Il pasticcio del Piracy Shield è colpa di un avverbio

Lo strumento per combattere la pirateria digitale ha bloccato Google Drive a seguito di una modifica alla legge contenuta nel decreto “Omnibus”
Ansa
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Tra il 19 e il 20 ottobre un errore legato al Piracy Shield, la piattaforma nazionale antipirateria, ha provocato il blocco temporaneo di Google Drive, il servizio di condivisione file di Google, causando interruzioni e problemi per molti utenti. I disagi hanno riacceso il dibattito su questo strumento, introdotto nel 2023 per combattere la pirateria digitale, che però ha vari problemi.

Il recente disservizio, partito da una segnalazione errata, è stato possibile perché un emendamento al decreto “Omnibus” ha modificato di recente una parola, nello specifico un avverbio, del testo della legge che contrasta lo streaming illegale delle partite di Serie A. 

Ma che cos’è nello specifico questo Piracy Shield, e che cosa è successo di preciso in Parlamento? Facciamo chiarezza.

Che cos’è il Piracy Shield

Il Piracy Shield (traducibile in italiano con “Scudo antipirateria”) è uno strumento informatico gestito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) per contrastare la pirateria online e proteggere contenuti come eventi sportivi, film, musica e software distribuiti illegalmente. Il suo scopo è bloccare la diffusione di contenuti piratati, con particolare attenzione agli eventi in diretta, come le partite di calcio della Serie A. 

Il Piracy Shield è stato introdotto a luglio 2023, quando il Senato ha approvato in via definitiva una nuova legge che ha conferito all’Agcom nuovi poteri per rendere più efficace e tempestivo il contrasto alla pirateria. Questi poteri consentono all’Agcom di intervenire rapidamente per bloccare l’accesso a contenuti piratati, usando una serie di strumenti informatici, tra cui il Piracy Shield, appunto. La nuova legge è nata da due proposte parlamentari: una di Fratelli d’Italia, l’altra della Lega

Più nel dettaglio, il Piracy Shield è una piattaforma progettata per consentire ai titolari di diritti d’autore di segnalare rapidamente domini o indirizzi IP che ospitano contenuti piratati. Una volta ricevuta una segnalazione di sospetta pirateria da parte di un possessore di diritti d’autore, cioè dal legittimo proprietario di un contenuto informatico, l’Agcom può ordinare agli Internet Service Provider (ISP) italiani, ossia le società che forniscono servizi internet agli utenti, di bloccare l’accesso ai siti coinvolti entro un massimo di 30 minuti. Questa rapidità nel bloccare i contenuti è una delle caratteristiche distintive del sistema, su cui si sono concentrate alcune critiche.

Un indirizzo IP (sigla che sta per “Internet Protocol”) è spesso descritto come un numero che “identifica” un dispositivo su internet. Ma nella pratica un singolo indirizzo IP può essere condiviso da centinaia di migliaia di server o utenti. Per esempio, i fornitori di servizi cloud usano indirizzi IP che ruotano tra vari clienti o sono condivisi da migliaia di siti web. In più, i fornitori di connessioni domestiche assegnano spesso un unico IP a molti utenti. Questo significa che bloccare un indirizzo IP può colpire non solo il sito “pirata”, ma anche molti altri siti legittimi.

Una delle critiche più frequenti rivolte al Piracy Shield riguarda il fatto che le decisioni di blocco possono essere prese senza il coinvolgimento di un’autorità giudiziaria. La piattaforma funziona attraverso procedure automatizzate che semplificano e accelerano le segnalazioni da parte dei titolari dei diritti d’autore, che possono inviare le loro denunce tramite un portale dedicato. Una volta verificata la segnalazione, l’Agcom può emettere un’ordinanza di blocco, consentendo agli ISP di impedire l’accesso ai contenuti pirata. In ogni caso, il Piracy Shield non rimuove direttamente i contenuti dai server pirata, ma ne limita la diffusione bloccando l’accesso agli utenti italiani.

Dunque, gli ISP giocano un ruolo centrale nell’applicazione delle misure di blocco, dato che devono collaborare con l’Agcom per garantire che i blocchi siano attuati uniformemente su tutto il territorio nazionale.

Le critiche al Piracy Shield

L’uso del blocco degli indirizzi IP da parte del Piracy Shield ha suscitato diverse critiche, sottolineate dalla stessa Agcom in una delibera pubblicata il 26 luglio 2023. 

Uno dei problemi evidenziati dall’autorità riguarda il fatto che un singolo IP può ospitare migliaia di siti web. L’Agcom ha sottolineato anche che il Piracy Shield non prevede un controllo dell’autorità giudiziaria prima di ordinare i blocchi, il che ha sollevato preoccupazioni su possibili abusi o errori. La rapidità con cui i blocchi vengono implementati non consente alle aziende di servizi internet di verificare l’effettiva validità delle richieste, aumentando il rischio di limitare indebitamente la libertà digitale degli utenti. 

Un altro problema è l’effetto temporaneo di questi blocchi. I pirati digitali, infatti, potrebbero facilmente aggirare le restrizioni cambiando gli indirizzi IP o spostando i loro contenuti su nuove piattaforme, rendendo i blocchi una soluzione non definitiva per il contrasto alla pirateria. 

Insomma, i fatti recenti hanno evidenziato che le strategie messe in campo finora per combattere il problema della pirateria online debbano essere perfezionate.

Il cambio di avverbio

Il blocco temporaneo di Google Drive, causato da un disservizio del Piracy Schield avvenuto di recente, è stato attribuito a una modifica delle norme introdotta poche settimane fa. 

Il 7 ottobre, infatti, la Camera ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto “Omnibus”. Questo provvedimento contiene misure di vario genere, tra cui una modifica alla legge che ha istituito il Piracy Shield. Il nuovo decreto-legge ha previsto che per bloccare l’accesso a un sito è sufficiente dimostrare che l’indirizzo IP sia utilizzato «prevalentemente» per trasmettere contenuti piratati. Prima di questa modifica la legge prevedeva che, per giustificare una segnalazione, era necessario dimostrare che un sito fosse utilizzato «univocamente» per attività illecite. La modifica di questo avverbio ha suscitato un acceso dibattito, dato che secondo alcuni determinerebbe una maggiore flessibilità nella decisione di quali siti considerare come “pirata”, causando blocchi ingiustificati anche su servizi legittimi, come avvenuto nel caso di Google Drive. 

La modifica della normativa sul Piray Shield è stata introdotta nel decreto “Omnibus” grazie a un emendamento presentato al Senato da alcuni esponenti di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Al Senato i relatori del provvedimento sono stati il senatore di Forza Italia Claudio Lotito, presidente della squadra di calcio della Lazio, e il vicepresidente del gruppo parlamentare di Noi Moderati al Senato Giorgio Salvitti.

Una volta approvato al Senato, il 1° ottobre il decreto è passato alla Camera. Qui alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno tentato di sopprimere le modifiche alla normativa sul Piracy Shield con un altro emendamento, che però non è passato. Già lo scorso anno i deputati del Movimento 5 Stelle avevano proposto di introdurre un limite temporale all’inibizione di una determinata fonte, per evitare di bloccare indiscriminatamente servizi legittimi. A luglio 2023 anche la deputata di Fratelli d’Italia Grazia Di Maggio aveva manifestato perplessità sull’introduzione del Piracy Shield, sostenendo che i detentori dei diritti d’autore dovrebbero interagire direttamente con i provider, senza l’intermediazione di uno strumento terzo.

Oltre al Movimento 5 Stelle, anche Azione si è espressa contro le recenti modifiche al Piracy Shield, pur avendo inizialmente sostenuto l’impostazione generale della proposta di legge. A gennaio 2023, in Commissione Cultura alla Camera la deputata di Azione Giulia Pastorella aveva ribadito l’importanza di bloccare gli IP responsabili della diffusione di contenuti illeciti, sottolineando comunque la necessità di evitare blocchi indiscriminati. 

Ricapitolando: da più di un anno in Italia è operativo il Piracy Shield, uno strumento informatico che su segnalazione blocca i siti che trasmettono contenuti “pirata”. Non mancano problemi e il dibattito rimane aperto: la mancanza di un controllo giudiziario preventivo e il rischio di blocchi indiscriminati, complice la recente modifica della normativa, hanno sollevato dubbi sull’affidabilità di questo strumento.

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