Non è vero che la metà degli adolescenti non capisce ciò che legge

Lo ha scritto Azione sulle sue pagine social, citando i risultati delle prove Invalsi, che però vanno letti con attenzione per evitare fraintendimenti
ANSA
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Il 15 luglio Azione ha scritto sulle sue pagine social ufficiali che secondo le ultime prove Invalsi «il 50 per cento degli studenti delle scuole secondarie non comprende ciò che legge». Le cose in realtà non stanno proprio così. 
Le scuole secondarie si dividono in scuole secondarie di primo grado (le scuole medie per intenderci) e in scuole secondarie di secondo grado (le scuole superiori, di cui fanno parte i licei e gli istituti tecnici e professionali). Gli studenti delle scuole secondarie hanno tra gli 11 e i 19 anni d’età, la fascia di popolazione a cui generalmente si fa riferimento con il termine “adolescenti”.

Davvero le prove Invalsi dicono che un adolescente su due in Italia non capisce quello che legge? Punto per punto, vediamo qual è l’errore commesso da Azione e negli scorsi giorni anche da varie testate giornalistiche.

Che cosa sono le prove Invalsi

La sigla “Invalsi” sta per “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione”, un ente di ricerca esterno al Ministero dell’Istruzione. Come spiega il sito ufficiale, le prove Invalsi «misurano l’apprendimento di alcune competenze fondamentali» tra gli studenti in tre materie: l’italiano, la matematica e l’inglese (ascolto e lettura). I punteggi ottenuti dagli studenti nelle prove Invalsi rientrano poi in una scala di livelli che riassumono che cosa sa fare lo studente nelle varie discipline. 

Le prove Invalsi hanno l’obiettivo di valutare gli aspetti dell’apprendimento in maniera standardizzata, ossia nel modo il più possibile oggettivo e uguale per tutti. Questo è un compito tutt’altro che semplice da un punto di visto scientifico: le prove Invalsi si basano su modelli statistici complessi, che negli anni sono stati più volte migliorati, ma che hanno ancora alcuni limiti. In questo articolo però non entreremo nel dibattito sull’affidabilità e sull’utilità delle prove Invalsi. 

Una prima osservazione alla dichiarazione di Azione è che non tutti gli studenti delle scuole secondarie sono sottoposti alle prove Invalsi. Fanno queste prove infatti solo gli studenti di terza media, quelli del secondo anno di superiori e quelli del quinto e ultimo anno di superiori (per intenderci quelli che fanno la maturità). A questi si aggiungono gli studenti di seconda e quinta elementare. Quest’anno hanno partecipato alle prove Invalsi più di 1,5 milioni di studenti delle scuole secondarie.

Che cosa dicono i risultati

Per l’italiano le prove Invalsi hanno l’obiettivo di verificare la capacità di uno studente di leggere, comprendere e interpretare un testo scritto. Il 12 luglio sono stati pubblicati i risultati relativi all’anno scolastico 2022/2023. Tra gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori il 49,3 per cento non ha raggiunto il livello 3 su cinque livelli, che secondo Invalsi «rappresenta la soglia minima di adeguatezza, mentre i livelli 1 e 2 indicano livelli di risultato non adeguati». Con tutta probabilità Azione ha fatto riferimento a questa percentuale scrivendo che «il 50 per cento degli studenti delle scuole secondarie non comprende ciò che legge». 

Ma che cosa sa fare uno studente che si ferma al livello 2 nella prova di italiano (il 25,7 per cento, secondo i dati delle ultime prove)? Qui sotto riportiamo la descrizione del livello 2:
Immagine 1. Descrizione del livello 2, prova Invalsi di italiano per il quinto anno della scuola secondaria di secondo grado – Fonte: Invalsi
Immagine 1. Descrizione del livello 2, prova Invalsi di italiano per il quinto anno della scuola secondaria di secondo grado – Fonte: Invalsi
Tra le altre cose uno studente al livello 2 «risponde a domande su testi in prevalenza di contenuto concreto e familiare», con un lessico «anche specialistico»; «ricostruisce il significato di parti del testo collegando più informazioni e coglie il tema o l’argomento principale di testi di genere diverso»; e «se guidato, coglie il senso del testo, per esempio scegliendo tra formulazioni sintetiche alternative».

Da questa descrizione appare evidente che è scorretto dire che uno studente al livello 2 «non comprende ciò che legge». Questa constatazione è stata confermata dal presidente di Invalsi Roberto Ricci, che l’anno scorso ne ha parlato in un’intervista con la rivista Vita. Secondo Ricci, di uno studente che si ferma al livello 2 «dovremmo dire che non sa leggere e comprendere un testo per come dovrebbe farlo dopo 13 anni di scuola», non che «non sa comprendere un testo», l’interpretazione invece data da Azione. La stessa Invalsi non scrive mai nei suoi rapporti che la metà degli studenti delle scuole secondarie non è in grado di capire quello che legge. 

Discorso analogo vale per gli studenti all’ultimo anno delle scuole medie e al secondo anno delle superiori, le altre due classi delle scuole secondarie monitorate con le prove Invalsi. In questi casi le percentuali di studenti che non arrivano al livello 3 sono rispettivamente pari al 38,5 per cento e al 36,9 per cento, dati entrambi migliori del quasi 50 per cento registrato all’ultimo anno delle superiori. Anche qui la descrizione dei livelli mostra che è impreciso dire che chi non raggiunge il livello 3 non comprende un testo scritto: bisogna invece dire che non raggiunge il livello considerato adeguato da Invalsi per il percorso di studi fatto fino a quel momento.

Un dibattito ciclico

Periodicamente la scorretta interpretazione dei risultati delle prove Invalsi torna d’attualità: ne abbiamo scritto anche noi in passato. 

Per esempio a maggio 2022 è circolata molto la notizia secondo cui «il 51 per cento dei quindicenni in Italia non sarebbe in grado di capire un testo scritto». Quella percentuale, come abbiamo spiegato in un approfondimento, non faceva riferimento né ai quindicenni né alle competenze in italiano, men che meno alla comprensione del testo. Tra l’altro i dati mostravano che in Italia la percentuale di studenti che raggiunge il livello minimo di competenza in lettura è analoga alla percentuale media a livello internazionale.

Nel 2021 i risultati delle prove Invalsi sono stati usati dai politici di vari partiti per dimostrare i danni causati dalla didattica a distanza (Dad), introdotta durante il periodo più acuto della pandemia di Covid-19. «La tentazione di molti politici è quella di interpretare i nuovi dati in chiave “anti-Dad”, ma questa chiave di lettura rischia di essere troppo semplicistica, innanzitutto perché lo scopo delle prove Invalsi, da un punto di vista scientifico, non è stato quello di valutare l’impatto della didattica a distanza», scrivevamo in un approfondimento. «La Dad, in determinati contesti sociali, può aver determinato l’acuire di disuguaglianze preesistenti, mentre in altri può invece aver aiutato a contenere i danni causati dalla pandemia».

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