Perché il Veneto è diventata la regione con più contagi d’Italia

Ansa
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Nelle ultime settimane in Italia i casi di contagio da coronavirus stanno diminuendo e gli indicatori sull’andamento dell’epidemia appaiono in miglioramento. Per esempio, il tasso di positività – il rapporto tra positivi trovati e tamponi fatti – sta calando, i decessi sembrano aver superato il picco e gli ospedali iniziano a svuotarsi.

C’è però un’eccezione: il Veneto.

Oggi la regione governata dal leghista Luca Zaia, spesso elogiato negli scorsi mesi per la gestione della prima ondata, appare in difficoltà e la situazione è in peggioramento. Nonostante tutto però né la Regione né il governo sembrano intenzionati, almeno per ora, a imporre misure più restrittive.

Vediamo che cosa dicono i numeri sul Veneto e perché mostrano che il virus, in questa zona, sta circolando di più che altrove.

Il Nord-Est è la zona con più contagi

Nell’ultima settimana il Nord-Est è stata la zona d’Italia con il maggior numero di casi rapportati alla popolazione. Nove delle dieci province con più contagi in tutto il Paese si trovano infatti tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia, con Trieste in undicesima posizione. Belluno, con 97 casi ogni 100.000 abitanti, è la provincia messa peggio in Italia.

Un mese fa la situazione era nettamente diversa. Belluno aveva già parecchi casi, ma le regioni che preoccupavano di più erano la Lombardia, la Valle d’Aosta e il Piemonte. A novembre queste tre regioni sono però state messe in zona rossa, decisione che ha contribuito in parte al calo dei contagi.

Nel Nord-Est, come abbiamo anticipato, la situazione più preoccupante riguarda il Veneto, ma anche il Friuli-Venezia Giulia non è messo bene. Questa regione si trova infatti schiacciata tra il Veneto e la Slovenia, una nazione che è ancora nel pieno della seconda ondata e che in due mesi non è riuscita a ridurre i casi giornalieri.

Crescono i casi...

Oggi in Italia quasi tutte le regioni hanno una tendenza al calo nei nuovi casi giornalieri, anche se con grandi differenze. Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte e la Provincia autonoma di Bolzano sono quelle che hanno diminuito di più il numero di nuovi casi nelle ultime settimane. Il Veneto è invece l’unica regione italiana in cui i contagi continuano a crescere.

Quando le altre regioni hanno iniziato a raggiungere il picco di nuovi casi verso metà novembre, il Veneto si è invece stabilizzato tra i 2.900 e i 3 mila casi al giorno. Dal 5 dicembre le diagnosi giornaliere sono però riprese a salire. In una settimana i nuovi contagi giornalieri in media mobile – ossia la media calcolata con i dati di ogni giorno e con quelli dei sei giorni precedenti – sono passati da 3.100 a 3.600.

Il 12 dicembre è stato registrato un massimo di oltre 5 mila nuovi casi in un giorno; anche il numero dei focolai sta crescendo, segno che la diffusione sul territorio è in aumento.

Negli ultimi mesi il Veneto era arrivato a pesare al massimo per il 10 per cento su tutti i casi diagnosticati in Italia, avendo circa l’8 per cento della popolazione del Paese. Questa percentuale è progressivamente salita e ora più di un nuovo caso su cinque si trova in Veneto.

… ma non c’entrano solo i test in più

Diversi esperti, e anche il governatore Zaia, hanno spiegato la crescita dei casi in Veneto con il grande numero di tamponi che fa ogni giorno la regione. Per questa seconda ondata, infatti, il Veneto ha scelto un approccio basato sui cosiddetti “test rapidi”, ossia quelli possono essere analizzati in pochi minuti, ma i cui risultati, per essere considerati del tutto attendibili, devono essere confermati da un “classico” tampone molecolare.

Ogni giorno il Veneto fa migliaia di test rapidi e questo fa sì che il valore del tasso di positività – ossia i casi trovati in rapporto al numero di tamponi eseguiti – sia in un certo senso falsato. Nel bollettino quotidiano della Protezione Civile, infatti, il Veneto inserisce solo il numero dei tamponi molecolari, e non quello degli antigenici (cioè i test rapidi). In questo modo, può sembrare che la regione faccia meno tamponi di quanti in realtà vengano eseguiti; e dunque, il rapporto tra casi trovati e tamponi fatti sarà più alto rispetto a quello di regioni dove i test rapidi sono meno diffusi.

Ma se guardiamo a come sta andando il tasso di positività dei tamponi in Veneto, il peggioramento epidemico della regione è confermato. Il tasso di positività è infatti rimasto intorno al 19-20 per cento per buona parte di novembre, ma a partire da dicembre è ripreso a salire e ora è intorno al 23-24 per cento. Anche in questa speciale classifica, il Veneto è l’unica regione in cui il tasso di positività continua a peggiorare. Questo non si può spiegare solo per l’alto numero di test antigenici, ma anche con una maggiore diffusione del virus.

Nonostante questo peggioramento, va sottolineato che il Veneto ha comunque ancora una buona capacità di monitoraggio dell’andamento dell’epidemia. Il monitoraggio settimanale più aggiornato dell’Istituto superiore di sanità (Iss) dice infatti che in Veneto il numero di casi non associati a catene di trasmissione note è relativamente basso e che il tempo per identificare un nuovo contagiato si è ridotto. In Veneto passano infatti solo due giorni da quando si diventa sintomatici a quando viene effettuato il tampone e uno a quando si viene posti in isolamento. Inoltre nel 97 per cento dei casi viene effettuata un’indagine epidemiologica e il tracciamento dei contatti.

Ma a dimostrare che la situazione in Veneto sta peggiorando ci sono anche gli altri indicatori dell’epidemia, come quello sui decessi e sulle ospedalizzazioni.

Crescono i decessi e gli ospedalizzati

Per quanto riguarda il numero dei decessi, il Veneto non è la regione più colpita d’Italia: Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento, per esempio, hanno più morti da Covid-19 in rapporto alla popolazione. Ma a differenza degli altri, in Veneto i decessi continuano ad avere una tendenza a crescere e il picco non sembra ancora essere raggiunto, a differenza di quanto suggeriscono i dati a livello nazionale.
Una dinamica simile a quella dei decessi si vede anche sul fronte degli ospedalizzati. Il Veneto è una delle poche regioni in cui continuano a salire, seppure a ritmo lento, le persone positive ricoverate nei reparti di pneumologia, malattie infettive e medicina generale o nelle terapie intensive. Negli ultimi dieci giorni, in rianimazione sono entrate circa 350 persone.

Perché il Veneto resta (per ora) in zona gialla

Nonostante il peggioramento dell’epidemia, il Veneto rimane per il momento in zona gialla, ossia il livello più basso dei tre criteri con cui il governo ha deciso di suddividere le regioni da inizio novembre.

Come abbiamo spiegato in passato, la divisione in zone rosse, arancioni e gialle si basa su due elementi: viene analizzato il livello di rischio di una regione, a partire dalla probabilità di diffusione e dall’impatto che il contagio può avere sul suo sistema sanitario, e lo si combina con l’indice Rt, che stima quanti vengono infettati in media da un singolo contagiato.

Per uscire dalla zona gialla, ed entrare in zona arancione, è innanzitutto necessario essere classificati a rischio “alto”. A quel punto si guarda a Rt: se è superiore a 1,25 si va in zona arancione, se è sopra a 1,50 invece in zona rossa. Ma il governo ha scelto di adottare un approccio piuttosto conservativo: non si guarda al valore medio di Rt, bensì all’estremo inferiore del suo intervallo di credibilità. E questo, come abbiamo sottolineato in passato, non è esente da rischi, come per esempio l’allentamento non giustificato di alcune restrizioni.

Nell’ultimo monitoraggio del Ministero della Salute – sulla base del quale sono decisi i colori delle regioni – il Veneto ha un rischio “alto”, ma l’indice Rt è pari a 0,91, in un intervallo compreso tra 0,89 e 0,93. Dunque, resta in zona gialla.

In generale, per avere un rischio “alto” è necessario che vi sia pressione sui servizi sanitari, cioè che il tasso di occupazione delle terapie intensive sia superiore al 30 per cento e quello delle aree mediche (malattie infettive, medicina generale e pneumologia) al 40 per cento, e che vi siano focolai nelle nelle case di riposo o negli ospedali o in luoghi con popolazione anziana. In assenza di questi, anche con tanti casi e Rt crescente, si verrà classificati a rischio “moderato” e si rimarrà in zona gialla.

In conclusione

In Veneto si sta verificando un evidente aumento dei nuovi contagi da coronavirus, che non può essere spiegato solo dall’aumento del numero di test eseguiti. L’aumento del tasso di positività, la crescita degli ospedalizzati e l’aumento dei decessi mostrano infatti che la circolazione del virus nella regione del leghista Luca Zaia è ancora elevata.

In quest’ultimo mese il Veneto è stato classificato in zona gialla, mentre in altre regioni sono state imposte misure di contenimento più severe, che si sono dimostrate efficaci nel ridurre i casi e nel portare a un generale miglioramento della situazione.

La regione, per il momento, resta ancora in zona gialla grazie al basso valore che ha l’indice Rt e al fatto di avere un’ampia capacità ospedaliera. Il perdurare di questo peggioramento potrebbe comunque portare il Veneto almeno in zona arancione nelle prossime settimane.

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