Da alcuni anni le elezioni amministrative in Italia, che si terranno il 12 giugno in 971 comuni italiani, tra cui 26 capoluoghi di provincia, hanno adottato regole specifiche per favorire l’elezione di donne e incentivare la parità di genere tra gli eletti.
Una legge del 2012 ha stabilito infatti due principi. In base al primo, nei comuni con più di 5 mila abitanti nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi (una sentenza della Corte costituzionale di marzo 2022 ha detto che questo vincolo deve valere anche nei comuni con meno di 5 mila abitanti, ma senza sanzioni). In base al secondo principio, nei comuni con più di 15 mila abitanti vale la “doppia preferenza di genere”: si può esprimere la preferenza a due candidati, a patto che siano di sesso diverso (pena l’esclusione della seconda preferenza). Una legge del 2014 ha poi stabilito che nelle giunte dei comuni con più di 3 mila abitanti nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento.
Numeri alla mano, queste regole hanno funzionato nell’incentivare la parità di genere alle elezioni comunali? Per rispondere a questa domanda, non basta fare un confronto spannometrico tra quante erano le donne elette più di dieci anni fa e quante quelle elette più di recente. Molti fattori infatti possono aver concorso in un eventuale aumento della rappresentanza femminile. Per questo motivo, alcuni ricercatori hanno analizzato i dati con metodi statistici più precisi, rilevando che effettivamente un effetto positivo, imputabile alle nuove regole, sembra esserci stato.
Una legge del 2012 ha stabilito infatti due principi. In base al primo, nei comuni con più di 5 mila abitanti nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi (una sentenza della Corte costituzionale di marzo 2022 ha detto che questo vincolo deve valere anche nei comuni con meno di 5 mila abitanti, ma senza sanzioni). In base al secondo principio, nei comuni con più di 15 mila abitanti vale la “doppia preferenza di genere”: si può esprimere la preferenza a due candidati, a patto che siano di sesso diverso (pena l’esclusione della seconda preferenza). Una legge del 2014 ha poi stabilito che nelle giunte dei comuni con più di 3 mila abitanti nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento.
Numeri alla mano, queste regole hanno funzionato nell’incentivare la parità di genere alle elezioni comunali? Per rispondere a questa domanda, non basta fare un confronto spannometrico tra quante erano le donne elette più di dieci anni fa e quante quelle elette più di recente. Molti fattori infatti possono aver concorso in un eventuale aumento della rappresentanza femminile. Per questo motivo, alcuni ricercatori hanno analizzato i dati con metodi statistici più precisi, rilevando che effettivamente un effetto positivo, imputabile alle nuove regole, sembra esserci stato.