I fatti dietro la promessa: la flat tax del centrodestra, che non è una flat tax

Che cosa sappiamo di questa proposta, perché è molto costosa e perché c’è un margine di incertezza sulla sua costituzionalità
ANSA
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L’11 agosto la coalizione di centrodestra ha pubblicato il programma in vista delle elezioni del 25 settembre, che contiene anche la promessa di introdurre la cosiddetta “flat tax”. Questo termine fa riferimento a un sistema di tassazione che applica una singola aliquota fiscale a tutti i livelli di reddito, ma, come è evidente leggendo il programma di centrodestra, non è questo a cui fanno riferimento Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Noi moderati.

Il programma promette «l’estensione della flat tax per le partite Iva fino a 100.000 euro di fatturato» e la «flat tax su incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti», «con la prospettiva di ulteriore ampliamento per famiglie e imprese». Dunque, con “flat tax” si fa riferimento innanzitutto all’estensione per i redditi autonomi fino ai 100 mila euro di un’aliquota unica al 15 per cento, estesa con la legge di Bilancio per il 2019 alle partite Iva con un reddito inferiore ai 65 mila euro all’anno.

Negli scorsi giorni, il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi aveva invece promesso che il centrodestra, una volta al governo, avrebbe introdotto una flat tax del 23 per cento, per tutti, mentre il segretario della Lega Matteo Salvini aveva rilanciato, come fa da tempo, un’aliquota più bassa, pari al 15 per cento.

Prendendo per buona la «prospettiva» del centrodestra di estendere un’unica aliquota a «famiglie e imprese», che cosa c’è di concreto dietro a questa promessa? Per ora, molto poco. Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza sul tema, analizzando, tra le altre cose, il problema delle risorse per finanziare la flat tax e la sua costituzionalità o meno.

Flat tax che non sono flat tax

Come abbiamo anticipato, la flat tax promessa dal centrodestra non è una vera flat tax. Questo è evidente se si legge il disegno di legge (qui il testo), depositato in Senato da Salvini, dal capogruppo della Lega Massimiliano Romeo e da Armando Siri, responsabile del programma del partito e uno dei maggiori promotori della flat tax. Qui c’è scritto che il percorso per l’introduzione della flat tax è suddiviso in tre frasi. La prima fase riguarda l’introduzione e l’estensione del regime forfettario, con un’unica aliquota, alle partite Iva. La terza fase è quella in cui «la flat tax sarà applicabile a tutti i contribuenti senza i limiti precedentemente stabiliti». La fase più articolata è quella intermedia.

Nella cosiddetta “Fase II”, l’obiettivo della Lega è quello di tassare i redditi delle famiglie, distinguendole in tre tipologie. Dopo aver calcolato le cosiddette “deduzioni fiscali”, che permettono di ridurre la base di reddito su cui è calcolata l’imposta, il passaggio successivo non è quello di applicare un’unica aliquota, ma 18. 

Ricapitolando: quando il partito di Salvini promette la flat tax ai suoi elettori, omette di dire almeno due cose. La prima: innanzitutto, usa questo termine per fare riferimento a un regime che finora riguarda solo una parte delle partite Iva. La seconda: il percorso per arrivare a un’unica aliquota del 15 per cento prevede l’introduzione di 18 aliquote.

Al di là di questo, si potrebbe obiettare che, in ogni caso, il traguardo finale riguarda un’unica aliquota per tutti. Ma quanto costerebbe un provvedimento simile e dove si prenderebbero i soldi per finanziarlo?

Il problema dei costi

Uno dei principali problemi della flat tax riguarda proprio le risorse economiche per finanziarla: se lo Stato riduce le imposte sui redditi delle persone, deve trovare poi il modo di recuperare le risorse non più incassate. Il programma presentato dal centrodestra non menziona dove saranno trovate le coperture, mentre il disegno di legge della Lega è piuttosto vago sul tema. Agli articoli 26 e 45, dedicati rispettivamente alla “Fase II” e alla “Fase III” dell’introduzione della flat tax, si legge che le misure saranno finanziate con un fondo, creato dal Ministero dell’Economia, finanziato con le risorse derivanti «dall’aumento del livello di fedeltà fiscale» dei contribuenti e «dall’incremento dell’attività economica conseguente alla riduzione delle aliquote fiscali». In altre parole, secondo la Lega, il graduale percorso di introduzione della flat tax contribuirà ad aumentare le entrate per il fisco perché contrasterà l’evasione fiscale e incentiverà l’attività economica, vista la riduzione dell’imposizione fiscale.

Questa idea, a prima vista molto intuitiva, circola da decenni nei programmi economici di diversi Paesi nel mondo, ma ad oggi non ha raccolto solide prove nella letteratura scientifica. Come hanno spiegato in passato diversi esperti a Pagella Politica, gli studi pubblicati finora sono piuttosto concordi nel dire che non è sufficiente tagliare le tasse se si vuole aumentare il gettito fiscale e incentivare i contribuenti a non evadere. A oggi, promettere meno tasse non sembra dunque essere un meccanismo credibile per ridurre l’evasione fiscale. Gli unici tentativi efficaci di riduzione dell’evasione fiscale supportati dall’evidenza empirica sono quelli che agiscono parallelamente su un inasprimento dei controlli e sui metodi di pagamento delle tasse (per esempio con le dichiarazioni precompilate dei redditi).

Il sito www.tassaunica.it, usato dalla Lega per promuovere la propria iniziativa, ha una sezione dedicata alle “Domande frequenti”sulla flat tax. alla domanda «Quali sono le previsioni sull’andamento del Pil con la flat tax al 15 per cento?», la risposta è scarna, senza numeri: «La situazione di difficoltà economica attuale non permette di dare valutazioni puntuali», sottolinea il sito. «Sicuramente la flat tax è finalizzata a stimolare la domanda interna e quindi ad avere ricadute positive sul Pil».

Al di là di questo, esistono alcune stime spannometriche su quanto potrebbe costare una vera e propria flat tax, anche se vanno prese con cautela, visto che con questo termine il centrodestra spesso fa riferimento a una generica riduzione delle imposte. Le stime degli esperti vanno da circa 60 miliardi di euro (una cifra simile alla spesa in istruzione del Paese) a oltre 80 miliardi.

La flat tax è costituzionale?

Una delle critiche più citate nei confronti della flat tax è quella secondo cui questa misura sarebbe incostituzionale. Per esempio, il 10 agosto il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti (ex segretario del Partito democratico) ha scritto su La Stampa che la flat tax, sia essa al 23 o al 15 per cento, scardinerebbe il «principio di progressività fissato nell’articolo 53 della Costituzione». Questo articolo stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Dopo l’approvazione della legge di Bilancio per il 2022, l’imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef) è composta da quattro fasce di reddito, con quattro aliquote (prima erano cinque). Il principio alla base della flat tax è quello di sostituire queste aliquote con un’unica aliquota (da qui il nome di “tassa piatta”). È dunque evidente una sostanziale differenza tra un sistema di questo tipo e quello dell’Irpef appena visto. Con più aliquote, all’aumentare del reddito aumenta progressivamente la percentuale di tasse da pagare all’erario. Con una sola aliquota, questa progressività sembra venire meno. Come sottolinea la Treccani, la flat tax è un sistema fiscale «non progressivo basato su un’aliquota fissa».

In linea teorica, la flat tax è solo proporzionale, perché tutti i redditi, senza distinzioni, pagano la stessa percentuale. Abbiamo scritto “in linea teorica” perché in realtà ci possono essere interventi che permettono di rendere progressiva anche la flat tax. Stiamo parlando di eventuali deduzioni o detrazioni fiscali: le prime riducono il reddito prima che venga applicata l’aliquota, le seconde riducono l’imposta che si ha applicando l’aliquota.

Uno dei modi per rendere più progressiva la flat tax è quello di introdurre la cosiddetta “no tax area”, ossia una soglia di reddito entro la quale non si pagano imposte (per esempio, per aiutare le fasce della popolazione più povere). Un meccanismo simile si può introdurre modificando le detrazioni, che alleggeriscono l’imposta sulla base delle caratteristiche di un contribuente (per esempio, se si hanno figli oppure anziani a carico).

In questo modo, la progressività con una flat tax potrebbe essere mantenuta, facendo sì che probabilmente venga rispettato l’articolo 53 della Costituzione, in base al quale il sistema tributario, e non un singolo tributo, «è informato a criteri di progressività». Lasciamo un margine di incertezza perché l’ultima parola a riguardo spetterebbe comunque alla Corte costituzionale.

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