Il 18 luglio 2019, in un’intervista a La Repubblica, la neoeletta presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha rilasciato alcune dichiarazioni in tema di immigrazione e sui conti pubblici italiani.

Ne abbiamo verificate tre.

I risultati dell’accordo con la Turchia

Secondo Von der Leyen, «grazie all’accordo con la Turchia siamo riusciti a ridurre gli arrivi da cinquemila al giorno a qualche centinaio».

Il 12 marzo 2016, il Consiglio europeo – l’istituzione Ue composta dai capi di Stato o di governo dei Paesi Ue – ha raggiunto un accordo con la Turchia che come spiega il sito del Parlamento europeo aveva «lo scopo di bloccare il flusso di immigrazione irregolare dalle coste turche a quelle dell’Europa».

Fortemente criticata da alcune associazioni umanitarie, l’intesa prevedeva un investimento da parte dell’Ue di quasi 6 miliardi di euro e che i migranti irregolari arrivati in Grecia dopo la sigla dell’accordo fossero riportati in Turchia.

Da quel mese, gli sbarchi illegali in territorio europeo si sono drasticamente ridotti.

Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), nel 2015 i migranti arrivati in Grecia via mare sono stati 856.723: una media di quasi 2.350 sbarchi al giorno.

In realtà, in quell’anno la media giornaliera era stata molto diversa a seconda dei mesi e all’andamento della guerra civile in Siria: a febbraio 2015, in Grecia erano arrivati quasi 2.900 migranti (quasi 104 al giorno), mentre nel solo mese di ottobre 2015 gli sbarchi avevano raggiunto il numero di oltre 211 mila unità (oltre 6.800 al giorno).

Gli arrivi nei primi tre mesi del 2016 erano stati in totale 151.452, per poi ridursi a soli 21.998 nei restanti 9 mesi dell’anno (un’ottantina al giorno). Gli sbarchi nel 2017 sono invece stati 29.718 e 32.494 nel 2018.

I dati riportati da Von der Leyen sono dunque sostanzialmente corretti.

Quanti ucraini sono stati “accolti” in Polonia

In tema di immigrazione, Von der Leyen ha anche commentato le posizioni della Polonia, che insieme ad altri Paesi dell’est è contraria a una riforma del Regolamento di Dublino che introduca il ricollocamento automatico e obbligatorio dei richiedenti asilo tra i vari Stati membri.

La presidente della Commissione Ue ha infatti ricordato che «la Polonia ha già accolto 1,5 milioni di persone dall’Ucraina, che ai suoi confini esterni soffre una guerra ibrida».

Da aprile 2014, nella regione del Donbass – nell’Ucraina orientale, al confine con la Russia – si sta combattendo un conflitto tra le forze governative ucraine e i separatisti filo-russi.

La neo-presidente della Commissione Ue non specifica però che cosa intende con il termine “accoglienza”.

Se si guardano i numeri delle richieste d’asilo, i dati sono di molto inferiori a quelli citati da Von der Leyen. Dal 2014 – anno dello scoppio della guerra in Ucraina – al 2018, secondo Eurostat, la Polonia ha concesso una qualche forma di protezione (internazionale o per ragioni umanitarie) a 410 richiedenti ucraini, su un totale di 4.330 domande di persone provenienti dall’Ucraina.

In generale, l’anno scorso la Polonia è stato uno dei Paesi Ue ad aver concesso meno protezione a richiedenti asilo rispetto a tutti gli altri Stati: 10 domande ogni milione di abitanti hanno avuto un esito positivo, statistica alla pari soltanto con la Slovacchia.

Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, inoltre, nel 2018 la Polonia è stato anche il Paese Ue che ha effettuato più rimpatri di migranti verso i Paesi di origine: 25.715 migranti, di cui 19.930 erano cittadini ucraini.

I dati di Von der Leyen sono invece corretti se si prende in considerazione un concetto di “accoglienza” più ampio, ossia guardando il numero di permessi di soggiorno concessi negli ultimi anni dalla Polonia a cittadini ucraini.

Secondo i dati Eurostat, dal 2014 al 2017 (rilevazione più aggiornata), la Polonia ha dato 1.528.072 permessi di soggiorno a cittadini provenienti dall’Ucraina, di cui 1.363.689 per motivi di lavoro (quasi il 90 per cento sul totale).

L’Ue ha concesso 30 miliardi di euro di flessibilità all’Italia?

Infine, Von der Leyen ha espresso la sua opinione sui conti pubblici italiani, e sul recente scontro tra il nostro Paese e l’Ue, accusata da Lega e Movimento 5 stelle di voler limitare la sovranità italiana sulle manovre economiche.

Secondo la presidente della Commissione Ue, «c’è stata un po’ di retorica su questo ma credo che i fatti parlino più di mille parole: dal 2015 la flessibilità concessa all’Italia sul Patto di stabilità le ha concesso di liberare 30 miliardi di euro, circa l’1,8 per cento del suo Pil».

Questa cifra è stata citata già diverse volte in passato dalle istituzioni europee, per esempio a dicembre 2018 dall’allora commissario Ue Pierre Moscovici e a ottobre 2018 dall’ex presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.

Come tutti i Paesi Ue, l’Italia è tenuta a rispettare il Patto di stabilità e crescita, un insieme di norme comunitarie – nato nel 1997 e modificato nel corso del tempo – il cui obiettivo è quello di garantire la stabilità finanziaria dell’Ue.

Ogni Paese ha un obiettivo di medio termine (Omt) da rispettare per quanto riguarda il saldo di bilancio strutturale, ossia tenendo conto dei cicli economici di crescita e recessione. Secondo le regole, chi non rispetta il proprio Omt deve ridurre il proprio disavanzo (o deficit) strutturale di 0,5 punti percentuali l’anno.

Come spiega l’ultimo Documento di economia e finanza approvato dal governo ad aprile 2019, dal 2012 l’Omt dell’Italia è identificato con il pareggio di bilancio (nel medio termine le entrate e le uscite strutturali dovranno pareggiarsi), ma ogni anno il nostro Paese tratta con l’Ue per concordare un piano di avvicinamento all’Omt più “flessibile”.

A gennaio 2015, la Commissione Ue ha infatti spiegato che i Paesi Ue possono avere alcuni margini di flessibilità – ossia “spendere di più” – con cui deviare dal percorso di raggiungimento del loro Omt.

Come ha chiarito un dossier del Senato del 2017, «tale flessibilità è, in particolare, riconosciuta per l’adozione di riforme strutturali e per gli investimenti pubblici». Tra le altre cose, questa “concessione” può essere fatta per costi legati a eventi imprevisti, come l’emergenza migranti o i disastri naturali.

Considerando che un punto di Pil corrisponde a circa 18 miliardi di euro, di quanta flessibilità ha beneficiato l’Italia dal 2015?

Un focus pubblicato a febbraio 2018 dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha analizzato nel dettaglio la questione.

Secondo l’Upb, nel 2015 l’Italia «ha potuto ridurre lo sforzo di correzione strutturale» del proprio deficit per un valore complessivo dell0 0,28 per cento del Pil (circa 4,6 miliardi di euro). Nel 2016, questa percentuale è salita allo 0,83 per cento (circa 13,9 miliardi di euro), per poi scendere allo 0,34 per cento (circa 5,8 miliardi di euro) nel 2017. L’anno scorso, la flessibilità ha invece raggiunto un valore pari allo 0,30 per cento del Pil (circa 5,3 miliardi di euro).

In totale, si tratta di circa 29,6 miliardi di euro, l’1,75 per cento del Pil. Entrambe le cifre corrispondono sostanzialmente con quanto dichiarato da Von der Leyen.

Conclusione

Nella sua intervista al quotidiano La Repubblica, la neopresidente della Commissione Ue Von der Leyen riporta numeri sostanzialmente corretti quando dice che gli sbarchi in Grecia sono fortemente diminuiti dopo l’accordo con la Turchia del 2016 e che l’Italia ha beneficiato di una flessibilità di circa 30 miliardi di euro nel rispettare i vincoli imposti dal Patto di stabilità.

L’ex ministra della Difesa tedesca è invece più ambigua quando parla di cittadini ucraini accolti in Polonia. È vero che dal 2014 – anno dello scoppio della guerra in Ucraina – al 2017, il Paese dell’est ha concesso oltre 1,5 milioni di permessi di soggiorno a persone provenienti dall’Ucraina. Ma è anche vero che tra il 2014 e l’anno scorso la Polonia ha concesso una qualche forma di protezione soltanto a 410 richiedenti ucraini, rimpatriandone quasi 20 mila nel 2018.