Il 21 novembre Carlo Calenda ha presentato il nuovo partito Azione, pubblicando il suo manifesto sul sito ufficiale.
Abbiamo verificato sei frasi dette dall’ex ministro per vedere se corrispondono al vero, o meno.
Quanto è “potente” l’Italia?
«Siamo l’ottava potenza mondiale»
Secondo i dati più aggiornati della Banca mondiale, a fine 2018 il Prodotto interno lordo dell’Italia ha toccato un valore di quasi 2.074 miliardi di dollari (circa 1.871 miliardi di euro).
Come riporta correttamente il manifesto di Azione (mentre Calenda nel video di presentazione del partito dice «nona potenza»), il Pil italiano si colloca all’ottavo posto a livello mondiale. Sul gradino più alto del podio ci sono gli Stati Uniti (20.494 miliardi di dollari di Pil), seguiti dalla Cina (13.608 miliardi) e dal Giappone (4.971 miliardi).
Davanti al nostro Paese, ci sono poi la Germania (3.966 miliardi), il Regno Unito (2.825 miliardi), la Francia (2.777 miliardi) e l’India (2.726 miliardi).
La medaglia d’argento in manifattura
«[Siamo] la seconda economia manifatturiera d’Europa»
E per la produzione industriale? Com’è messa l’Italia? Ad aprile 2019 ci siamo occupati del tema, verificando come in base ai dati provvisori di Eurostat sembrava esserci stato un sorpasso da parte della Francia sul nostro Paese per quanto riguarda il valore della produzione industriale (con il primo posto saldamente in mano alla Germania).
In realtà, i dati più aggiornati certificano che nel 2017 il valore della produzione industriale italiana è stato di oltre 943 miliardi di euro, al secondo posto davanti agli 894,7 miliardi di euro della Francia.
A parte questo dato, c’è dibattito tra gli esperti nello stabilire quale sia il corretto indicatore da guardare per decidere effettivamente chi sia la seconda economia manifatturiera d’Europa.
L’Italia, a tal proposito, è comunque al secondo posto anche se si guarda anche alla capacità di creare ricchezza (il valore aggiunto) e alla capacità di creare lavoro (il numero di occupati).
Nel primo caso, secondo i dati Eurostat relativi al 2018, il valore aggiunto italiano nel settore manifatturiero è valso 265,8 miliardi di euro, mentre quello della Francia 228,4 miliardi di euro.
Nel secondo caso, sempre secondo Eurostat, nel 2018 gli occupati nel settore manifatturiero francese erano pari a 2,56 milioni, cioè al 9,1 per cento del totale degli occupati. In Italia lo stesso anno erano pari a 3,95 milioni, pari al 15,6 per cento del totale degli occupati.
Quanto spende lo Stato e per cosa
«Scuola, Sanità e Sicurezza-Giustizia dove l’Italia investe oggi molto meno degli altri Paesi europei»
Andiamo a vedere secondo i dati Eurostat più aggiornati quanto spende il nostro Paese in rapporto al Pil in sanità, istruzione e sicurezza-giustizia.
Nel 2017 (ultimo anno disponibile), la spesa in sanità dell’Italia corrispondeva al 6,8 per cento del Pil, rispetto a una media Ue a 28 Stati del 7 per cento.
Meglio di noi hanno fatto 11 Paesi Ue, tra cui gli altri grandi Stati europei: Francia (8 per cento), Regno Unito (7,4 per cento) e Germania (7,1 per cento).
È sotto la media europea anche la spesa in istruzione rispetto al Pil. Nel 2017, il nostro Paese ha investito per questa voce di spesa il 3,8 per cento del Pil, contro una media Ue a 28 Stati del 4,6 per cento.
L’Italia è quintultima in questa speciale classifica, sorpassata dagli altri grandi Paesi europei: Francia (5,4 per cento), Regno Unito (4,6 per cento) e Germania (4,1 per cento).
Infine, siamo messi un po’ meglio per quanto riguarda la spesa in sicurezza e giustizia. Secondo Eurostat, nel 2017 l’Italia ha investito per questa voce di spesa l’1,8 per cento del Pil, lo 0,1 per cento in più rispetto la media europea (1,7 per cento). Il Regno Unito ha speso come noi (1,8 per cento); Francia (1,6 per cento) e Germania (1,5 per cento) meno, seppure di poco.
Ricapitolando: se è vero che per la sanità e l’istruzione l’Italia spende meno della media europea – e dei grandi Paesi paragonabili al nostro – questo discorso non vale per la spesa in sicurezza, leggermente più alta della media Ue.
I numeri sull’analfabetismo funzionale
«Un Paese con un tasso di analfabetismo funzionale doppio rispetto agli altri Paesi avanzati»
L’analfabetismo funzionale è stato definito dall’Unesco come l’incapacità di un individuo a «prendere parte in tutte quelle attività in cui è richiesta l’alfabetizzazione per il funzionamento efficace del proprio gruppo o della propria comunità», oltre che «per permettergli di continuare a leggere, scrivere e fare calcoli per lo sviluppo proprio e della comunità di appartenenza».
Questa definizione è stata ripresa anche dall’Ocse, che nel 2016 ha pubblicato un rapporto intitolato Skills Matter – Further results from the survey of adult skills. Questa ricerca non fa mai riferimento al termine “analfabetismo funzionale”, ma già in passato Calenda, quando ha parlato di questo fenomeno, ha fatto riferimento ai dati contenuti in questo studio.
Sono due le tipologie di competenza prese in esame dall’Ocse nella sua ricerca: le competenze linguistiche – e quindi la capacità di analizzare in modo corretto i testi scritti – e le competenze matematiche.
Queste competenze sono state classificate sulla base di cinque livelli: più basso è il livello, minore sarà la capacità di un individuo, per esempio, di comprendere un testo o fare di calcolo.
«In entrambe le aree di competenza – si legge nel rapporto dedicato al nostro Paese – in Italia la proporzione degli intervistati con un punteggio corrispondente a livello 1 o inferiore è tra le più elevate. Il 27,7 per cento degli adulti italiani possiede competenze linguistiche di Livello 1 o inferiore, contro solo il 15,5 per cento nella media dei paesi partecipanti. Per quanto riguarda le competenze matematiche, il 32 per cento degli italiani ha competenze di Livello 1 o inferiore, contro solo il 19 per cento in media».
Sembra dunque che l’Italia sia messa peggio rispetto agli altri Paesi europei, ma il manifesto di Azione esagera un po’ quando parla di tasso di “analfabetismo funzionale” (termine a cui Ocse non fa però riferimento) «doppio».
Il 27,7 per cento in competenze linguistiche è più basso di quasi 4 punti percentuali rispetto al doppio della media del 15,5 per cento. Discorso analogo vale per le competenze matematiche: il 32 per cento visto prima è di circa 6 punti percentuali più basso rispetto al doppio del 19 per cento di media.
Quanto leggono gli italiani?
«[Un Paese] dove un giovane su due non legge un libro»
Il 27 dicembre 2018, l’Istat ha pubblicato l’annuale rapporto “Produzione e lettura libri in Italia”, con alcuni numeri che confermano sostanzialmente quanto scritto nel manifesto di Azione.
Nel 2017 (ultimo anno disponibile), in Italia la quota di persone con più di 6 anni che ha dichiarato di avere letto un libro nei 12 mesi precedenti – per motivi non strettamente scolastici o professionali – è stata pari al 41 per cento. In generale, oltre un italiano su due rientra in questa categoria.
Per i giovani, le cose vanno leggermente meglio, ma si resta nell’ordine di grandezza indicato dal manifesto di Azione.
Nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni, la percentuale di chi ha letto almeno un libro in un anno si attesta intorno al 50,7 per cento (62,7 per cento tra le femmine, 38,7 per cento tra i maschi); tra i 15 e i 17 anni si sale fino al 55,4 per cento e fino al 56,5 per cento tra gli 11 e i 14 anni.
Le alleanze di governo in Europa
«In nessun Paese europeo gli eredi delle grandi culture politiche del ‘900 hanno scelto di allearsi con gli avversari della democrazia liberale»
Con questo passaggio, il manifesto fa implicitamente riferimento all’alleanza di governo tra il Partito democratico e il Movimento 5 stelle, che sin dalla sua nascita ha tra i suoi obiettivi quello di superare la democrazia rappresentativa con quella diretta.
Senza entrare nel merito del giudizio sul M5s, in Europa esistono comunque altri casi in cui si sono formate alleanze di governo con movimenti considerati dalla stampa e dall’opinione pubblica come «avversari della democrazia liberale».
A dicembre 2017, per esempio, in Austria il conservatore Sebastian Kurz ha formato un governo con il Partito della Libertà austriaco (Fpo), descritto da più parti come un movimento di estrema destra e post-nazista. L’alleanza di governo è poi venuta meno a maggio 2019, dopo uno scandalo che aveva coinvolto Herbert Kickl, leader del Fpo.
Nel 2010, invece, nei Paesi Bassi il Partito per la Libertà (Pvv) di Geert Wilders, considerato islamofobo e di estrema destra, appoggiò in Parlamento il governo di minoranza del liberale Mark Rutte, per poi far cadere l’esecutivo nel 2012.
Infine, nel 2015 in Finlandia fu formata una coalizione di governo che al suo interno comprendeva – con i centristi di Sipila e i conservatori di Stubb – anche il Partito dei Finlandesi (in precedenza, chiamati Veri Finlandesi), considerati nazionalisti e fortemente euroscettici.
In conclusione
A parte alcune imprecisioni, le dichiarazioni verificabili nel manifesto di Azione non contengono errori significativi.
Da un punto di vista economico, è vero che il Pil italiano è l’ottavo al mondo e che il nostro Paese è la seconda potenza manifatturiera nel continente.
È vero poi che in sanità e istruzione l’Italia spende meno della media europea (e dei grandi Paesi paragonabili al nostro), mentre la spesa in sicurezza è leggermente più alta della media Ue.
Nel manifesto del suo nuovo partito, Calenda poi esagera leggermente i dati sull’analfabetismo funzionale in Italia, mentre è sostanzialmente vero che un giovane su due nel nostro Paese non legge neppure un libro in un anno.
Infine – al di là del giudizio dato al M5s – è possibile rintracciare negli anni recenti alcuni esempi di coalizioni di governo con partiti considerati dagli analisti politici come «avversari della democrazia liberale».
Nei Paesi Bassi, in Finlandia e in Austria, infatti, per la formazione di tre esecutivi è stato fondamentale il supporto di altrettanti partiti di estrema destra e nazionalisti.
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