Negli ultimi giorni, Giorgia Meloni ha più volte criticato la Francia per le sue politiche economiche in Africa, accusandola di controllare la sovranità monetaria di 14 Paesi attraverso una “moneta coloniale”, il franco Cfa.

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Il 24 gennaio, la leader di Fratelli d’Italia ha pubblicato sui social un video in cui spiega che, nel 2011, la Francia bombardò la Libia proprio perché Gheddafi – l’allora presidente libico – voleva liberare i Paesi africani da questa valuta. Secondo Meloni, questa sarebbe «la prova che non c’è niente di filantropico nel mantenimento del franco Cfa e che la Francia è di fatto corresponsabile dell’immigrazione incontrollata che negli ultimi anni ha colpito l’Europa».

Un’accusa simile è arrivata il 25 gennaio anche da Alessandro Di Battista. Su Facebook, l’ex deputato del M5s ha infatti scritto che «Gheddafi stava pensando di proporre a diversi Paesi africani l’utilizzo di una nuova moneta agganciata al dinar libico, […] portando avanti un progetto che avrebbe messo in pericolo il Franco delle Colonie».

Ma è vera questa storia – o «storiaccia», come la chiama Di Battista? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando?

Nel suo video – ma anche in alcune interviste tv, come quella all’Aria che tira su La7 del 22 gennaio – Meloni racconta che cosa sarebbe successo davvero nel 2011. E come prova mostra una email, «resa nota dal Dipartimento di Stato nel 2015», che fu mandata a Hillary Clinton quando era segretaria di Stato degli Stati Uniti.

Secondo la leader di Fratelli d’Italia, «un funzionario americano» avrebbe scritto a Clinton che «i francesi avevano scoperto che Gheddafi aveva un piano per sostituire la moneta coloniale francese con una moneta africana basata su quella libica». Per questo motivo – scrive il «funzionario» – questa sarebbe la ragione dietro al bombardamento della Libia da parte della Francia nel 2011 e dell’«omicidio del colonnello Gheddafi» (ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011).

Nel finale del video, la stessa Meloni sembra mostrare qualche dubbio su questa versione dei fatti, dicendo: «Perché se quello che c’è scritto fosse anche lontanamente vero, significherebbe che la Francia non è esattamente un filantropo che stampa queste monete ma ha un interesse nel difendere questa moneta».

In realtà, la versione riportata dalla leader di Fratelli d’Italia, oltre a contenere diverse inesattezze, non poggia su basi solide. Vediamo perché.

La storia delle email di Hillary Clinton

Hillary Clinton è stata segretaria di Stato degli Stati Uniti dal 2009 al 2013.

Durante questi quattro anni, la candidata democratica alle scorse elezioni presidenziali statunitensi non usò mai l’indirizzo email governativo, ma un account di posta elettronica privato. Nel 2015, il Dipartimento di Stato scoprì questa “anomalia” e chiese a Clinton di consegnare gli oltre 30 mila messaggi ricevuti o mandati dall’account privato (altri 30 mila circa erano stati invece già cancellati).

A seguito di una richiesta avanzata sulla base del Foia (Freedom of information act) statunitense da parte di attivisti e giornalisti, un tribunale stabilì che queste email dovessero essere rese pubbliche. Ed è proprio tra questi messaggi che c’è quello citato da Meloni.

Una email del 2 aprile 2011 aveva infatti come oggetto “France’s client & Q’s gold. Sid” ed era stata inviata da un certo Sidney Blumenthal. Come si legge nel testo, il mittente spiegava che «fonti vicine ai consiglieri di Salt al-Islam Qaddafi [secondogenito di Gheddafi, ndr] avevano dichiarato in via strettamente confidenziale che […] il governo di Gheddafi possedeva 143 tonnellate d’oro, e altrettante di argento». Queste riserve – dice l’email – «sarebbero state accumulate prima della ribellione, per creare una valuta pan-africana legata al dinaro libico», un piano ideato per «fornire ai Paesi africani francofoni un’alternativa al franco Cfa».

Secondo il mittente del messaggio, «fonti informate affermano che questo oro abbia un valore di oltre 7 miliardi di dollari […]. L’intelligence francese avrebbe scoperto il tutto e il presidente francese Sarkozy avrebbe deciso di attaccare la Libia», sia per proteggere gli interessi francesi sul petrolio sia per aumentare la propria influenza in Nord Africa.

Ma chi è la fonte?

Il mittente di questo messaggio è Sidney Blumenthal, che aveva mandato in quel periodo anche altre 24 email sulla Libia alla Clinton. Blumenthal ha 70 anni ed è stato un assistente dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Il suo esatto rapporto professionale con Hillary è stato definito ambiguo e poco chiaro da diversi quotidiani statunitensi, come il New York Times e il Washington Post.

Di certo, all’epoca Blumenthal non era un funzionario americano, come lo definisce invece Meloni. Era un amico e alleato della Clinton, alla quale periodicamente inviava alcune osservazioni, materiali o commenti sulla situazione libica. Il problema è che Blumenthal, pur essendo considerato un esperto di politica estera, non lo era nello specifico delle questioni libiche.

Come sostiene un articolo di Politico del 2015, Blumenthal veniva pagato 10 mila dollari al mese dalla Clinton Foundation per le sue informazioni dal Nord Africa, che spesso però erano state definite dalla stessa Clinton «poco credibili».

A luglio 2015, Blumenthal dichiarò che la sua fonte era «un ufficiale di alto livello della Cia», che secondo i media americani sarebbe stato Tyler Drumheller, ritiratosi dai servizi segreti nel 2005 dopo molti anni di servizio e passato alla consulenza privata. Qui i rapporti si complicano, perché sia Drumheller che Blumenthal sembravano avere interessi economici nell’instabile situazione libica (Drumheller è morto nel 2015).

Come racconta un articolo di Vice News, entrambi lavoravano come consulenti per una compagnia libica che cercava di trarre profitto dal caos libico, con contratti militari e per l’assistenza medica che sarebbero dovuti essere finanziati anche dal Dipartimento di Stato Usa. Sebbene Blumenthal abbia sempre negato ogni conflitto di interessi con i suoi “consigli” alla segretaria di Stato Clinton, restano forti dubbi sull’affidabilità delle informazioni in suo possesso.

Ad oggi, gli unici siti che già nel 2015 avevano dato risalto alla notizia erano stati quelli vicini alla destra statunitense e quelli legati ad ambienti cospirazionisti.

Gheddafi aveva davvero così tanto oro?

Un fondo di verità sembra comunque esserci, in questa storia: ma non tanto per quanto riguarda le ragioni che convinsero la Francia a entrare in guerra.

È vero che, nel corso dei suoi decenni al potere, Gheddafi avesse manifestato il suo sogno di creare «gli Stati Uniti d’Africa», trovando però l’opposizione di diversi Paesi africani. Il collegamento con il franco Cfa e la sua sostituzione con una moneta legata al dinaro libico sono però presenti solo nell’email di Blumenthal e non in dichiarazioni ufficiali.

È vero anche che la Libia di Gheddafi avesse ingenti quantità d’oro. Come spiega un articolo del Financial Times del 22 marzo 2011, le riserve auree della Banca centrale libica ammontavano a circa 144 tonnellate d’oro, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale. Un valore totale di circa 6,5 miliardi di dollari, che sarebbero serviti a Gheddafi per finanziare la guerra civile e proteggersi.

Un rapporto del 2017 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha inoltre scritto che l’ex presidente libico era riuscito a spostare in Paesi come il Kenya e il Sud Africa oltre 8 miliardi di dollari, in diamanti e lingotti d’oro – in parte riconsegnati a conflitto finito.

Come si era sviluppato il conflitto in Libia?


Abbiamo quindi visto come questa storia abbia la sua origine in una fonte poco credibile e poco autorevole, ma Meloni la usa comunque a sostegno della sua tesi: l’intervento in Libia è la causa principale dell’immigrazione, e la responsabile è la Francia.

In realtà, lasciando da parte il discorso sulle migrazioni e la questione del franco Cfa, è vero che la Francia è stata una delle protagoniste principali del conflitto del 2011, con l’obiettivo di ampliare la sua sfera d’influenza in Libia.

Il 19 marzo 2011, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò con 10 voti favorevoli (e 5 contrari) la risoluzione 1973, che per proteggere i civili, tra le altre cose, chiedeva un immediato “cessate il fuoco” e l’istituzione di una zona d’interdizione al volo (no-fly zone) sulla Libia. Lo stesso giorno, iniziarono i bombardamenti contro Gheddafi di Francia, Regno Unito e Stati Uniti, dando il via a un conflitto che sarebbe finito a ottobre dello stesso anno ma che ancora oggi mostra le sue conseguenze nella seconda guerra civile in atto nel Paese.

Come hanno riportato diversi analisti negli anni, la Francia aveva all’epoca (e ha tutt’oggi) forti interessi economici e geopolitici in quell’area, soprattutto per quanto riguarda i giacimenti di petrolio e le sue aziende del settore, come la Total.

Come votò Meloni sull’intervento militare

Ma nel 2011 – anno dell’inizio del conflitto – Meloni faceva parte del governo Berlusconi, dove ricopriva la carica di ministra della Gioventù. Come si era schierata all’epoca sulla guerra in Libia?

Il 23 marzo 2011 – cinque giorni dopo la risoluzione Onu – alla Camera dei deputati si votarono tre risoluzioni sulla partecipazione dell’Italia alla guerra in Libia.

La prima risoluzione (6/00071) – presentata da Fabrizio Cicchitto del Popolo della Libertà (Pdl) – chiedeva alla Camera di sostenere quanto previsto dalla decisione dell’Onu. Con 300 favorevoli e 293 contrari, la risoluzione fu approvata, con il voto favorevole anche della deputata Giorgia Meloni. L’unico voto contrario (“ribelle”) nel Pdl fu quello di Alessandra Mussolini.

Stesso discorso vale per la seconda risoluzione (6/00072) – presentata da Francesco Delrio del Partito Democratico, all’epoca all’opposizione – che riguardava la concessione della basi aeree italiane per l’intervento in Libia. Anche in questo caso, Meloni votò a favore.

Alla terza e ultima risoluzione (6/00073) invece – che fu respinta con 301 voti contrari – l’attuale leader di Fratelli d’Italia si oppose. Il testo, presentato dal Partito Democratico, riguardava la questione dei flussi migratori. Tra le altre cose, chiedeva infatti di «mettere in atto tutte le misure necessarie al fine di fornire assistenza a tutti coloro che fuggono via mare verso l’Italia coordinando coi partner europei eventuali distribuzioni straordinarie anche in altri Stati membri dell’Unione europea in deroga alla Convenzione di Dublino del 1990». Un tema ancora oggi attuale.

Conclusione

Secondo Giorgia Meloni (e anche alcuni esponenti del M5s, come Alessandro Di Battista), la Francia è intervenuta militarmente in Libia nel 2011 perché il presidente libico Gheddafi voleva liberare i Paesi africani dal franco Cfa.

Questa tesi, però, poggia su fonti poco affidabili. L’unico elemento a suo sostegno è una email mandata da un consulente di Hillary Clinton, senza esperienza diplomatica in Libia e con potenziali conflitti di interessi, che citava fonti anonime all’interno delle autorità libiche.

Inoltre, oggi Meloni accusa la Francia di essere la responsabile principale dell’immigrazione dall’Africa verso l’Europa, ma nel 2011 – quando era deputata – aveva lei stessa votato a favore del supporto italiano alla guerra in Libia.