Gli errori di Meloni contro la relazione sullo Stato di diritto dell’Ue

Abbiamo analizzato che cosa non torna nella ricostruzione fatta in Cina dalla presidente del Consiglio 
ANSA
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Il 30 luglio, in un punto stampa tenuto durante la sua visita ufficiale in Cina, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato il contenuto della “Relazione sullo Stato di diritto” pubblicata di recente dalla Commissione europea. Secondo Meloni, questa relazione è un «documento tecnico» dove gli «accenti critici» verso l’Italia «non sono della Commissione europea». «La Commissione europea riporta accenti critici di alcuni portatori di interesse, diciamo stakeholder. Chi sono quegli stakeholder? Il Domani, il Fatto Quotidiano, la Repubblica». La presidente del Consiglio ha poi aggiunto che il rapporto della Commissione europea «non dice nulla di particolarmente nuovo rispetto agli anni precedenti». «Anche questo varrebbe la pena ricordare», ha aggiunto Meloni. 

Punto per punto, vediamo che cosa non torna in questa ricostruzione fatta dalla leader di Fratelli d’Italia.

La confusione sul rapporto

Il 24 luglio la Commissione europea ha pubblicato la “Relazione sullo Stato di diritto 2024” nell’Unione europea. In questo rapporto, realizzato ogni anno dal 2020, la Commissione valuta il rispetto del cosiddetto “Stato di diritto” nei Paesi Ue. Stiamo parlando del principio in base al quale in tutti gli Stati membri i soggetti pubblici e privati devono rispettare la legge sotto la giurisdizione di corti indipendenti, a prescindere della maggioranza politica in carica. La “Relazione sullo Stato di diritto” si articola su quattro temi: i sistemi giudiziari di ogni Paese; le norme contro la corruzione; la libertà e il pluralismo dei mezzi di informazione; e altre questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri, per esempio tra politica e giustizia. Insieme alla “Relazione sullo Stato di diritto” nell’Ue, la Commissione ha pubblicato anche singoli rapporti dedicati ai vari Stati membri, tra cui l’Italia. 

Secondo Meloni, nella relazione sul nostro Paese la Commissione ha riportato le critiche fatte al governo da alcuni quotidiani critici proprio nei confronti del governo, tra cui la Repubblica, il Fatto Quotidiano e Domani. Questo non è vero. Nel documento dedicato all’Italia l’espressione «portatori di interesse» compare più di 40 volte (qui è disponibile anche la versione in inglese del testo, dove si usa l’espressione stakeholder). Gli unici quotidiani citati sono Avvenire, per un’intervista alla vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Alessandra Maddalena; il Corriere della Sera, per un’intervista al ministro della Difesa Guido Crosetto e un’intervista al segretario dell’Anm Salvatore Casciaro; e La Notizia, per un’intervista a Maddalena. Nelle note e negli allegati della relazione, la Commissione ha poi specificato di aver tenuto riunioni con oltre 50 tra istituzioni, associazioni e organizzazioni. Tra queste ci sono la Federazione nazionale stampa italiana e l’Ordine dei giornalisti, che insieme promuovono l’osservatorio “Ossigeno per l’informazione”, dedicato alle minacce ricevute dai giornalisti in Italia. 

Come abbiamo spiegato in un altro articolo, è vero che nella relazione sull’Italia la Commissione Ue ha riportato le critiche contro la riforma costituzionale del “premierato” sollevate dall’Associazione italiana dei costituzionalisti (Aic), nata nel 1985 per promuovere lo studio del diritto costituzionale. Anche in questo caso, dunque, la fonte di queste critiche – riportate dalla Commissione e comunque non fatte proprie – non sono i giornali citati da Meloni.

Con tutta probabilità, l’errore di Meloni nasce dall’aver confuso due rapporti: quello sullo Stato di diritto, realizzato e pubblicato dalla Commissione Ue, e il rapporto intitolato “Silenziare il quarto potere: la deriva democratica dell’Italia», pubblicato il 29 luglio da Media Freedom Rapid Response (Mfrr). Questo progetto raggruppa varie associazioni, tra cui l’European Federation of Journalists e l’International Press Institute, e ha l’obiettivo di monitorare le violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell’Ue. Media Freedom Rapid Response è co-finanziato dalla Commissione Ue, ma non è un progetto ufficiale dell’Unione europea, e fornisce tra le altre cose supporto legale ai giornalisti. 

«Negli ultimi anni, in Italia si è assistito a un costante declino della libertà dei media, segnato da attacchi e violazioni senza precedenti, spesso iniziati da rappresentanti pubblici nel tentativo di mettere a tacere voci critiche. L’interferenza politica nei media pubblici e l’uso sistematico di intimidazioni legali contro i giornalisti da parte degli attori politici da tempo definiscono il rapporto tra media e politica in Italia. Tuttavia, negli ultimi due anni queste dinamiche hanno raggiunto livelli allarmanti», ha scritto Media Freedom Rapid Response presentando il nuovo rapporto. 

Tra gli stakeholder consultati per la realizzazione del rapporto, elencati in un allegato, compaiono in effetti i nomi di giornalisti di Domani, del Fatto Quotidiano e di Repubblica.

Le novità del rapporto Ue

Nel punto stampa in Cina, Meloni ha detto che la relazione della Commissione Ue sullo Stato di diritto in Italia «non dice nulla di particolarmente nuovo rispetto agli anni precedenti». Anche in questo caso le cose non stanno proprio così. Qui si può consultare l’edizione di quest’anno, qui invece è disponibile quella pubblicata nel 2023, quando già era in carica il governo Meloni. Come si può leggere, in entrambe le relazioni la Commissione europea ha valutato i progressi fatti dall’Italia rispetto alle raccomandazioni date al nostro Paese l’anno precedente e ha elencato le nuove raccomandazioni da rispettare. 

Nella relazione dell’anno scorso la Commissione aveva scritto che, rispetto al 2022, l’Italia aveva fatto «progressi significativi» su due raccomandazioni, tra cui quella relativa al potenziamento della digitalizzazione della giustizia, e «alcuni progressi» sulle rimanenti altre quattro raccomandazioni. 

Nella relazione di quest’anno, invece, il rispetto delle sei raccomandazioni europee fatte nella relazione dell’anno scorso sembra meno positivo. Secondo la Commissione Ue, l’Italia ha fatto «ulteriori progressi» rispetto a due raccomandazioni ricevute nel 2023 – quelle sulla digitalizzazione della giustizia e sulla regolamentazione delle attività di lobbying – mentre non c’è stato «nessun ulteriore progresso» sulle altre tre raccomandazioni. Una raccomandazione del 2023 chiedeva all’Italia di «affrontare efficacemente e rapidamente la pratica di incanalare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e nell’introduzione di un registro elettronico unico per le informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne». Un’altra chiedeva di «portare avanti il processo legislativo di riforma e introduzione di garanzie per il regime della diffamazione e la protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, tenendo conto delle norme europee in materia di protezione dei giornalisti». Una terza raccomandazione chiedeva di proseguire gli «sforzi per costituire un’istituzione nazionale per i diritti umani tenendo conto dei principi di Parigi delle Nazioni Unite». 

Nella relazione del 2023 la Commissione Ue aveva fatto cinque raccomandazioni all’Italia, mentre in quella di quest’anno le raccomandazioni sono sei. Cinque di queste raccomandazioni sono di fatto uguali a quelle dell’anno scorso, ma nella raccomandazione di «portare avanti il processo legislativo del progetto di riforma sulla diffamazione e sulla protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche» è stato aggiunto un inciso, che nella relazione del 2023 non era presente. La Commissione infatti ha chiesto di evitare «ogni rischio di incidenza negativa sulla libertà di stampa». Una sesta raccomandazione è nuova: la Commissione Ue ha raccomandato all’Italia di «provvedere affinché siano in vigore disposizioni o meccanismi che assicurino un finanziamento dei media del servizio pubblico adeguato per l’adempimento della loro missione di servizio pubblico e per garantirne l’indipendenza». Questa richiesta non era presente nell’edizione della relazione del 2023.

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