Il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, un commando delle Brigate Rosse rapisce il presidente della Democrazia Aldo Moro e uccide i cinque uomini della scorta. Lo stesso giorno, alle ore 10, il calendario della Camera dei deputati prevede il voto di fiducia al quarto governo presieduto da Giulio Andreotti. Le circostanze rendono inevitabile un appoggio straordinariamente ampio delle forze politiche.
Andreotti ottiene a Montecitorio 545 sì, corrispondente, in termini percentuali, al favore dell’86,5 per cento dei membri della Camera (Tabella 2). Solo 30 i voti contrari, i deputati liberali, del Movimento sociale italiano, di Democrazia proletaria e i radicali. Il giorno stesso il Senato accorda la fiducia al nuovo governo con 267 sì, ovvero l’82,9 per cento dei membri dell’assemblea.
«Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’imboscata tesa stamane all’onorevole Aldo Moro, con l’uccisione di quattro agenti dell’ordine ed il rapimento del nostro collega – è l’
incipit del discorso di insediamento di Andreotti – pone angosciosi quesiti al nostro animo e rafforza in ognuno di noi la totale dedizione al servizio della Repubblica per rimuovere al limite delle umane possibilità questi centri di distruzione del tessuto civile della nostra nazione. La compattezza delle forze politiche e di quelle sindacali – in questo assolutamente concordi – deve costituire la base di una sempre più vigorosa azione psicologica e tecnica per ottenere che l’Italia non abbia a precipitare in una spirale di insicurezza e di ingovernabilità».
Non mancano momenti di tensione. Quando il presidente del Consiglio illustra comunque le linee programmatiche e parla di deficit, il deputato del Movimento sociale italiano Pino Romualdi lo interrompe con un brusco «Ma non si sono cose più importanti?», seguito dal collega di partito Giuseppe Rauti: «Ci sono altri quattro morti!». Il presidente della Camera Pietro Ingrao chiede di lasciar parlare il presidente del Consiglio. «Chi se ne frega del presidente del Consiglio!» è la risposta di Rauti.
Andreotti non si scompone: «Non creda l’onorevole Romualdi che anche per me sia molto agevole dovermi soffermare su queste cose – risponde – ma è dovere del Governo farlo! Sono infatti sicuro che se il Governo avesse rinunciato ad esprimere alcune linee del programma concordato, avreste detto che saremmo venuti qui a carpire la fiducia per uno stato emotivo».
Il giorno dopo il
Corriere della sera, sotto il titolo “Fiducia lampo di Camera e Senato”, descrive così la seduta: «Il parlamento, malgrado l’emozione, lo sgomento e lo sdegno, ha reagito alla nuova sfida allo Stato nell’unico modo possibile. In poche ore ha conferito al quarto governo Andreotti con un voto di larghissima maggioranza “una fiducia lampo”, la piena capacità di operare» (Figura 2).