I partiti hanno provato a prendere più soldi con il 2 per mille

Il tentativo è stato bloccato dal presidente della Repubblica, che ha espresso vari dubbi a un emendamento al decreto “Fisco”
Ansa
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Nella serata di martedì 26 novembre si è svolta una seduta della Commissione Bilancio al Senato per esaminare il decreto “Fisco”, un decreto-legge che contiene «misure urgenti in materia economica e fiscale». Durante l’esame degli emendamenti, ossia delle modifiche al decreto, è nato un caso che ha riguardato il 2 per mille, il sistema di finanziamento con cui dal 2014 i contribuenti possono destinare ai partiti una piccola quota (il 2 per mille, appunto) dell’IRPEF che devono pagare allo Stato. 

Nei giorni scorsi i senatori del Partito Democratico e di Alleanza Verdi-Sinistra che fanno parte della Commissione Bilancio hanno presentato [1] due emendamenti identici per alzare il tetto massimo dei finanziamenti che i partiti possono ricevere dai soldi donati dai contribuenti con il 2 per mille. In base alla legge attualmente in vigore, tutti i partiti messi insieme possono incassare complessivamente dal 2 per mille circa 25 milioni di euro l’anno: eventuali donazioni in eccesso finiscono nelle casse dello Stato. Il Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra hanno proposto di portare a 28 milioni di euro questo tetto. 

Il governo ha però deciso di modificare il testo degli emendamenti presentati dai due partiti all’opposizione. Al momento sul sito del Senato non è ancora disponibile il resoconto stenografico della seduta in commissione, ma Pagella Politica ha potuto leggere l’emendamento riformulato dal governo. L’obiettivo del nuovo emendamento era ridurre la quota dell’IRPEF che i contribuenti possono destinare ai partiti, portandola dal 2 per mille allo 0,2 per mille. Il nuovo emendamento stabiliva però che nel caso in cui un contribuente non avesse espresso una scelta, la destinazione dello 0,2 per mille dell’IRPEF sarebbe andata a tutti i partiti «in proporzione alle scelte espresse» dagli altri contribuenti. Detto altrimenti, l’emendamento ha proposto di dare ai partiti tutto lo 0,2 per mille “inoptato”, mentre oggi il 2 per mille per cui non è stato indicato un partito beneficiario finisce allo Stato. Questa modifica avrebbe comportato un onere di «42,3 milioni di euro» a partire dal 2025. Insomma, in questo modo il finanziamento ai partiti sarebbe passato da circa 25 milioni di euro a oltre 42 milioni, distribuiti con un meccanismo che avrebbe premiato i partiti più scelti dalle donazioni dei contribuenti. 

Alcuni esponenti del Partito Democratico hanno dato il loro parere favorevole all’emendamento presentato dal governo. Per esempio, secondo il senatore del PD Daniele Manca con il nuovo emendamento riformulato il governo aveva deciso «di sfruttare l’occasione per mettere a posto la norma» sul finanziamento ai partiti. Di parere opposto, invece, è Tino Magni, senatore di Alleanza Verdi-Sinistra e firmatario di uno dei due emendamenti presentati in commissione. In un’intervista con il Fatto Quotidiano, Magni ha dichiarato di essere contrario alla riformulazione del testo da parte del governo.

L’intervento del presidente della Repubblica

Come hanno raccontato varie fonti stampa, il tentativo di aumentare il finanziamento ai partiti ha sollevato i dubbi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il cui intervento ha di fatto bloccato l’esame dell’emendamento e la sua votazione. Durante la seduta in Commissione Bilancio, fonti della Presidenza della Repubblica hanno fatto sapere al Parlamento che Mattarella non avrebbe firmato la legge di conversione del decreto “Fisco” se fosse stato inserito l’emendamento in questione, per tre motivi. 

Il primo motivo riguarda la «disomogeneità» dell’ambito di intervento dell’emendamento rispetto al contenuto del decreto “Fisco”: già in altre occasioni Mattarella ha criticato i governi di turno per aver approvato decreti-legge con al loro interno norme che riguardano ambiti molto diversi tra loro. Ai diversi ambiti su cui interviene il decreto “Fisco”, se l’emendamento sul 2 per mille fosse passato, si sarebbe aggiunto anche quello del finanziamento ai partiti.

Il secondo motivo riguarda la natura dei decreti-legge, che in base alla Costituzione dovrebbero essere approvati «in casi straordinari di necessità e di urgenza». Qui il dubbio è se una revisione del sistema del 2 per mille possa rientrare in questa casistica.

C’è poi un terzo motivo per cui Mattarella ha espresso dubbi, e riguarda il metodo con cui si è cercato di modificare il 2 per mille. Secondo fonti stampa, il presidente della Repubblica ritiene il sistema del finanziamento ai partiti un tema ampio e complesso e in quanto tale andrebbe trattato con una riforma a sé stante, e non con un emendamento a un decreto-legge. 

I numeri del 2 per mille

L’anno scorso più di 1,7 milioni di contribuenti (il 4,2 per cento sul totale) hanno destinato il 2 per mille a un partito, un numero in aumento rispetto agli oltre 1,4 milioni di contribuenti del 2022 (il 3,5 per cento sul totale). Nel 2023 il 30,4 per cento dei contribuenti che hanno messo una preferenza per il 2 per mille ha indicato il Partito Democratico; al secondo posto c’è Fratelli d’Italia, scelto dal 19,9 per cento dei contribuenti, mentre il Movimento 5 Stelle – che per la prima volta ha avuto accesso al 2 per mille – è stato scelto dal 10 per cento. La Lega invece è stata scelta da circa il 7 per cento dei contribuenti. Tra i partiti minori, Europa Verde è stata scelta dal 4,6 per cento, Sinistra Italiana dal 4,1 per cento, Italia Viva dal 3,3 per cento, Più Europa dal 3,1 per cento e Azione dal 2,3 per cento.

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