Giovani: le proposte dei principali partiti in quattro fact-checking

Dalla dote ai diciottenni all’azzeramento dell’Irpef, passando per il riscatto gratuito della laurea e le agevolazioni per i mutui: ecco che cosa torna, e cosa no, nelle promesse degli schieramenti in vista delle elezioni
ANSA/ MASSIMO PERCOSSI
ANSA/ MASSIMO PERCOSSI
Alle elezioni politiche del 25 settembre per la prima volta potranno partecipare al voto per il Senato anche i cittadini con un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, grazie alla riforma della Costituzione approvata a ottobre 2021. Stiamo parlando di oltre 4 milioni di cittadini che prima potevano partecipare solo all’elezione dei membri della Camera dei deputati. Che cosa promettono i partiti a questa fascia di età, e più in generale ai giovani ventenni e trentenni, per conquistare il loro voto?

Per ora i sondaggi mostrano un certo sconforto tra gli under 35 nei confronti della politica. Secondo un sondaggio di YouTrend/Quorum per Sky Tg24, quasi il 90 per cento dei giovani pensa che la classe politica non si stia occupando abbastanza di loro, con un 39 per cento che è indeciso o non sa se astenersi al voto del 25 settembre.

Per riavvicinare i giovani alla politica sono nate di recente diverse iniziative, tra cui “20e30”, che sul suo sito si definisce un «comitato di garanzia per le giovani generazioni». «20e30 è un’iniziativa ideologicamente trasversale che si pone l’obiettivo di combattere l’astensionismo giovanile e di porre un faro sulle esigenze della nostra generazione nella prossima legislatura», ha spiegato a Pagella Politica Mattia Angeleri, uno dei promotori del progetto. «Da qui alle elezioni faremo dei confronti con i rappresentanti di quasi tutti i partiti, al fine di comprendere quali proposte hanno pensato per la generazione 20e30».

Abbiamo analizzato quattro misure per i giovani contenute nei programmi dei principali schieramenti o partiti presenti alle elezioni: il programma della coalizione di centrodestra (composta da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati), quello del Partito democratico, quello del Movimento 5 stelle e quello di Italia viva e Azione. Fatti e numeri alla mano, ecco che cosa torna, e cosa no, nelle loro proposte. 

Il Partito democratico e la dote ai diciottenni

Una delle proposte del Partito democratico più dibattute riguarda l’introduzione di una «dote» da 10 mila euro per i neo diciottenni, selezionati in base all’Isee, per «coprire le spese relative alla casa, all’istruzione e all’avvio di un’attività lavorativa». La misura dovrebbe essere finanziata tramite una revisione delle aliquote sulle imposte di successione, aumentando in particolare quelle per i patrimoni «superiori ai 5 milioni di euro».

In Italia le imposte sulle successioni sono più basse rispetto agli altri grandi Paesi europei: oggi le aliquote non superano l’8 per cento, mentre in Francia possono arrivare fino al 45 per cento, nel Regno Unito al 40 per cento, in Spagna al 34 per cento e in Germania al 30 per cento.

Il Pd aveva proposto l’introduzione della dote per i diciottenni già a maggio 2021, calcolando che questa avrebbe interessato 280 mila giovani all’anno, corrispondenti a circa la metà delle persone che compiono 18 anni, per un costo complessivo di 2,8 miliardi di euro. 

L’idea è stata criticata sia dagli avversari politici del Pd che da alcuni economisti. Oltre al centrodestra, che contesta soprattutto il carattere “patrimoniale” dell’imposta che si vuole modificare, anche il leader di Azione Carlo Calenda ha scritto su Twitter che «la dote ai diciottenni aggira i veri problemi che sono formazione e tasse sul lavoro». Su La Repubblica, gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno invece accolto favorevolmente l’idea di rivedere il funzionamento della tassa sulle successioni, ma hanno invece espresso alcuni dubbi sull’utilità della dote per i diciottenni, affermando che «ci sono strumenti più mirati per garantire maggiore uguaglianza delle opportunità». Su L’Essenziale Andrea Barenghi, docente di Diritto bancario, civile e dei consumatori all’Università del Molise, ha anche sottolineato che la cifra di 10 mila euro difficilmente può risultare realmente utile per finanziare l’acquisto di una casa o l’avvio di un’impresa, che generalmente richiedono investimenti ben più onerosi. 

In generale, vista la difficoltà nello stimare la distribuzione della ricchezza e delle eredità in Italia, uno dei dubbi principali riguarda le coperture economiche, ossia se si raccoglieranno ogni anno abbastanza soldi per finanziare la dote. In più, c’è il rischio che i contribuenti plurimilionari spostino una parte dei loro capitali all’estero, per evitare di essere colpiti da un aumento delle imposte.

Il Movimento 5 stelle e il riscatto gratuito della laurea

Tra le altre cose, il partito guidato da Giuseppe Conte propone di rendere «gratuito» il riscatto della laurea a fini pensionistici, per «incentivare lo studio universitario» e «riconoscere l’impegno profuso nel percorso di studi in vista dell’attività lavorativa». 

Oggi è possibile convertire gli anni di studi universitari in anni pensionistici, in modo da avere una pensione più alta oppure anticipare il momento in cui smettere di lavorare. Il riscatto però ha un costo non indifferente: anche con il regime agevolato, introdotto nel 2019 dal primo governo Conte, il riscatto di un corso di laurea triennale può costare oltre 15 mila euro, pagabili anche a rate, e quello del titolo magistrale supera i 25 mila euro (l’Inps offre anche un simulatore online con cui è possibile calcolare quanto costerebbe il proprio riscatto). 

Secondo il Movimento 5 stelle, rendere gratuito questo processo potrebbe incentivare i giovani a proseguire gli studi, aumentando quindi il tasso di laureati. Quello che però non viene specificato è il costo della misura che, secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, si aggirerebbe intorno ai 4 o 5 miliardi di euro all’anno. Nel suo programma il movimento non dice dove intende ricavare le coperture finanziarie per coprire questa spesa.

Il centrodestra e le agevolazioni per l’accesso al mutuo

Il programma della coalizione di centrodestra, formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi moderati, prevede di introdurre «agevolazioni per l’accesso al mutuo per l’acquisto della prima casa per le giovani coppie», senza indicare come intende finanziare la misura ed escludendo, dunque, chi vive da solo. La proposta è sostenuta anche da partiti con orientamento politico diverso. Per esempio, il programma di Impegno civico – il partito fondato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, parte della coalizione di centrosinistra – propone di «agevolare i giovani» per «garantire la possibilità di potersi comprare una casa». 

L’introduzione di misure per favorire l’accensione di mutui sulla prima casa non è particolarmente innovativa. Già la legge di Bilancio per il 2014 ha istituito il Fondo di garanzia per la prima casa, che prevede una serie di garanzie statali sui mutui per l’acquisto della prima casa dedicate in particolare a «giovani coppie», giovani con meno di 36 anni e genitori single con figli minorenni. Il Fondo è sempre stato rifinanziato con le varie leggi di Bilancio, e nel 2021 il governo Draghi con il decreto “Sostegni bis” ha concesso ulteriori agevolazioni, per esempio alzando la misura massima della garanzia concedibile dallo Stato dal 50 per cento all’80 per cento per le categorie prioritarie, oppure esentando le persone con meno di 36 anni dal pagamento dell’imposta di bollo e dalle imposte ipotecaria e catastale legate alle prime case. 

Come sottolineato da un’analisi del sito lavoce.info, nonostante l’introduzione di queste agevolazioni, il numero di giovani che vivono con i genitori non è diminuito negli ultimi dieci anni, anzi. Secondo i dati Istat, nel 2010 viveva con i genitori il 58,6 per cento delle persone non sposate tra i 18 e i 34 anni, mentre nel 2021 il dato è salito al 67,6 per cento. Anche prima della pandemia la percentuale risultava comunque in crescita rispetto al passato: nel 2019 era pari al 64,3 per cento. 

Azione-Italia viva e l’azzeramento dell’Irpef

La coalizione di centro formata da Azione e Italia viva propone, tra le altre cose, di azzerare l’Irpef, ossia l’imposta sui redditi delle persone fisiche, per i giovani fino a 25 anni, e di dimezzarla per quelli fino a 29 anni. Anche questa proposta non è esente da alcuni limiti, tanto che, secondo un’analisi del centro studi Tortuga dello scorso marzo, potrebbe addirittura rivelarsi regressiva, ossia rischierebbe di redistribuire risorse a favore dei gruppi più ricchi della popolazione. 

Innanzitutto, va sottolineato che oggi, in Italia, i giovani tra i 15 e i 29 anni che lavorano, e che quindi beneficerebbero di un eventuale taglio dell’Irpef, sono una minoranza sul totale in questa fascia d’età. Nel 2021, secondo Istat, solo il 31,1 per cento dei cittadini in questa fascia d’età risultava “occupato”, una definizione che Istat applica a chiunque abbia svolto «almeno un’ora di lavoro» in una data settimana di riferimento. Molti di questi giovani considerati “occupati” potrebbero quindi risultare già esentati dal pagamento dell’Irpef, perché hanno un reddito inferiore alla soglia minima che fa scattare l’imposta. 

In ogni caso, secondo Tortuga, l’eliminazione o il taglio dell’Irpef nelle modalità proposte da Azione e Italia viva andrebbe a favorire soprattutto i giovani che già hanno un reddito relativamente alto, e che quindi potrebbero risparmiare cifre maggiori grazie all’applicazione di una decurtazione calcolata in percentuale. «Per circa la metà degli under 30 che lavorano l’Irpef è pari a zero, e si tratta della metà più povera. Man mano che si diventa più ricchi l’Irpef pagata sale, e quindi sarebbe maggiore il beneficio del taglio d’imposta proposto, con un effetto regressivo», spiega il centro studi. 

In particolare, Tortuga ha calcolato che i giovani che già ora hanno un reddito particolarmente alto trarrebbero il maggiore beneficio dall’eliminazione o la riduzione dell’Irpef, non solo in termini assoluti ma anche percentuali. Il provvedimento rischia di contribuire a far crescere le diseguaglianze, impiegando ogni anno oltre 5 miliardi di euro. 

Ad agosto il responsabile dell’Ufficio studi di Azione, Giovanni Franchi,  ha commentato su Twitter queste stime, definendole «un ottimo lavoro», ma aggiungendo che il partito di Carlo Calenda punta a «far crescere i salari medi» anche con «altre proposte complementari».

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