È stata stroncata in un paio di ore l’idea del Partito democratico di aumentare la tassa di successione che, secondo le stime dei proponenti, riguarderebbe i patrimoni milionari dell’1 per cento dei contribuenti. Con un obiettivo specifico: finanziare una dote di 10mila euro per i 18enni con un reddito medio-basso.

Il 20 maggio, nel primo pomeriggio, il segretario dem Enrico Letta ha lanciato su Twitter la proposta – anticipando un’intervista a Sette, il settimanale del Corriere della sera – della dote ai 18enni: «Per la generazione più in crisi un aiuto concreto per studi, lavoro, casa – ha scritto – per essere seri va finanziata non a debito (lo ripagherebbero loro) ma chiedendo all’1% più ricco del paese di pagarla con la tassa di successione». L’idea è stata immediatamente bocciata da tutto il centrodestra.

Qualche ora dopo, in conferenza stampa, anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, pur specificando «non ne abbiamo mai parlato», non ha nascosto le proprie perplessità: «Questo non è il momento di prendere i soldi dai cittadini, ma di darli», ha detto il premier.

Vediamo meglio in che cosa consiste l’ipotesi del Pd, qual è la situazione delle tasse di successione oggi in Italia e quali sono le opinioni di favorevoli e contrari.

La legge attuale e la proposta del Pd

Sempre il 20 maggio, a sera, il Partito democratico, nonostante la polemica e la parziale chiusura di Mario Draghi, non ha rinunciato a rilanciare la proposta tramite un tweet, corredato di infografiche per spiegarne meglio il contenuto.

Il Pd vorrebbe introdurre una “dote” di 10mila euro da destinare ai 18enni sulla base dell’Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) della famiglia. Non viene specificato quale sarebbe il tetto di reddito, ma le stime contenute nel tweet indicano una platea di «circa 280.000 ragazzi e ragazze», la metà del totale (al 1° gennaio 2021, le persone di 18 anni in Italia erano circa 566mila, secondo i dati Istat correttamente citati dal Pd). La dote dovrebbe essere utilizzata dai beneficiari solo per scopi legati a formazione e istruzione, lavoro e piccola imprenditoria, casa e alloggio.

Il costo stimato della misura sarebbe di 2,8 miliardi all’anno e il Pd vorrebbe finanziarli con un aumento della tassa di successione.

Come abbiamo spiegato in passato, nel nostro Paese le imposte sulle successioni sono attualmente regolate da una legge del 2006, approvata dall’allora governo Prodi II, che aveva reintrodotto le tasse sull’eredità soppresse nel 2001 dall’allora governo Berlusconi III.

Primo dato da tenere in mente: ad oggi, la tassa successione per le eredità trasmesse ai coniugi e ai figli (i parenti in linea diretta) riguarda solo i patrimoni sopra il milione di euro, a cui viene applicata un’aliquota, quindi un prelievo, del 4 per cento.

Una diversa aliquota, del 6 per cento, vale invece per i trasferimenti verso fratelli o sorelle e in questo caso la franchigia – ossia la soglia oltre la quale scatta l’imposta – è di 100 mila euro.

C’è poi una terza aliquota, sempre del 6 per cento, per i trasferimenti a parenti più lontani, come i cugini o i figli di fratelli e sorelle, ma in questo caso non c’è nessuna franchigia. Infine, c’è una quarta e ultima aliquota, quella più alta, dell’8 per cento: vale per tutti i passaggi di ricchezza non considerati dalle precedenti aliquote, senza soglie di valore.

L’ipotesi del Partito democratico riguarderebbe solo il primo gruppo, ovvero le donazioni tra genitori e figli sopra il milione di euro: la tassa continuerebbe a scattare solo per i patrimoni superiori a quella soglia – così com’è ora – ma prevederebbe inoltre un aumento dell’aliquota al 20 per cento per le eredità di più di 5 milioni di euro.

Il Pd sostiene che questa tassa di successione toccherebbe l’1 per cento degli italiani. Ci sono pochi dati certi sulla situazione patrimoniale della popolazione, ma proviamo a mettere insieme i pochi disponibili. Secondo un rapporto dell’azienda di consulenza strategica Bcg (Boston Consulting Group), aggiornato a fine 2019, in Italia vi sarebbero «400 mila milionari, cioè persone che detengono un patrimonio di almeno un milione di dollari in ricchezza finanziaria, l’1 per cento della popolazione adulta».

Secondo le tabelle allegate all’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2016 (disponibili qui alla voce “Tavole 2016”), pubblicata nel 2018 dalla Banca d’Italia, un decimo delle famiglie italiane ha un patrimonio netto superiore a circa 460 mila euro. Banca d’Italia, però, non specifica quanti, in questo 10 per cento, abbiano un patrimonio anche superiore al milione di euro.

Il confronto con gli altri Paesi

Nell’infografica, il Pd sostiene anche che «l’aliquota di tassazione per eredità o donazioni superiori a 5 milioni di euro tra genitori e figli è tra le più basse d’Europa» perché, se in Italia è al 4 per cento, in Germania è al 30, in Spagna al 34, in Gran Bretagna al 40 per cento e in Francia al 45.

Al netto di un’imprecisione – in Germania l’aliquota è al 23 per cento per i patrimoni sopra i 6 milioni di euro – questi dati sono corretti e lo è l’affermazione di fondo: come abbiamo dimostrato di recente, l’Italia ha aliquote e franchigie che sono più generose rispetto ad alcuni fra i principali Stati europei (e non solo). Di sicuro, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna – ognuno con sistemi di calcolo e di esenzioni diverse – hanno prelievi più alti di quelle italiane.

Favorevoli e contrari

«L’Italia non è certo un paradiso fiscale, ma si avvicina a esserlo per le imposte di successione in confronto ad altre economie industrializzate»,ha scritto sul Fatto quotidiano Salvatore Morelli,economista membro del Forum diseguaglianze e diversità.

Secondo Morelli, favorevole a una riforma della tassa di successione, «nel 2016 si stima che i 154 miliardi di euro di lasciti ereditari (…) abbiano generato 420 milioni di gettito, lo 0,27 per cento del valore complessivo dei lasciti e lo 0,06 delle entrate complessive della pubblica amministrazione».

Dall’opinione pubblica più a destra, la proposta è stata presentata come un modo di togliere soldi agli italiani. Il 21 maggio, il direttore de La Verità Maurizio Belpietro ha scritto che la tassa di successione è «il termine con cui il fisco cerca di mettere le mani in tasca a chiunque abbia qualche cosa da lasciare agli eredi» (numeri alla mano, come abbiamo visto, non è propriamente così, visto che la misura riguarderebbe solo i patrimoni milionari).

Anche alcuni esponenti del Pd, come il senatore Andrea Marcucci, hanno preso le distanze dalla proposta del segretario: «Sulla proposta di aumentare latassa di successione condivido totalmente la risposta del presidente Draghi», ha scritto Marcucci su Twitter.

Diverse critiche sono arrivate anche da gli economisti di stampo più liberista. In un video del 21 maggio, Carlo Amenta, professore di Scienze economiche all’Università di Palermo, e Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni (il cui slogan è “Idee per il libero mercato”) si sono confrontati sui punti deboli della proposta.

Secondo Stagnaro, «l’imposta di successione colpisce dei beni, mobili o immobili, che sono stati risparmiati da genitori e parenti per lasciarli ai figli» e si arriverebbe alla situazione paradossale in cui «i redditi dei genitori che li hanno consumati vengono tassati meno rispetto a quelli dei genitori che li hanno risparmiati con un occhio al futuro dei figli». Stagnaro ha sottolineato inoltre che i «giovani non li risarcisci dandoli 10mila euro, li risarcisci dandogli la scuola che non gli hai dato finora».

«Se volete pensare ai giovani – ha aggiunto Amenta nello stesso video – riducete la spesa pubblica, mandate in pensione le persone più tardi, abbassate le imposte e liberalizzate i settori perché così i giovani avranno la possibilità di fare qualcosa, ma non inventatevi un’altra tassa».

Sandro Brusco, professore di Economia alla Stony Brook University di New York, ha criticato l’idea stessa di un intervento che preveda una dote in denaro per i 18enni – ipotesi già avanzata, con alcune differenze, dal Forum diseguaglianze e diversità.

Secondo Brusco, un «trasferimento di 15 mila euro al compimento dei 18 anni [la cifra è nella proposta del Forum, mentre il Pd ha parlato di 10mila euro, ndR] (…) da un lato, mediante un tradizionale “effetto reddito” tende a scoraggiare l’offerta di lavoro» e «dall’altro tende a favorire un miglior incontro tra le capacità del lavoratore e le necessità del datore di lavoro», ovvero la disponibilità in denaro permetterebbe ai ragazzi di scegliere un lavoro più corrispondente alle loro ambizioni, senza dover sottostare agli obblighi della necessità. Secondo l’economista, se si ottenesse dell’extra-gettito, dovrebbe essere utilizzato per ridurre «le tasse per i redditi da lavoro più bassi».

L’analisi dell’Ocp

In tempi non sospetti, il 5 febbraio 2020, un articolo dell’Osservatorio conti pubblici italiani (diretto dall’economista Carlo Cottarelli) ha analizzato i pro e i contro dell’imposta di successione. Secondo i due autori, Edoardo Frattola e Giampaolo Galli, «da un lato l’imposta può essere uno strumento di equità sociale ed è meno distorsiva delle imposte sui redditi, dall’altro è difficile evitare che essa, non potendo incidere sulle quote societarie e sui beni nascosti all’estero, finisca per incidere soprattutto sulle proprietà immobiliari del ceto medio e sia percepita come una “tassa sulle disgrazie” in quanto tende a colpire i beni di coloro che muoiono prematuramente, prima di avere potuto sistemare gli affari di famiglia».

Allo stesso tempo, i due ricercatori, nelle conclusioni, hanno avanzato un’ipotesi molto simile a quella di cui si sta parlando in questi giorni: «Una proposta ragionevole – scrivono – potrebbe essere quella di mantenere franchigie sufficientemente elevate, in modo tale da evitare che la tassazione ricada prevalentemente sulle proprietà immobiliari del ceto medio, ma al tempo stesso aumentare le aliquote (e la loro progressività) sui trasferimenti più grandi: ciò potrebbe verosimilmente consentire di incassare di più e di rafforzare il carattere redistributivo» dell’imposta.