Il 18 febbraio, a Omnibus su La7, è andato in scena un acceso scontro tra la vicepresidente del Partito democratico Debora Serracchiani e il senatore Gianluigi Paragone, ex Movimento 5 stelle e oggi leader del partito anti-europeista Italexit.
L’oggetto del contendere è stata la cosiddetta “monetizzazione del debito” e il ruolo delle banche centrali nella gestione dell’emergenza coronavirus.
In un primo intervento Paragone ha duramente criticato (min. 12:14) l’Unione europea e gli aiuti agli Stati membri, dicendo che la Banca centrale europea (Bce) «non può monetizzare il proprio debito» e «cancellarlo», cosa che invece secondo lui fanno Paesi come Stati Uniti e Giappone. Nel corso della trasmissione, Serracchiani ha poi ribattuto a Paragone, dicendogli che nessun Paese al mondo tranne il Venezuela sta monetizzando (min. 33:33) il proprio debito, nel senso che nessuna banca centrale sta acquistando «in asta» i titoli di Stato del proprio Paese.
Chi ha ragione tra i due? Abbiamo verificato e fatto chiarezza su un tema che, a prima vista, può sembrare parecchio complicato. La risposta, in breve, è che sia Serracchiani che Paragone riportano informazioni imprecise e fuorvianti. Vediamo nel dettaglio il perché.
Perché anche la Bce monetizza il debito
Partiamo dalla definizione dell’oggetto del contendere tra Serracchiani e Paragone, ossia la monetizzazione del debito. Che cosa significa questo termine?
«Qualunque acquisto di titoli di Stato da parte di una banca centrale sul mercato è una forma di monetizzazione perché avviene, per così dire, con l’immissione di moneta nel sistema economico», ha spiegato a Pagella Politica Francesco Saraceno, professore di macroeconomia internazionale all’Istituto di studi politici di Parigi. «Per esempio, il Quantitative easing della Banca centrale europea è una forma di monetizzazione del debito».
Nel 2015, quando il suo presidente era l’attuale premier italiano Mario Draghi, la Bce ha lanciato il suo programma di “allentamento quantitativo” con cui ha comprato per anni centinaia di miliardi di titoli di Stato dei Paesi europei, per poi rilanciarlo prima nel 2019 e potenziarlo con la pandemia di Covid-19. A marzo 2020 la Bce ha infatti avviato il Pandemic emergency purchase programme (Pepp), un programma di acquisto di titoli che nei mesi successivi ha raggiunto il valore complessivo di oltre 1.800 miliardi di euro.
L’acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce – che, tra le altre cose, è il principale responsabile del continuo calo dello spread in Italia – avviene sul cosiddetto “mercato secondario”, ossia dove vengono scambiati i titoli già in circolazione, e non su quello “primario” (o «in asta», come lo chiama Serracchiani). L’acquisto sul mercato primario gli è infatti impedito dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue).
«Il Quantitative easing della Bce, ma anche della Federal reserve americana o della Bank of Japan, è a tutti gli effetti una monetizzazione», ha confermato a Pagella Politica Francesco Lippi, professore di macroeconomia alla Luiss di Roma. «Basta andare a vedere quanto debito pubblico si sono presi negli ultimi anni le banche centrali, da quella europea a quella degli Stati Uniti, passando per il Giappone, per scoprire che le quantità sono aumentate moltissimo».
Dunque, Serracchiani sbaglia quando dice che nessuna banca centrale al mondo sta monetizzando il debito del proprio Paese (sul Venezuela ci torneremo più avanti). Molti Stati lo stanno facendo da anni a causa della crisi economica prima, e di quella della Covid-19 poi, anche con acquisti sul mercato primario, per esempio in Asia.
La “monetizzazione” non è la “cancellazione” del debito
Ma anche Paragone sbaglia, quando sostiene che neppure la Bce stia monetizzando il proprio debito ed equiparando, in sostanza, questa pratica alla cancellazione del debito. Stiamo infatti parlando di due cose diverse.
«L’annullamento del debito consiste da parte della banca centrale nella cancellazione del debito dal proprio bilancio, causando una perdita», ha spiegato Saraceno a Pagella Politica. «Secondo la mia opinione, entro certi limiti questo strumento potrebbe non causare grandi problemi, ma c’è dibattito sugli aspetti tecnici e sulle opportunità politiche di questa scelta. In ogni caso la cancellazione resta una cosa diversa dalla monetizzazione. Paesi come Stati Uniti e Giappone è vero che da anni stanno monetizzando il loro debito, ma è scorretto lasciare intendere che lo abbiano anche cancellato o intendano cancellarlo».
A inizio febbraio oltre 100 economisti – tra cui il francese Thomas Piketty – hanno firmato una lettera per chiedere alla Bce di cancellare una parte del debito pubblico accumulato dai vari Stati europei con la pandemia, una proposta che era già stata rigettata a novembre 2020 dalla presidente della Bce Christine Lagarde.
Le differenze con il “finanziamento monetario esplicito”
In realtà, approfondendo i dettagli, sulla monetizzazione del debito le cose sono un po’ più articolate di quello che abbiamo visto fino ad ora.
«“Monetizzazione” è un termine ambiguo», ha spiegato a Pagella Politica Andrea Terzi, professore di economia e finanza alla Franklin University di Lugano, in Svizzera. «In molti, me compreso, preferiscono usare il significato classico di “vendere qualcosa trasformandone il valore in denaro” e, riferito al debito pubblico, ciò accade con gli acquisti massicci del Quantitative easing. Ma nel dibattito attuale altri usano il termine di “monetizzazione del debito” come sinonimo di altri interventi, tipo il “finanziamento monetario esplicito”». Di che cosa stiamo parlando?
In un saggio pubblicato nel 2015, l’economista Adair Turner ha spiegato che possono esserci diversi modi con cui una banca centrale può fare un “finanziamento monetario esplicito”. Per esempio, un governo potrebbe emettere titoli, che dopo essere acquistati dalla propria banca centrale, verrebbero rinnovati ogni volta che vanno a scadenza, o convertiti dalla banca stessa in titoli da non rimborsare. Oppure la banca centrale potrebbe accreditare al governo un conto speciale, dove vengono registrati dei crediti, senza interessi e da non rimborsare.
In un certo senso, una cosa simile è avvenuta durante la crisi di Covid-19 nel Regno Unito con la Bank of England, che ha ampliato le dimensioni del Ways and means facility, il conto del governo britannico presso la banca centrale del Paese. Un intervento che però è stato annunciato come temporaneo e di breve durata, che prevede il rimborso delle cifre accreditate.
«Quando si parla di “monetizzazione” nel dibattito di oggi, si fa spesso riferimento alla possibilità da parte di una banca centrale di comprare i titoli di Stato e dimenticarseli, per così dire, nella propria pancia per tutta la vita», ha detto a Pagella Politica Saraceno. «Una banca centrale si può impegnare in maniera più o meno esplicita a tenere nel proprio bilancio i titoli acquistati per una durata di tempo indefinita, se non illimitata. Di fatto la Bce sta facendo però una cosa simile, perché a scadenza poi ricompra i titoli». Un’osservazione simile è stata fatta anche da Turner in un articolo pubblicato ad aprile 2020 su Project Syndicate.
A livello teorico, l’unico modo per avere una “monetizzazione del debito” certa e sicura è trovarsi in uno Stato che emette titoli di debito perpetui (ne avevamo scritto qui), che gli vengono comprati dalla propria banca centrale. «Ma nessuna banca [centrale] sta facendo una cosa simile», ha specificato Saraceno.
I limiti della monetizzazione
Come abbiamo visto, esistono potenzialmente diversi strumenti per monetizzare il debito. Ma questa pratica non è esente da rischi, per esempio l’aumento dell’inflazione.
«Se si pensa di trasformare questi strumenti in una misura permanente, e di considerarli una specie di “bacchetta magica”, come lascia intendere Paragone, il rischio è quello di esagerare e di finire a giocare a monopoli», ha commentato Lippi a Pagella Politica. «Il punto centrale in questo dibattito è la credibilità che un Paese ha. Esistono tanti modi per fare la stessa cosa, ma un conto è il Quantitative easing della Bce, o gli acquisti fatti dalla Federal reserve o dalla Bank of Japan. Un altro sono gli eventuali acquisti di titoli di Stato fatti dalla Banca centrale italiana in caso di fuoriuscita del nostro Paese dall’euro, che vedrebbe la propria inflazione crescere molto probabilmente a doppie cifre».
Un rischio analogo – ma ad oggi remoto – potrebbe valere anche per l’Unione europea, dove il Quantitative easing è stato finora una misura eccezionale, introdotta con condizioni economiche altrettanto eccezionali, ossia una bassissima inflazione che dura da anni.
Semplificando: uno dei motivi del mancato aumento dell’inflazione dal 2015 in poi è stato che il Quantitative easing ha fatto crescere la base monetaria – semplificando, la somma tra la moneta e le riserve bancarie – invece che la moneta, intesa come i depositi e le banconote in circolazione. Le banche commerciali, visto il periodo di crisi, hanno preferito tenersi in gran parte queste riserve accumulate, non trasformandole dunque in moneta, per esempio con i prestiti ai privati.
Un altro limite delle politiche di monetizzazione è il rischio di annacquare l’indipendenza delle banche centrali, che si occupano della politica monetaria (per esempio, la gestione del livello dei tassi di interesse) rispetto ai governi nazionali, responsabili invece della politica fiscale (ossia stabilire come spendere e dove prendere i soldi del bilancio dello Stato).
Il caso del Venezuela
Il rischio dell’inflazione e la perdita dell’indipendenza richiamano alla mente l’esempio del Venezuela, ricordato da Serracchiani a Paragone. Ma anche qui, equiparare la monetizzazione del debito a quanto avvenuto nel Paese guidato da Nicolás Maduro è fuorviante.
«Spiegare l’inflazione in Venezuela con il ricorso alla monetizzazione del debito è sbagliato», ha commentato Terzi a Pagella Politica. «La causa profonda della crisi venezuelana è l’implosione del sistema economico, la contrazione della capacità produttiva del Paese, e la corruzione che circonda il potere. Per spiegare l’iperinflazione venezuelana e gli altri celebri casi di iperinflazione, da Weimar allo Zimbabwe, occorre andare al di là della spiegazione di una banca centrale impazzita che compra titoli di Stato per finanziare il governo». Alcune inchieste giornalistiche hanno infatti evidenziato come un ruolo di primo piano nella crisi sia ricoperto dagli oligarchi (i cosiddetti “bolivari”), che trasferendo grandi quantità di risorse pubbliche all’estero contribuiscono al peggioramento della situazione economica del Paese.
Al di là di questo, come abbiamo spiegato, è sbagliato considerare la “monetizzazione del debito” come il sinonimo dell’attività di stampare continuamente moneta, finendo per perdere il controllo dell’inflazione, con disastrosi effetti sulla vita di un Paese. Detta altrimenti, è errato sostenere che l’acquisto di titoli di Stato da parte di una banca centrale implica necessariamente la stampa di nuova moneta, come sottolinea anche il sito ufficiale della Federal reserve americana. Gli acquisti, appunto, “monetizzano”, ma non creano alcun reddito aggiuntivo per nessuno e non possono alimentare l’inflazione da domanda eccessiva.
In conclusione
In uno scontro televisivo, il leader di Italexit Gianluigi Paragone ha criticato la Bce, dicendo che non monetizza il debito, non potendolo dunque cancellare, citando gli esempi da seguire di Stati Uniti e Giappone. La vicepresidente del Pd Debora Serracchiani gli ha risposto dicendo che nessuna banca centrale al mondo, eccetto quella in Venezuela, monetizza il debito, inteso come acquisto di titoli di Stato dal mercato primario.
Abbiamo verificato chi dei due avesse ragione ed è emerso che entrambi hanno riportato informazioni imprecise e fuorvianti.
Serracchiani sbaglia nel considerare la monetizzazione del debito il solo acquisto da parte di una banca centrale di titoli Stato sul mercato primario. La monetizzazione avviene anche in pratiche come il Quantitative easing (effettuato sul mercato secondario), e ci sono Paesi, soprattutto in Asia, dove le banche centrali negli ultimi mesi hanno fatto acquisti anche sul mercato primario.
Anche il riferimento al Venezuela è fuorviante perché riduce l’iperinflazione registrata nel Paese negli ultimi anni alla stampa di moneta da parte della banca centrale, che non necessariamente è un sinonimo di monetizzazione del debito.
Paragone invece sbaglia quando sostiene che la Bce non monetizza il debito e quando usa questa pratica come sinonimo della cancellazione del debito: sono due cose diverse. Il leader di Italexit dimentica di dire che anche il Quantitative easing è una forma di monetizzazione del debito. È vero, a caratteristiche diverse rispetto a un “finanziamento diretto esplicito”, ma nella sostanza ha molte caratteristiche in comune.
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