Durante il Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre è stato trovato un compromesso sul meccanismo che permette all’Unione europea di punire, bloccando l’accesso ai fondi comunitari, quei Paesi che violino lo stato di diritto.

La necessità di trovare un compromesso era emersa dopo che i governi di Polonia e Ungheria avevano bloccato a novembre l’adozione del Next Generation Eu (il piano da 750 miliardi di aiuti dell’Ue) e del bilancio pluriennale 2021-2027.

Ripercorriamo allora le tappe che hanno portato allo stallo e vediamo il contenuto del compromesso che ha permesso di superarlo.

Una battaglia non nuova per l’Ue

Il problema di Stati membri che violano le regole dello stato di diritto, e dell’Ue che non riesce a contrastare efficacemente questi comportamenti, non è una novità. Da diversi anni Bruxelles cerca di trovare un rimedio a questa situazione.

La Commissione europea ha proposto il 3 maggio 2018 un regolamento “sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri”.

Ad aprile 2019 il Parlamento europeo ha approvato una sua risoluzione in proposito, che conteneva una serie di integrazioni alle proposte della Commissione. Successivamente le resistenze degli Stati nazionali, in seno al Consiglio dell’Ue, hanno a più riprese impedito l’adozione di un regolamento condiviso. Il Consiglio ha finalmente trovato una sua posizione comune il 30 settembre 2020 – dopo aver comunque anticipato la questione della condizionalità legata allo stato di diritto nelle conclusioni del Consiglio europeo sul Next Generation Eu, del 20-21 luglio 2020 – ma il Parlamento europeo ha chiesto venissero fatte delle modifiche. Si è arrivati così al 5 novembre 2020, quando il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Ue finalmente hanno trovato un accordo sulla questione dello stato di diritto.

Questo accordo è però stato rigettato in un secondo momento dai governi nazionalisiti di destra di Polonia e Ungheria, successivamente appoggiati anche dalla Slovenia, che contestavano l’eccessiva discrezionalità nell’applicazione delle regole da parte dell’Ue.

Il Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre era dunque l’appuntamento in cui trovare un compromesso altrimenti, come minacciato dalla Commissione europea, gli Stati favorevoli alla clausola sullo stato di diritto avrebbero trasformato l’intero Next Generation Eu in un accordo intergovernativo, di fatto tagliando fuori Polonia e Ungheria dalle nuove risorse e creando problemi (soprattutto per questi Stati, che sono beneficiari netti del bilancio Ue) anche sul prossimo bilancio pluriennale.

Come abbiamo anticipato, il compromesso è stato trovato e consiste di una sorta di dichiarazione che si aggiunge – senza modificarne il contenuto – all’accordo trovato tra Consiglio dell’Ue e Parlamento europeo a novembre. Andiamo a vedere il suo contenuto.

Stato di diritto: che cosa è stato concesso a Budapest e Varsavia

Il compromesso sulla questione dello stato di diritto, trovato in seno al Consiglio europeo del 10-11 dicembre soprattutto grazie al ruolo di mediatore della Germania (presidente di turno dell’Ue), si può sintetizzare così: ai governanti di Ungheria e Polonia è stato concesso tempo, ma il blocco dei 25 Stati (o 24, se non contiamo la Slovenia) ha portato a casa il risultato, soprattutto in prospettiva di medio e lungo periodo.

Il regolamento che consente di sospendere l’erogazione dei fondi comunitari agli Stati che violino lo stato di diritto si applicherà a partire dal 1° gennaio 2021 e varrà solo per le risorse del futuro – bilancio pluriennale e Next Generation Eu – e non per quelle ancora legate al bilancio 2014-2020, che possono essere erogate ancora nei prossimi anni.

In secondo luogo si prevede che le violazioni dello stato di diritto debbano recare danno alla «buona gestione del bilancio comunitario» o agli «interessi finanziari dell’Ue». La sospensione dell’erogazione dei fondi sarà quindi proporzionata a questo danno. Questo passaggio potrebbe essere indigesto per il Parlamento europeo, che aveva chiesto nel recente passato che lo stato di diritto fosse tutelato in modo meno legato alle questioni economiche. Tuttavia la formulazione, che pure esclude che una violazione dello stato di diritto possa di per sé far scattare la procedura sanzionatoria, lascia più di qualche margine di interpretazione su come, quando e quanto possano essere lesi gli interessi finanziari dell’Ue, ad esempio, da una legge che comprometta l’indipendenza della magistratura.

A questo proposito è dunque un motivo di soddisfazione per i governi ungherese e polacco che sia stato previsto, nel compromesso raggiunto, un vaglio preventivo della Corte di Giustizia dell’Ue, il massimo organo giurisdizionale dell’Unione, sul regolamento che disciplina la sospensione degli aiuti in caso di violazione dello stato di diritto. Se verrà proposto ricorso contro questo regolamento, come sembra probabile viste le posizioni ungherese e polacca, la Commissione dovrà aspettare – prima di stendere le proprie linee guida su come applicare il regolamento – il giudizio della Corte. Anche in questo caso dunque i governi contrari alla clausola sullo stato di diritto hanno ottenuto tempi più lunghi – a seconda delle stime si parla di pochi mesi o di addirittura due anni – e procedure che diano maggiori garanzie.

Ma, alla fine, il risultato finale a cui mirava il regolamento che la Ue ha in cantiere da oramai più di due anni è stato raggiunto: se uno Stato dovesse violare lo stato di diritto, non correrà solo il rischio che venga attivata la procedura dell’articolo 7 del Tue – che porta alla sospensione del diritto di voto dello Stato, ma che finora nella pratica si è rivelata un’arma spuntata – ma dovrà temere che vengano sospesi i pagamenti dell’Ue (quelli successivi al 2020) a suo beneficio. Potrà ovviamente interloquire con la Commissione europea e ci sarà un ruolo di garanzia della Corte di Giustizia dell’Ue, ma nel caso la violazione dovesse persistere, ora è previsto uno strumento punitivo teoricamente molto forte, attivabile a maggioranza qualificata degli Stati (quindi senza diritto di veto per i singoli Paesi).

Perché il nuovo accordo entri definitivamente in vigore, sarà ora necessario che il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Ue – i due organi che hanno il potere legislativo dell’Ue – adottino gli atti giuridici relativi, a partire dal bilancio pluriennale e dal Next Generation Eu.

In conclusione

Il Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020 ha trovato un compromesso sul meccanismo di sospensione dei pagamenti Ue per gli Stati che violino lo stato di diritto. La Ue discute di questo meccanismo oramai da oltre due anni e mezzo.

Le resistenze di Ungheria e Polonia, i due Paesi che avevano bloccato con il proprio veto l’adozione del Next Generation Eu e del bilancio pluriennale, sono state superate, da un lato, con la minaccia di procedere senza di loro – con un grave danno economico per Budapest e Varsavia – e, dall’altro, con alcune concessioni circa il meccanismo stesso.

In primo luogo opererà solo per le risorse future, non quindi per quelle legate al bilancio 2014-2020 ancora in corso. In secondo luogo la lesione dello stato di diritto dovrà avere delle ricadute economiche negative per l’Ue, perché questa possa sanzionare lo Stato colpevole, oltretutto in misura proporzionata alle suddette ricadute. Infine la Commissione europea non potrà procedere contro eventuali violazioni – e stendere le sue linee guida necessarie a questo scopo – senza aver prima ottenuto un giudizio da parte della Corte di Giustizia dell’Ue sulla legittimità del regolamento che contiene il meccanismo.

Budapest e Varsavia hanno insomma ottenuto un qualche annacquamento dei contenuti e soprattutto più tempo. Ma il risultato a cui puntava il resto dell’Ue è stato raggiunto: uno Stato che violi lo stato di diritto ora non dovrà temere tanto la inefficace procedura sanzionatoria prevista dall’articolo 7 del Tue (che consente di sospendere il diritto di voto dello Stato). Dovrà temere che vengano toccati, seppure al termine di una procedura complessa e negoziale, i suoi interessi economici.

Perché questo compromesso entri definitivamente in vigore bisogna ora attendere che Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue adottino gli atti giuridici vincolanti relativi, a cominciare proprio dal bilancio pluriennale e dal Next Generation Eu.