Il 6 novembre il Senato ha approvato definitivamente una legge che consentirà alle persone senza fissa dimora di iscriversi alle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali (ASL), di avere accesso alle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) e di scegliere un medico di medicina generale (noto anche come “medico di base”). La proposta di legge è stata presentata dal deputato del Partito Democratico Marco Furfaro a ottobre 2022, all’inizio della legislatura, ed è stata approvata dalla Camera lo scorso 25 giugno. In entrambe le camere del Parlamento, la proposta è stata approvata all’unanimità, ossia con il voto favorevole di tutti i partiti.
La proposta di legge istituisce un fondo, con una dotazione da un milione di euro l’anno per il 2025 e il 2026, che servirà a finanziare un «programma sperimentale» per garantire l’assistenza sanitaria di base alle persone senza fissa dimora che vivono nelle città metropolitane italiane. Entro il 30 giugno di ogni anno il governo dovrà presentare al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge, con particolare riferimento al numero di persone senza fissa dimora iscritte nelle liste ASL, alle prestazioni sanitarie fornite a queste persone, ai costi sostenuti dal fondo e alle eventuali criticità riscontrate nell’attuazione del programma.
Al Senato la relatrice della legge è stata la senatrice Tilde Minasi (Lega), che il 6 novembre, durante la discussione in aula, ha spiegato che «allo stato attuale, il diritto dei senza fissa dimora all’assistenza sanitaria non è compiutamente garantito, per la difficoltà che riscontrano queste persone ad ottenere la residenza». Prima dell’approvazione della nuova legge, infatti, per iscriversi ai registri ASL e scegliere il medico di base era necessario dimostrare di risiedere nello stesso territorio dell’azienda sanitaria di riferimento. Questo è difficile per le persone senza fissa dimora, che non riescono quindi ad avere un medico di base. «L’obiettivo del disegno di legge è, pertanto, colmare questo vuoto di tutela, contrastante con i principi garantiti dagli articoli 3 e 32 della Costituzione», ha aggiunto Minasi. L’articolo 3 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, mentre l’articolo 32 tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e «garantisce cure gratuite agli indigenti».
«Sono emozionato come poche altre volte, non lo nascondo», ha scritto su Instagram Furfaro annunciando l’approvazione della sua proposta di legge. «Perché in una giornata difficile per il mondo intero [il riferimento è all’elezione di Trump negli Stati Uniti, ndr], c’è una buona notizia per l’Italia: il Senato ha appena approvato all’unanimità e in via definitiva la mia proposta di legge per riconoscere alle persone senza dimora il diritto al medico di base», ha proseguito il deputato del PD nel suo post, in cui ha ringraziato anche Antonio Mumolo, presidente dell’organizzazione di volontari “Avvocato di strada” che da anni chiedeva questo provvedimento.
Come anticipato, il disegno di legge presentato alla Camera da Furfaro è stato accolto all’unanimità in entrambe le aule parlamentari. La relatrice Minasi ha dichiarato che «la maggioranza, a differenza dell’opposizione che comunque contrasta sempre anche gli ottimi provvedimenti di questo governo, quando arrivano proposte valide come quella in esame, sa essere accanto a essa».
Durante la discussione del 6 novembre è intervenuto anche il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato (Fratelli d’Italia), che ha specificato alcuni punti del provvedimento, tra cui il finanziamento del fondo. «Il fatto che dotiamo questo provvedimento di un solo milione di euro è dovuto a due tipi di difficoltà che si sono presentate. La prima era quella legata alla parametrazione dei soggetti interessati dal provvedimento: riusciamo a desumere quanti possano essere i senza fissa dimora, ma non sappiamo quanti di loro abbiano intenzione di accedere al medico di medicina generale. La seconda era, invece, capire quanto costasse la prestazione sanitaria per ciascuna di queste persone, di cui non conoscevamo la parametrazione», ha detto Gemmato. Secondo il sottosegretario, questa difficoltà ha portato alla scelta di partire con «un’area test» di un milione di euro nelle sole città metropolitane, che poi porterà «a una copertura maggiore e, quindi, a una miglior cura di tutti i cittadini non solo italiani, ma di qualunque provenienza».
La proposta di legge istituisce un fondo, con una dotazione da un milione di euro l’anno per il 2025 e il 2026, che servirà a finanziare un «programma sperimentale» per garantire l’assistenza sanitaria di base alle persone senza fissa dimora che vivono nelle città metropolitane italiane. Entro il 30 giugno di ogni anno il governo dovrà presentare al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge, con particolare riferimento al numero di persone senza fissa dimora iscritte nelle liste ASL, alle prestazioni sanitarie fornite a queste persone, ai costi sostenuti dal fondo e alle eventuali criticità riscontrate nell’attuazione del programma.
Al Senato la relatrice della legge è stata la senatrice Tilde Minasi (Lega), che il 6 novembre, durante la discussione in aula, ha spiegato che «allo stato attuale, il diritto dei senza fissa dimora all’assistenza sanitaria non è compiutamente garantito, per la difficoltà che riscontrano queste persone ad ottenere la residenza». Prima dell’approvazione della nuova legge, infatti, per iscriversi ai registri ASL e scegliere il medico di base era necessario dimostrare di risiedere nello stesso territorio dell’azienda sanitaria di riferimento. Questo è difficile per le persone senza fissa dimora, che non riescono quindi ad avere un medico di base. «L’obiettivo del disegno di legge è, pertanto, colmare questo vuoto di tutela, contrastante con i principi garantiti dagli articoli 3 e 32 della Costituzione», ha aggiunto Minasi. L’articolo 3 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, mentre l’articolo 32 tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e «garantisce cure gratuite agli indigenti».
«Sono emozionato come poche altre volte, non lo nascondo», ha scritto su Instagram Furfaro annunciando l’approvazione della sua proposta di legge. «Perché in una giornata difficile per il mondo intero [il riferimento è all’elezione di Trump negli Stati Uniti, ndr], c’è una buona notizia per l’Italia: il Senato ha appena approvato all’unanimità e in via definitiva la mia proposta di legge per riconoscere alle persone senza dimora il diritto al medico di base», ha proseguito il deputato del PD nel suo post, in cui ha ringraziato anche Antonio Mumolo, presidente dell’organizzazione di volontari “Avvocato di strada” che da anni chiedeva questo provvedimento.
Come anticipato, il disegno di legge presentato alla Camera da Furfaro è stato accolto all’unanimità in entrambe le aule parlamentari. La relatrice Minasi ha dichiarato che «la maggioranza, a differenza dell’opposizione che comunque contrasta sempre anche gli ottimi provvedimenti di questo governo, quando arrivano proposte valide come quella in esame, sa essere accanto a essa».
Durante la discussione del 6 novembre è intervenuto anche il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato (Fratelli d’Italia), che ha specificato alcuni punti del provvedimento, tra cui il finanziamento del fondo. «Il fatto che dotiamo questo provvedimento di un solo milione di euro è dovuto a due tipi di difficoltà che si sono presentate. La prima era quella legata alla parametrazione dei soggetti interessati dal provvedimento: riusciamo a desumere quanti possano essere i senza fissa dimora, ma non sappiamo quanti di loro abbiano intenzione di accedere al medico di medicina generale. La seconda era, invece, capire quanto costasse la prestazione sanitaria per ciascuna di queste persone, di cui non conoscevamo la parametrazione», ha detto Gemmato. Secondo il sottosegretario, questa difficoltà ha portato alla scelta di partire con «un’area test» di un milione di euro nelle sole città metropolitane, che poi porterà «a una copertura maggiore e, quindi, a una miglior cura di tutti i cittadini non solo italiani, ma di qualunque provenienza».