I fatti dietro la promessa: Letta, le tasse di successione e la «dote» ai diciottenni

Il segretario del Partito democratico ha rispolverato una proposta già avanzata a maggio 2021, ma criticata dalla maggior parte delle altre forze politiche
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 30 luglio, in un’intervista al Tg2, il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha commentato la posizione e gli obiettivi del partito in vista delle elezioni del prossimo 25 settembre. Tra le altre cose, Letta ha detto che il Pd intende introdurre una nuova «dote» per i giovani che compioni 18 anni, finanziata con una «tassa di successione sui patrimoni plurimilionari». «Questo è il senso delle generazioni che si aiutano», ha detto Letta. 

Come spesso succede con le promesse elettorali, la proposta non è nuova: già a maggio 2021 Letta aveva proposto di aumentare le imposte sulle eredità oltre i 5 milioni di euro, in modo da raccogliere fondi per dare ogni anno ai diciottenni meno avvantaggiati una «dote» da 10 mila euro. La misura, secondo il Pd, avrebbe colpito solo la parte più abbiente della popolazione, per ridistribuire la ricchezza verso i meno fortunati. In quell’occasione, l’idea era criticata dal centrodestra ed era stata accantonata dal governo guidato da Mario Draghi, senza quindi concretizzarsi.  

A meno di due mesi dalle elezioni, l’idea di aumentare le tasse sulle successioni ha nuovamente trovato l’opposizione di molti dei partiti. Oltre alle critiche del centrodestra – dalla Lega di Matteo Salvini a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che hanno definito la misura una «patrimoniale» – anche alcuni partiti di centro hanno bocciato la misura. Per esempio, il leader di Italia viva, Matteo Renzi, ha dichiarato: «Aumentare la tassa di successione è folle», chiedendosi: «Possiamo almeno morire gratis?», mentre il segretario di Azione Carlo Calenda ha scritto su Twitter che «ai diciottenni non serve una dote ma un’istruzione di qualità e meno tasse sul lavoro».

Al di là delle opinioni relative alla proposta del Pd, come funziona oggi la tassa di successione in Italia? E cosa comporterebbe aumentarla? Abbiamo guardato ai numeri che stanno dietro a questa proposta. 

La tassa di successione in Italia

Le imposte di successione colpiscono il trasferimento di una ricchezza (in diverse forme, come case, terreni e conti correnti, al netto dei debiti) da una persona morta a un suo parente, oppure a qualcuno che con il defunto non ha legami di sangue. Queste tasse riguardano quindi la ricchezza di un contribuente – e non, per esempio, il suo reddito – e rappresentano un particolare tipo di tassa sul patrimonio (più comunemente chiamata “patrimoniale”), una caratteristica spesso citata dai partiti di centrodestra per screditare la proposta dal Pd. 

Oggi in Italia le imposte sulle successioni sono regolate da una legge del 2006, approvata dall’allora governo Prodi II, che aveva reintrodotto le tasse sull’eredità soppresse nel 2001 dall’allora governo Berlusconi III. Secondo queste norme, la tassa di successione per le eredità trasmesse ai coniugi e ai figli (i parenti in linea diretta) riguarda solo i patrimoni sopra il milione di euro, ai quali viene applicata un’aliquota, quindi un prelievo, del 4 per cento. Un’aliquota diversa, pari al 6 per cento, vale invece per i trasferimenti verso fratelli o sorelle: in questo caso la franchigia – ossia la soglia oltre la quale scatta l’imposta – è di 100 mila euro. C’è poi una terza aliquota, sempre del 6 per cento, per i trasferimenti a parenti più lontani, come i cugini o i figli di fratelli e sorelle, ma in questo caso non c’è nessuna franchigia. Infine, c’è una quarta e ultima aliquota, quella più alta, dell’8 per cento, che vale per tutti i passaggi di ricchezza non considerati dalle precedenti aliquote (per esempio verso i parenti oltre il quarto grado, o verso estranei), senza soglie di valore.

Queste aliquote sono le più basse tra i principali Paesi europei: per i trasferimenti di ricchezza a verso parenti, in Francia le aliquote possono arrivare fino al 45 per cento, nel Regno Unito al 40 per cento, in Spagna al 34 per cento, e in Germania al 30 per cento. 

La proposta del Pd

Con la sua proposta, il Partito democratico intende alzare le aliquote sulle imposte di successione, ma solo quelle sui patrimoni «plurimilionari». Oggi non sappiamo con esattezza quanti milionari riesedano nel nostro Paese: stimare la ricchezza è infatti un esercizio molto complesso, visto che essa è costituita spesso da beni difficili da valutare o di cui non esistono registri. 

Possiamo comunque appoggiarci ad alcune ricerche di società private. Secondo l’ultimo studio dell’azienda di consulenza strategica Bcg (Boston Consulting Group), nel 2021 erano presenti in Italia 431 mila milionari, circa lo 0,9 per cento del totale della popolazione adulta. Secondo il Global Wealth Report 2021 dell’istituto di credito Credit Suisse, invece, nel 2020 vivevano in Italia un milione e 480 mila persone con un patrimonio superiore a un milione di dollari (circa 975 mila euro).

Non è chiaro al momento se il Pd intenda aumentare le aliquote per tutti i patrimoni superiori al milione di euro, oppure solo a partire da una certa soglia. A maggio 2021, per esempio, il partito aveva detto che la misura avrebbe interessato solo i patrimoni superiori ai 5 milioni di euro, ma sapere quanti sono al momento non è facile. Non sappiamo nemmeno se la «dote» che si ricaverebbe da un aumento delle imposte andrebbe a beneficio di tutti i neo-diciottenni, oppure soltanto di alcuni. In passato, infatti, il Pd aveva calcolato che ogni anno il bonus sarebbe stato erogato, in base all’Isee familiare, a 280 mila diciottenni, circa la metà del totale.

È possibile che il Partito democratico decida di rivedere la propria proposta in vista delle elezioni del 25 settembre, modificando per esempio la franchigia sui patrimoni o i criteri per l’assegnazione della dote. 

Secondo uno studio realizzato nel febbraio 2020 dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani, diretto dall’economista Carlo Cottarelli, da un lato l’imposta di successione «può essere uno strumento di equità sociale ed è meno distorsiva delle imposte sui redditi», ma dall’altro è difficile evitare che questa finisca per pesare soprattutto sulle proprietà immobiliari del ceto medio, poiché non colpisce per esempio le quote societarie o i beni nascosti all’estero. 

Gli autori dello studio, Edoardo Frattola e Giampaolo Galli, avevano quindi proposto di «mantenere franchigie sufficientemente elevate, in modo tale da evitare che la tassazione ricada prevalentemente sulle proprietà immobiliari del ceto medio, ma al tempo stesso aumentare le aliquote (e la loro progressività) sui trasferimenti più grandi: ciò potrebbe verosimilmente consentire di incassare di più e di rafforzare il carattere redistributivo» dell’imposta.

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