Il borgo che sogna di rinascere con un milione di euro per abitante

Siamo andati a Elva, dove vivono stabilmente solo venti persone tutto l’anno. Il comune vuole tornare a popolarsi grazie al PNRR, ma le incertezze non mancano
Una vista del Comune di Elva – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Una vista del Comune di Elva – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Alle 9:30 del mattino la stretta strada di montagna è ancora in parte gelata. È una di quelle giornate piemontesi d’autunno in cui il cielo senza una nuvola dà l’impressione che faccia caldo. In realtà fuori ci sono appena due gradi. L’aria è pungente e per non avere freddo servono giacca pesante e sciarpa. Sul bordo della strada si è accumulato qualche centimetro di neve caduta pochi giorni fa: la prima nevicata della stagione. A Elva però la neve non c’è più, se non all’ombra. Si è già sciolta perché le case di questo piccolo paese in provincia di Cuneo sono esposte al sole tutto il giorno. 

Elva è il decimo comune più alto d’Italia: si trova a 1.637 metri di altitudine, incastonato in un vallone secondario della Val Maira, vicina al confine con la Francia. Per raggiungerlo ci sono tre strade, almeno in teoria: una è al momento inagibile perché pericolante, un’altra è stata chiusa per la neve, e l’unica percorribile, fatta di salite e tornanti, è lunga una ventina di chilometri. Ma Elva non si sviluppa in un unico gruppo di case: è composta da oltre trenta borgate, alcune ormai disabitate. Secondo i dati Istat, i residenti sono 77. In realtà quelli che vi risiedono stabilmente tutto l’anno sono appena venti, come i milioni di euro che il paese riceverà grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). In pratica un milione per abitante.
Nel 2022 il progetto “Su, avanti! Guardiamo l’avvenire di Elva” (Alavetz! Agachand l’avenir de Elva in occitano, una lingua parlata in queste zone) ha infatti vinto un bando del PNRR per la rigenerazione dei piccoli borghi, con l’obiettivo di rendere attrattivo il paese della Val Maira. Trasformare un borgo isolato in una località attrattiva è però più facile a dirsi che a farsi. Che cosa significano davvero 20 milioni di euro per un paese di appena venti abitanti? Questa pioggia di fondi sarà sufficiente per riportare vita, lavoro e futuro su questi monti? Per scoprirlo, siamo andati a Elva.

Vite passate

Elva fa parte dei comuni “periferici”, quelli tra i più distanti dai servizi considerati essenziali. Per raggiungere Cuneo, infatti, ci vuole quasi un’ora e mezza di automobile. La stazione ferroviaria più vicina è a 55 chilometri di distanza, i mezzi pubblici non sono efficienti e i bambini che frequentano le scuole elementari devono essere portati a Stroppo, a una trentina di minuti di auto dal centro di Elva. Le scuole superiori sono ancora più lontane: l’istituto alberghiero di Dronero è a oltre trenta chilometri, mentre tutti gli altri licei si trovano a Cuneo. Questo problema, comunque, al momento non si pone: a Elva non vive più nessuno studente delle scuole superiori e i bambini sono pochissimi, dato che la maggior parte della popolazione è adulta o anziana. Un tempo non era così: all’inizio del Novecento i residenti erano più di 1.300, ma poi sono diminuiti. In soli dieci anni, tra il 1921 e il 1931, la popolazione si è dimezzata, da 1.203 a 692 abitanti. 

Una volta a Elva c’era vita, probabilmente anche per merito dei suoi abitanti che a partire dall’Ottocento hanno saputo inventarsi un mestiere inusuale. Facevano quello che in dialetto si chiama i cavié o pelassiers, ossia i commercianti di capelli, che vendevano soprattutto alle fabbriche di parrucche di Londra, Berlino e Parigi. «A quattordici anni sono andata a travaié i cavei [lavorare i capelli, ndr], io e le mie sorelle. Andavamo da mio cognato, Cavalcanti Onorato, eravamo sei o sette ragazze a lavorare nella sua stanza», ha raccontato Caterina Lombardo, elvese del 1901, nel libro L’anello forte (Einaudi), scritto dal partigiano e scrittore cuneese Nuto Revelli. Nei dintorni del comune tutte le ragazze vendevano i capelli. «Li vendevamo per comprarci una vesta [un vestito ndr]. Arrivavano quelli di Elva, ci lasciavano ancora una crestina in testa. Una volta ho preso la stoffa di tre veste tanto avevo i capelli lunghi. Erano castani, il colore dei capelli faceva il prezzo», ha raccontato a Revelli Elisabetta Centenero, classe 1898, nata e cresciuta vicino a Stroppo.

Rispetto a quando c’erano i cavié, oggi Elva è cambiata completamente. «Negli anni Quaranta c’erano cinque scuole. Oggi ce ne sono due in tutta la valle», ha detto a Pagella Politica Laura Lacopo, impiegata del Comune di Elva. Lacopo indossa un paio di pantaloni a quadretti e un cardigan in lana da cui spunta il colletto di una camicia color vinaccia, ha i capelli castani tenuti in ordine grazie a un cerchietto e parla dal suo ufficio mentre metodicamente mette a posto delle scartoffie. «Vivo a Elva da 43 anni, sono nata in Liguria e mi sono sposata qua. Quando sono arrivata, c’erano settanta persone tutto l’anno, era già poco ma adesso siamo ai minimi, saremo una ventina. Questo è un posto bello, ma si è sfaldato completamente il tessuto sociale: non c’è più nessuno», ha raccontato Lacopo.
Il Comune di Elva – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Il Comune di Elva – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Oltre a un caseificio e al Museo dei pelassiers, dedicato a chi lavorava i capelli, nel paese ci sono alcune strutture ricettive, che lavorano soprattutto durante i mesi estivi. D’estate infatti le strette vie di Elva si riempiono di turisti amanti della montagna e della natura, mentre d’inverno il paese si svuota: alcune attività chiudono e la maggior parte dei residenti scende a valle. L’obiettivo dei 20 milioni di euro del PNRR è portare a Elva più persone durante tutto l’anno e impedire che il borgo si spopoli completamente. Ma in che modo? 

Che cosa c’entra il PNRR

I 20 milioni di euro destinati a Elva fanno parte della Linea A del “Piano nazionale borghi”, un programma di sostegno allo sviluppo economico e sociale di alcuni territori finanziato con i soldi del PNRR. Elva è uno dei 21 borghi italiani a rischio abbandono, o abbandonati, che ha ricevuto il finanziamento proveniente dall’Unione europea. I borghi sono 21 perché ne sono stati selezionati uno per ogni regione e provincia autonoma, per uno stanziamento complessivo di 420 milioni di euro (qui avevamo raccontato la storia di Livemmo, il borgo vincitore in Lombardia). Questa cifra corrisponde allo 0,2 per cento degli oltre 194 miliardi di euro su cui può contare l’intero PNRR, ma resta comunque uno stanziamento ingente se paragonato a quelli di altre misure. Per esempio nel 2024 il “bonus psicologo”, di cui si è parlato molto negli ultimi anni, è stato finanziato con 12 milioni di euro, meno di quelli che andranno a ognuno dei 21 borghi della Linea A.

Oltre a questa linea, il “Piano nazionale borghi” ne prevede altre tre: la Linea B, il “regime d’aiuto” e il “turismo delle radici”. La Linea B comprende interventi di rigenerazione culturale per 380 milioni di euro in 294 borghi storici. Il “regime di aiuto” mette a disposizione 200 milioni di euro per micro, piccole e medie imprese che trasferiranno la loro attività nei borghi che rientrano nella Linea B. Infine, il “turismo delle radici” coinvolge il Ministero degli Esteri e ripartisce altri 20 milioni di euro ad alcuni comuni per organizzare eventi che diffondano la cultura d’origine tra gli italiani all’estero e gli italo-discendenti.

Per quanto riguarda la Linea A, i comuni interessati hanno presentato un piano di interventi alla propria regione di appartenenza. In Piemonte, su 18 località candidate, a marzo 2022 è stato selezionato il progetto di Elva, che poi è stato presentato al Ministero della Cultura e definitivamente approvato. «Non ci sono solo le capitali dell’arte, ma anche luoghi meravigliosi, centinaia di borghi nelle aree interne, che purtroppo negli anni si sono spopolati completamente o quasi perché non c’era lavoro», aveva detto l’allora ministro della Cultura Dario Franceschini (Partito Democratico), annunciando i borghi vincitori della Linea A. Elva infatti è solo uno dei tanti borghi delle aree interne che in Italia rischia di scomparire: secondo Istat, nonostante la crisi demografica, la popolazione italiana tra il 2002 e il 2024 è aumentata nei centri urbani più grandi, ma è diminuita nei comuni periferici.

Il bando sui borghi aveva suscitato sin da subito critiche, in particolare dall’Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM). «Il bando era ed è stato una lotteria. Da subito non abbiamo condiviso la linea adottata dal ministero: è un’assurda e poco visionaria misura che premia uno e scontenta tutti», ha detto a Pagella Politica Roberto Colombero, presidente di UNCEM Piemonte. Secondo Colombero, Elva avrà difficoltà a gestire i soldi del finanziamento, così come altri paesi, perché in comuni come questi manca il personale adeguato. «Anche solo immaginare di investire 20 milioni di euro su comuni in cui a volte non c’è nemmeno un dipendente è emblematico dell’ignoranza che alcune strutture del Paese hanno a livello centrale dei nostri territori», ha aggiunto Colombero.

Secondo il presidente di UNCEM, le ricadute positive sul territorio saranno modeste proprio perché il bando riguarda solo un vincitore per regione. «Poteva essere un bel percorso di crescita di grandi pezzi del territorio nazionale. Così non è e così non sarà: se va bene riusciremo a spendere 20 milioni in un comune sperando che almeno in quel comune cambi qualcosa, ma sul resto del territorio crediamo che i risvolti siano pochi, aumentando le disuguaglianze e le differenze tra comunità che vivono sullo stesso territorio», ha concluso Colombero.

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Lavori in corso

Secondo i programmi, con 20 milioni di euro a Elva saranno realizzati undici progetti, di cui quattro incentrati sugli studi universitari in collaborazione con alcuni atenei piemontesi. Saranno aperti il “Centro studi di alpicoltura” per studiare il funzionamento delle aziende pastorali montane e la “Scuola di pastorizia”, in collaborazione con l’Università di Torino. Con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo verrà aperto il “Centro saperi tradizionali delle produzioni alpine”, mentre insieme al Politecnico di Torino sarà inaugurata la “Scuola Ri-abitare”.

«Noi non abbiamo grandi appezzamenti di terreno: non possiamo competere con la pianura, ma possiamo coltivare erbe officinali e aromatiche», ha spiegato a Pagella Politica Giulio Rinaudo, sindaco di Elva. Rinaudo ha 68 anni, è al suo primo mandato, anche se alle spalle ha anni di esperienza nell’amministrazione e nella Pro loco, ed è stato eletto nel 2020 con la lista civica “Quelli di Elva”. Per vincere gli sono serviti 37 voti, più del doppio di quelli presi dal suo sfidante. Parla da una sala del Comune, uno spazio molto luminoso, con grandi vetrate ad arco che affacciano sulla valle e sulle cime innevate. «Sul territorio ci sono già molte piantagioni di genepy, però vorremmo non solo coltivare, ma anche trasformare il prodotto. Abbiamo già dei piccoli “germi” di attività: un laboratorio dove si fanno conserve alimentari e una ragazza che dalla coltivazione di stelle alpine fa un’acqua per la pulizia del viso. Queste attività devono essere ampliate e portate a un livello superiore», ha aggiunto il sindaco. La pianta di genepy, che fa parte della famiglia delle Artemisia, è una specie protetta, cresce spontaneamente in alcune località di alta montagna, ed è coltivata in Piemonte e Valle d’Aosta. Dalla raccolta e macerazione dei suoi fiori si ottiene un amaro, il Genepy, che si distingue per il suo sapore aromatico e il colore olivastro, spesso presente sulle tavole dei piemontesi a fine pasto.

L’obiettivo dell’amministrazione comunale di Elva è usare i fondi del PNRR per valorizzare le potenzialità del territorio, cercando di attrarre nuovi giovani. «Portare ragazzi a Elva sarà fantastico. Viaggeranno per il paese, discuteranno, porteranno cultura», ha sottolineato Rinaudo. Non sono ancora disponibili tutti i dettagli del progetto, ma è chiaro che il Comune di Elva non vuole diventare un polo universitario, ma accogliere una trentina di studenti in determinati periodi dell’anno, dando loro la possibilità di studiare ambiti che in città non potrebbero approfondire sul campo. «Il nostro progetto sembra funzionare, basti pensare che l’Università autonoma di Barcellona e quella di Tolosa hanno chiesto di farne parte. E dobbiamo tenere a mente che tutto questo è fatto non per Elva, ma per il territorio perché avere qui delle sedi universitarie avrà ricadute positive su tutta la zona», ha detto il sindaco. 

Per accogliere gli studenti, con i fondi del PNRR il comune sta ristrutturando Borgata Rossechie, a pochi minuti dal centro del paese. Il Comune ha acquistato abitazioni di privati, ormai abbandonate da tempo, e ha avviato i lavori di ristrutturazione per un valore di circa 2,5 milioni di euro.
Le ristrutturazioni in corso a Borgata Rossechie – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Le ristrutturazioni in corso a Borgata Rossechie – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Oltre agli spazi universitari, vicino alle future aule magne sarà costruito un osservatorio astronomico. Il paese già organizza serate in cui si spengono le poche luci della città e si studiano le stelle: lo scarso inquinamento luminoso permette di vedere un cielo ben diverso da quello delle città. «Nella società moderna abbiamo illuminato tutto e il cielo ce lo siamo mangiati. Grazie all’installazione di un telescopio completamente automatizzato le scuole, gli abitanti e i turisti potranno scoprire da vicino le stelle», ha raccontato il sindaco di Elva. «Stiamo lavorando in collaborazione con l’osservatorio di Pino Torinese e con un astrofisico di Nizza».

È poi prevista la realizzazione di progetti dedicati ai turisti, come la costruzione di un rifugio e la valorizzazione e messa in sicurezza della Vio d’la Cumbo, una storica strada costruita faticosamente nel 1880 a colpi di piccone. Altri progetti saranno riservati agli elvesi, come l’installazione del teleriscaldamento a biomassa.

Quasi tutti i lavori sono legati da un obiettivo comune: la valorizzazione culturale del territorio e, di conseguenza, il tentativo di portare tutto l’anno la vita nei borghi montani. Tra i principali interventi a carattere culturale finanziati dal PNRR c’è la valorizzazione della chiesa affrescata dal pittore fiammingo Hans Clemer, noto come il “maestro d’Elva”. La chiesa è piccola e ha una facciata piatta, un po’ malandata. Ma entrando, tra le luci soffuse, emerge l’affresco di Clemer che raffigura le storie di Maria e di Cristo. Per capire la sua pittura, conoscere la vita dell’artista e le opere, sarà costruito un museo immersivo che diventerà parte di un percorso artistico-culturale e che porterà fino a Saluzzo, a 60 chilometri da Elva, dove l’artista ha lasciato gran parte delle sue opere.
La chiesa affrescata da Hans Clemer – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
La chiesa affrescata da Hans Clemer – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica

Le difficoltà e le questioni in sospeso

I progetti del PNRR relativi a Elva dovranno essere ultimati entro il 2026. «Non manca molto tempo e i lavori da fare sono tanti. Magari alcuni saranno posticipati ma noi comunque lavoriamo con quella scadenza in mente», ha detto a Pagella Politica il sindaco di Elva, Rinaudo. E la determinazione nell’ultimare i progetti in tempo si vede dal fatto che tutti i cantieri sono stati avviati, tranne quelli della Vio d’la Cumbo per cui si stanno redigendo gli ultimi documenti prima di far partire ufficialmente i lavori. Nei cantieri già attivi ci sono camion e ruspe che vanno avanti e indietro, teli arancioni che segnalano le aree interessate e operai alle prese con i lavori. 

Secondo Rinaudo, le difficoltà più grandi sono causate dalla burocrazia. «Noi abbiamo sognato l’impossibile. Stiamo riuscendo ad andare avanti ma onestamente le difficoltà sono incredibili. Bisogna considerare che per ogni lavoro c’è l’archeologo, c’è la sovrintendenza, ci sono tantissimi passaggi: non è per niente facile fare tutti questi lavori», ha raccontato il sindaco. 

Ai problemi generati dalla burocrazia, si aggiunge la mancanza di personale. Ma su questo il Comune di Elva sembra essersi mosso in tempo, essendo riuscito ad ampliare il suo organico. «Quando ci siamo insediati, prima del bando del PNRR, non avevamo nemmeno un impiegato comunale, quindi abbiamo assunto una ragazza della Val Maira. Però una sola impiegata non avrebbe potuto gestire un progetto da 20 milioni di euro come questo, così abbiamo dovuto cercare altre persone», ha spiegato il sindaco. 

Il vicesindaco di Elva Dario Falcone è un ingegnere e si occupa da vicino della gestione della cantieristica. Insieme a lui, tra chi è a partita IVA e chi è assunto, collaborano altre sette persone, oltre ai ragionieri. A loro si è aggiunta Flavia Pellegrino, ex viceprefetta di Cuneo in pensione, che ha offerto le sue competenze a titolo volontario. Nonostante il rafforzamento dell’organico comunale, Rinaudo non ha risparmiato qualche critica: «L’organizzazione del Comune è stato il nostro primo pensiero, se no non avremmo mai potuto reggere il colpo. Il bando del PNRR non si era posto il problema della struttura amministrativa carente nei piccoli borghi».

Restano comunque due interrogativi a cui il Comune di Elva dovrà rispondere nel prossimo futuro: la carenza dei servizi e i fondi per la gestione delle strutture universitarie. Per quanto riguarda il primo punto, per ripopolare Elva non basteranno trenta studenti universitari per qualche mese all’anno, ma bisognerà costruire una rete di servizi. «Servizi qui, tranne la raccolta dei rifiuti, non ce ne sono», ha commentato Laura Lacopo, l’impiegata del comune. Le poste sono aperte due giorni a settimana, mancano le scuole, il medico di base non c’è, quindi per fare una visita bisogna scendere in valle. Lo stesso discorso vale per i supermercati, le farmacie e gli altri negozi.

Il problema legato all’assenza di servizi è strettamente connesso a quello della viabilità. L’unica strada agibile per raggiungere Elva in inverno è molto stretta: in alcuni punti, se due automobili che viaggiano in senso di marcia opposto si incontrano, una deve fare retromarcia per far passare l’altra. «Qui arrivano molti turisti nonostante la strada che abbiamo, non è che siamo fuori dal mondo, si arriva tranquillamente. In montagna non si può pretendere di avere una strada dritta. Certo è che bisogna migliorarla perché in alcuni tratti è veramente troppo stretta», ha commentato il sindaco. In generale, tanti servizi dovranno essere potenziati per ricostruire il tessuto sociale e permettere a nuove famiglie di stabilirsi a 1.637 metri di altitudine. Secondo Rinaudo, comunque, gli strumenti per farlo già ci sono: «Le nuove tecnologie sono fondamentali sia per la scuola che per togliere dall’isolamento alcuni paesi. Si possono fare tanti ragionamenti e sarà necessario farli perché questi luoghi continuino a essere abitati».

Il secondo interrogativo riguarderà le strutture, in particolare quelle universitarie, perché sarà necessario trovare i fondi per sviluppare i progetti. «La grossa sfida, su cui stiamo già riflettendo, sarà pensare al dopo. Noi mettiamo a disposizione i locali, ma non bisogna pensare che si viene a Elva perché ci sono dei fondi o che si sia pagati dopo perché non sarà possibile. Bisognerà cercare dei bandi, dei finanziamenti», ha sottolineato il sindaco.
Il panorama dalla piazza del paese – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Il panorama dalla piazza del paese – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica

Che cosa ne pensano gli elvesi

Secondo l’impiegata del Comune con cui abbiamo parlato, i 20 milioni di euro del PNRR potrebbero «essere la rivoluzione, se no Elva non potrebbe durare più tanto». «Siamo arrivati al classico punto di non ritorno: quando sono arrivata c’erano ancora dei bambini, ma quando sono diventati obbligatori i primi due anni delle superiori [nel 2007, ndr] sono andati via tutti quelli con figli», ha spiegato Lacopo. Anche Andrea Gertosio, che quel paese lo conosce bene perché ha lavorato per quattro stagioni nel resort di Elva, la pensa allo stesso modo: «Alcuni progetti sono validi, altri meno. Ma sicuramente porteranno del bene e lo renderanno più bello». 

Non tutti gli abitanti di Elva, però, sono ottimisti. «Qualcuno ha accolto questa novità con scetticismo, altri con un po’ di paura. C’è chi è molto entusiasta, e altri che sono contrari perché hanno idee più isolazioniste. Una volta questo era un luogo molto europeo, c’era chi andava all’estero a commerciare i capelli, chi lavorava in Francia, in Camargue. E poi tornavano qua per alcuni periodi dell’anno. Ultimamente invece c’è stato un po’ troppo isolamento», ha spiegato il sindaco. «In passato si sono fatte determinate cose per vivere, adesso quelle cose non vanno perse perché raccontandole possono fare vivere altre persone, ma bisogna smetterla di pensare che dobbiamo tornare al passato, perché non si può. Il cambiamento fa paura, però bisogna mettersi in testa che se rimaniamo così muoriamo».

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