descritta, è anche di difficile applicazione in un contesto globale come quello che definisce Internet attualmente. «La maggior parte dei “nemici” dei minori, ammesso vengano identificati e si capisca il motivo per il quale sono compresi in questa definizione, è di origine americana e in questo Paese esiste già una normativa costantemente disapplicata in quanto contrasta con il primo emendamento della costituzione statunitense», ha sottolineato Blengino.

L’avvocato esperto di tecnologie digitali si riferisce al Child Online Protection Act, considerata a più riprese da esperti nel settore e legali come inefficace e potenzialmente incostituzionale. Questa legge aveva l’intento di proteggere i bambini dal contatto con materiale sessuale reperibile online, ma è stata ufficialmente abolita nel gennaio 2009 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti per violazione del primo e del quinto emendamento della Costituzione statunitense.

Ricapitolando: la legge proposta da Azione è carente non solo nell’individuazione dell’oggetto di tutela, ma anche di una valutazione chiara e approfondita degli strumenti che sarebbero utilizzati per tutelare i minori in questo settore.

Spesso il dibattito politico su questo tema non considera l’insieme di variabili che caratterizzano il fenomeno della fruizione online di contenuti potenzialmente dannosi. «Bisognerebbe avere il coraggio di affrontare il problema della tutela dei minori online e non nascondersi dietro a una diversa normativa, quella a tutela dei dati personali, che nel regolamentare il consenso al trattamento dei dati del minore ha finalità estranee ai contenuti in rete», ha concluso Blengino. 

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