Esportazioni e importazioni
non tengono completamente conto di questi diversi passaggi tra Paesi differenti, registrando solamente la parte finale del commercio internazionale. Per questa ragione è stata introdotta l’idea delle
catene globali del valore (
global value chains), utile a stabilire il valore aggiunto da ciascun Paese durante il processo di produzione.
La partecipazione può essere di
due tipi: in avanti (
forward participation) e all’indietro (
backward participation). La prima avviene quando un Paese partecipa a una fase del processo di produzione senza essere l’esportatore finale del prodotto. Ad esempio: una macchina ideata in Germania viene assemblata in Italia e venduta negli Stati Uniti. La seconda invece si riferisce al valore aggiunto degli input che sono stati importati per creare un prodotto da esportare. Ad esempio: gli Stati Uniti importano risorse naturali dall’Africa per la produzione di computer. Quindi, maggiore è la partecipazione di un Paese nelle catene globali del valore, maggiore è il peso che le esportazioni (o più nello specifico il commercio internazionale) hanno sulla ricchezza del Paese stesso.
I dati più aggiornati sulla partecipazione dell’Italia alle catene globali del valore arrivano solamente fino al 2011. Nonostante siano un po’ datati, mostrano come – ancora una volta – tali catene siano molto importanti per l’Italia, ma allo stesso tempo vi siano Paesi che partecipano in maniera più consistente rispetto al nostro.
Infatti, secondo i
dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc, o Wto nella sigla inglese), il 47,5 per cento delle esportazioni lorde italiane era parte di una di queste catene, mentre la restante parte erano esportazioni dirette verso i Paesi consumatori. Con questo valore, l’Italia si piazzava però solamente in 36° posizione su 63 paesi analizzati [2].