Le giravolte di Gelmini e Carfagna sul salario minimo

Ora lo reputano necessario, ma fino a pochi anni fa lo criticavano usando argomentazioni molto simili a quelle del governo Meloni
ANSA
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Azione è da tempo uno dei partiti di opposizione che chiede con più insistenza di introdurre un salario minimo in Italia, fissato per legge. Il 10 agosto la vicesegretaria e portavoce di Azione Mariastella Gelmini ha scritto su Twitter che la battaglia per il salario minimo è «sacrosanta». Negli scorsi mesi anche la presidente di Azione Mara Carfagna ha indicato nel salario minimo una delle priorità del suo partito, per andare oltre gli «slogan» e la «propaganda».

Ma sia Gelmini sia Carfagna, entrambe passate da Forza Italia ad Azione prima delle elezioni del 25 settembre 2022, avevano fino a pochi anni fa una posizione opposta sul salario minimo rispetto a quella attuale, in linea con quella adottata oggi dal governo Meloni. 

«Forza Italia al salario minimo preferisce il salario robusto. Vogliamo mettere 8 miliardi per aumentare di un terzo le detrazioni sul lavoro dipendente», scriveva sui social Carfagna a fine luglio 2019, pochi giorni prima della caduta del primo governo Conte. «Meno soldi allo Stato, più soldi nelle tasche dei lavoratori».
Una posizione ancora più netta rispetto a quella di Carfagna, che in passato si era comunque detta disponibile a discutere di salario minimo con imprese e sindacati, è stata quella di Gelmini. «Il salario minimo è un tema finto, l’ennesima arma di distrazione di massa della propaganda grillina», scriveva a giugno 2019 l’allora deputata di Forza Italia sul suo sito ufficiale, commentando le trattative tra la Lega e il Movimento 5 Stelle, all’epoca alleati di governo. «La ricetta per il rilancio del Paese e del lavoro è una sola: tagliare il cuneo fiscale, ridurre il costo del lavoro e garantire buste paga più pesanti ai lavoratori». Questa posizione ricorda molto quella dell’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che dopo pochi giorni essersi insediata a Palazzo Chigi ha definito il salario minimo uno «specchietto per le allodole». 

Nel commento sul suo sito Gelmini aggiungeva che «il salario minimo nel nostro Paese esiste già» ed è stabilito dai contratti collettivi nazionali. «Il tema è superfluo perché in Italia abbiamo un sistema di rappresentanza sindacale e datoriale di lunga tradizione – scriveva l’attuale portavoce di Azione – il cui problema maggiore è semmai quello dei cosiddetti “contratti pirata”». «Il punto quindi è garantire la rappresentatività dei lavoratori e una contrattazione ancora più rafforzata, decentrata, al fine di portare alla esigibilità universale dei minimi salariali dei contratti collettivi nazionali», concludeva Gelmini. «Il sistema salariale italiano è già troppo rigido, oltre che poco rivolto al tema della produttività, della competitività, e conseguentemente del divario crescente in termini di reddito ed occupazione del Mezzogiorno rispetto alle regioni del Nord».
Su Twitter si trovano dichiarazioni con lo stesso tono, come: «Mettiamo le imprese nella condizione di assumere più persone e di pagare salari più alti grazie alla riduzione del cuneo fiscale. L’emergenza occupazione in Italia non si risolve con il salario minimo», oppure: «La vera emergenza del nostro Paese è il lavoro. Occorre il taglio del costo del lavoro, meno tasse per le imprese e stipendi più alti per i lavoratori. Altro che salario minimo!». 

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