Se mai una legge per permettere ai fuorisede di votare ci sarà, non arriverà per le elezioni comunali e regionali previste in autunno.
Come abbiamo raccontato di recente, alla Camera, in commissione Affari costituzionali si stanno confrontando diverse proposte di legge sul tema. Una di questa – redatta dai costituzionalisti Salvatore Curreri e Roberto Bin su richiesta del Collettivo Peppe Valarioti, un gruppo di studenti, lavoratori e ricercatori calabresi (ma non solo) – punta direttamente alle consultazioni in arrivo.
Il testo contiene solo due articoli e prevede che si possa esercitare il proprio diritto di voto per le elezioni comunali o regionali fuori dal comune di residenza, presentandosi nella prefettura o nell’ufficio territoriale del Governo nel luogo in cui il cittadino ha registrato il proprio domicilio.
All’elettore basterebbe inviare una comunicazione alla prefettura o all’ufficio territoriale della circoscrizione elettorale di residenza, entro quattro mesi dalla data delle elezioni comunali o regionali. I voti espressi verrebbero poi trasmessi dalla prefettura nel territorio di domicilio all’ufficio elettorale della circoscrizione di residenza per essere contati con tutti gli altri voti.
Sull’iter, però, è arrivato lo stop del ministero dell’Interno.
Vediamo i dettagli.
Perché il Viminale frena
Il 26 maggio Giuseppe Brescia (M5s), relatore del provvedimento e presidente della commissione Affari costituzionali, ha riferito in commissione l’esito dell’incontro avuto il giorno prima con alcuni rappresentanti del ministero dell’Interno.
«Il Viminale appare contrario a far viaggiare le schede elettorali, dal comune di residenza a quello di temporaneo domicilio, e viceversa – ha spiegato Brescia – è stato fatto comunque presente che gli italiani all’estero votano per corrispondenza».
Infatti, la legge elettorale in vigore, il cosiddetto Rosatellum bis, ha confermato nel 2017 una norma già prevista dall’Italicum: alle elezioni politiche «possono votare per corrispondenza nella circoscrizione Estero» anche i cittadini italiani che «per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trovano, per un periodo di almeno tre mesi» nel Paese estero, anche se non sono registrati lì come residenti (una misura pensata, per esempio, per gli studenti Erasmus), semplicemente inviando una comunicazione entro tre mesi dalla consultazione.
Fra i dubbi del ministero guidato da Luciana Lamorgese sul voto ai fuorisede già in autunno ci sarebbero i possibili ritardi nello spoglio delle schede – anche a causa dei molti comuni coinvolti – e il rischio di riconoscibilità del voto nei casi in cui un solo elettore voti in un’altra città, a distanza, per il proprio comune di residenza.
Il governo, per compensare la chiusura alla proposta di legge, ha prospettato un possibile aumento delle agevolazioni di viaggio per gli elettori che devono tornare nel comune di residenza per poter votare. Secondo Brescia, in ogni caso, quest’eventualità, «la cui compatibilità finanziaria è tutta da verificare», non ha lo «spirito innovativo» delle proposte in discussione, uno spirito «non registrabile nelle interlocuzioni col governo», ha messo in evidenza Brescia.
Da parte del Viminale ci sarebbe comunque l’intenzione di continuare a ragionare sul tema in vista delle prossime politiche.
La reazione dei fuorisede
In un comunicato, la rete “Voto sano da lontano” ha espresso «sconcerto e preoccupazione per la posizione espressa dal Ministero dell’Interno sulla discussione in corso in Commissione Affari Costituzionali alla Camera per garantire il diritto di voto a distanza».
Secondo il gruppo – di cui fa parte anche il collettivo Valarioti da cui è nata la proposta di legge Bin-Curreri – gli «ostacoli» giudicati «insormontabili» dal Viminale sono «stati da tempo superati nella maggior parte degli altri Paesi europei, nei quali i cittadini fuori sede possono votare per posta, in un seggio presso il proprio domicilio o anche per delega».
«La Rete – si legge ancora nella nota – crede che la voce del parlamento e dei cittadini non possa essere ignorata dal governo: la burocrazia non deve avere la precedenza sui diritti fondamentali dei cittadini».
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