Quali sono i motivi del viaggio di Meloni a Londra

La presidente del Consiglio ha incontrato il primo ministro britannico Sunak, con cui ha siglato un accordo di cooperazione internazionale
Fonte: Presidenza del Consiglio
Fonte: Presidenza del Consiglio
Il 27 e il 28 aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata in visita ufficiale nel Regno Unito, dove ha incontrato a Londra il primo ministro britannico Rishi Sunak. Nel vertice i due leader hanno parlato di varie questioni, dalla cooperazione tra i due Paesi in materia di difesa ai temi economici e politici. 

Il viaggio aveva l’obiettivo di rafforzare ulteriormente i rapporti con il Regno Unito, seguendo quanto fatto dal precedente governo di Mario Draghi. Sono molte infatti le sfide che attendono i due Paesi in ottica internazionale: per esempio nella regione dell’Indo-Pacifico entrambi si sono impegnati nel settore della difesa con un accordo con il Giappone.

Durante la visita Meloni e Sunak hanno anche siglato un memorandum d’intesa sulla cooperazione bilaterale, un testo su cui si era iniziato a discutere già durante il secondo governo Conte, poi rallentato dalla pandemia di Covid-19 e dalla guerra in Ucraina. Il memorandum riguarda una serie di iniziative congiunte in vari settori: al centro ci sono la sicurezza e la difesa, ma particolare attenzione è stata dedicata anche alla transizione energetica e alle sfide del cambiamento climatico. A completare il quadro, il tema delle migrazioni, a cui si aggiungono campi strategici come l’economia, la scienza e l’innovazione. Si tratta di una dichiarazione che sostiene una cooperazione istituzionale privilegiata tra i due Paesi e può essere rinnovata ogni cinque anni.

Le affinità dei leader

Meloni e Sunak hanno posizioni simili da un punto di vista politico. Basti pensare che il primo ministro britannico è il leader dei Tories, il partito conservatore britannico che prima dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea faceva parte al Parlamento europeo del Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti europei, lo stesso di Fratelli d’Italia. 

Sebbene prima di entrare in politica Sunak abbia lavorato nel mondo della finanza, ha un atteggiamento simile a quello di Meloni su vari dossier. Per esempio entrambi i capi di governo hanno posto tra le priorità del loro mandato la gestione dei flussi migratori. 

Il punto di partenza dei colloqui tra Italia e Regno Unito sono stati quattro elementi comuni, come ha spiegato Formiche a novembre 2022: gli ideali politici conservatori, la necessità di affrontare le sfide economiche, il sostegno all’Ucraina e il lavoro fatto negli anni passati dai due Paesi.

L’incontro tra Meloni e Sunak fa seguito a un primo vertice avvenuto a margine della conferenza sul clima Cop27 in Egitto lo scorso novembre, poche settimane dopo il loro insediamento. Secondo una nota diffusa all’epoca dal governo britannico, i due avevano discusso «una serie di questioni e priorità comuni, tra cui la lotta all’immigrazione illegale e ai trafficanti di esseri umani». In una recente intervista con la Repubblica, Sunak ha sottolineato la necessità di un approccio comune europeo al tema degli sbarchi, su cui il suo governo ha intrapreso una linea intransigente. Tra le possibili soluzioni analizzate dai governi di Italia e Regno Unito ci sono il potenziamento del dialogo con i Paesi di origine, l’uso dell’intelligence per contrastare i trafficanti e il rafforzamento dei rimpatri volontari.

Relazioni in crescita

La convergenza tra Italia e Regno Unito è andata in crescendo negli ultimi anni, dopo il raffreddamento delle relazioni avvenuto in seguito alla Brexit del 2016. La frattura politica tra l’Ue e il Regno Unito aveva spinto un riposizionamento britannico verso gli Stati Uniti, rivedendo le politiche sulla sicurezza e sulla spesa per la difesa.

Il 2021 è stato poi un anno di cambiamento: l’arrivo di Draghi al governo e i migliori rapporti tra l’Ue e il Regno Unito hanno riavvicinato i due Paesi. Quell’anno l’Italia era inoltre presidente di turno del G20, mentre il Regno Unito del G7: un’occasione sfruttata per ampliare le collaborazioni bilaterali.

A giugno 2021, durante una conferenza stampa, l’allora primo ministro britannico Boris Johnson aveva detto di ammirare Draghi e di ispirarsi al modo in cui aveva gestito la presidenza della Banca centrale europea (Bce). Johnson aveva parlato di una «special relationship» (in italiano “rapporto speciale”) tra Italia e Regno Unito, di cui ora iniziano a vedersi i risultati.

Negli ultimi anni i due Paesi hanno collaborato anche per la conferenza sul clima Cop26, nell’ambito della Nato e negli annuali vertici multilaterali, in modo particolare durante la presidenza italiana del G20.

Nonostante la Brexit, da un punto di vista commerciale l’Italia ha mantenuto una solida collaborazione economica con il Regno Unito. Secondo i dati del Ministero degli Esteri, nel 2022 l’Italia ha esportato beni per 27,3 miliardi di euro, importandone circa 8,3 miliardi, per un interscambio commerciale di 35,6 miliardi. Il Regno Unito conta investimenti diretti esteri per 26 miliardi di euro in Italia, mentre le imprese italiane hanno investito nel Regno Unito 31,8 miliardi di euro, soprattutto nei settori della difesa, delle energie rinnovabili e delle infrastrutture e trasporti, con aziende come Leonardo ed Enel.

La cooperazione e il triangolo con il Giappone

In questo momento al centro della collaborazione tra l’Italia e il Regno Unito c’è anche il Global combat air program (Gcap), un progetto volto a sviluppare entro il 2035, insieme al Giappone, un aereo da caccia di nuova generazione.  

Il 9 dicembre 2022 i tre Paesi hanno annunciato con una nota congiunta la nuova cooperazione, che prevede l’integrazione dei programmi F-X e Tempest, dedicati ai futuri aerei da combattimento. Il progetto Tempest è un’iniziativa a guida britannica a cui ha partecipato anche l’Italia, mentre il programma F-X è stato sviluppato dal Giappone. 

Secondo The Diplomat, una rivista che si occupa delle questioni indo-pacifiche, il Giappone ha scelto Italia e Regno Unito come partner, invece che gli Stati Uniti, per vari ragioni. Innanzitutto i tempi di sviluppo dei programmi F-X e Tempest sono allineati tra le tre nazioni, cosa che favorisce la reciproca collaborazione. I tre Paesi condividono poi requisiti tattici comuni per il futuro degli aerei da guerra e la collaborazione può aiutare le nazioni di medie dimensioni a ridurre i costi di sviluppo e i rischi tecnologici.

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