Il vecchio vizio dei politici alle europee: candidarsi, vincere e rinunciare al seggio

Dal 1979 decine di candidati sono stati eletti al Parlamento europeo, lasciando poi il posto ad altri. Abbiamo ricostruito quarant’anni di candidature “simboliche”
Ansa
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In 40 anni di elezioni europee decine di politici italiani si sono candidati – e sono stati eletti – al Parlamento europeo sapendo che avrebbero dovuto rinunciare al seggio per incompatibilità con altre cariche. E il conto potrebbe presto aumentare, dato che i partiti stanno già discutendo sulla possibilità di candidare i loro leader come capolista in una o più delle cinque circoscrizioni elettorali in cui è divisa l’Italia alle prossime elezioni europee, previste per giugno.

Nella conferenza stampa di fine anno la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha aperto per prima alla possibilità di candidarsi, specificando che se venisse eletta rinuncerebbe al seggio a causa dell’incompatibilità del suo ruolo con quello di parlamentare europea. Questa incompatibilità però vale anche per gli altri leader politici, che sono tutti membri del Parlamento italiano o svolgono ruoli nel governo Meloni.

Allora che senso ha candidare un politico che poi sarebbe costretto a dimettersi subito dopo l’elezione? In poche parole, questa strategia permetterebbe ai partiti di sfruttare comunque il nome e il carisma del leader alle elezioni per ottenere più voti possibile. Diversi commentatori hanno criticato questa ipotesi, comunque legittima, perché potrebbe confondere gli elettori, convincendoli a votare un candidato puramente “simbolico”. Al di là di questo, abbiamo provato a quantificare quanto è diffusa questa pratica nella politica italiana.

I casi più recenti

Alle ultime elezioni europee, svoltesi in Italia il 26 maggio 2019, sia Meloni sia il leader della Lega Matteo Salvini erano candidati come capolista dei loro partiti in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali in cui è divisa l’Italia in occasione delle elezioni europee, risultando sempre eletti. Salvini, che ricopriva la carica di ministro dell’Interno nel primo governo Conte, prese oltre 2,3 milioni di preferenze, risultando il candidato più votato nella tornata elettorale. Il suo ruolo di ministro era però incompatibile con quello di parlamentare europeo e quindi al suo posto furono eletti i cinque candidati con più preferenze tra quelli non eletti, uno per circoscrizione. Lo stesso discorso vale per Meloni, che nel 2019 era deputata alla Camera.

Cinque anni prima, le elezioni europee si tennero il 26 maggio 2014 e decretarono la vittoria del Partito Democratico, allora guidato da Matteo Renzi, che ricopriva il ruolo di presidente del Consiglio. In quell’occasione due candidati avevano rinunciato al seggio al Parlamento europeo: uno era l’allora ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, eletto nella lista Nuovo Centro Destra-Unione di centro, mentre l’altro era stato l’attore Moni Ovadia, eletto nella lista di sinistra “L’altra Europa con Tsipras”. Già nei mesi precedenti al voto Ovadia aveva dichiarato che in caso di elezione avrebbe rinunciato al seggio, dato che si era candidato solo «per dare una mano al progetto» e «senza ambizioni personali».

Le elezioni europee del 9 giugno 2009 furono vinte invece dal Popolo delle Libertà, il partito nato dall’alleanza tra Forza Italia e Alleanza Nazionale. Il candidato più votato fu l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, capolista in tutte le circoscrizioni, che rinunciò al seggio europeo. All’epoca erano stati eletti al Parlamento europeo anche l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa (PdL) e il ministro per le Riforme e per il federalismo Umberto Bossi (Lega), che come Berlusconi rinunciarono al seggio da deputati europei. L’Unione di centro candidò come capolista nella circoscrizione Italia Insulare, quella formata da Sicilia e Sardegna, il deputato Francesco Saverio Romano, che risultò eletto e rinunciò pure lui al seggio. Tra i partiti di opposizione una strategia simile fu adottata da Italia dei Valori e dal suo leader, l’ex magistrato Antonio Di Pietro. Di Pietro fu candidato ed eletto in tutte le cinque circoscrizioni ma rinunciò al seggio perché era già deputato alla Camera. Nella circoscrizione Italia Insulare l’Italia dei Valori candidò un altro deputato incompatibile con l’elezione al Parlamento europeo, l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Archeologia elettorale

In base alle verifiche di Pagella Politica, la tornata elettorale europea in cui si sono registrati più eletti che hanno rinunciato al seggio al Parlamento europeo risale ormai a vent’anni fa, a giugno 2004. Queste elezioni hanno inoltre la particolarità di essere le prime in cui è stata stabilita ufficialmente l’incompatibilità della carica di parlamentare europeo con «l’ufficio di deputato o senatore» e con «la carica di componente del governo di uno Stato membro», come stabilito da un articolo aggiunto a marzo 2004 alla legge elettorale italiana per il Parlamento europeo. Prima di questa tornata elettorale un politico poteva essere al tempo stesso deputato, senatore o membro del governo, e parlamentare europeo.

Nonostante al governo ci fosse una coalizione di centrodestra presieduta da Silvio Berlusconi, le elezioni europee del 2004 furono vinte dalla lista di centrosinistra “Uniti per l’ulivo”, che superò Forza Italia di oltre dieci punti percentuali. Il singolo candidato più votato fu comunque Berlusconi, ancora una volta capolista del suo partito in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali. Anche in questo caso Berlusconi, che era presidente del Consiglio, rinunciò al seggio nel Parlamento europeo. Lo stesso discorso vale per l’allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, capolista in tutte le circoscrizioni di Alleanza Nazionale. Tra i candidati eletti nelle file di Alleanza Nazionale che hanno rinunciato al seggio ci furono pure alcuni ministri, come quello dell’Ambiente Altero Matteoli, quello delle Politiche agricole e forestali Gianni Alemanno e quello delle Comunicazioni Maurizio Gasparri. Tra i partiti di centro i politici che rinunciarono al seggio furono il deputato Marco Follini e il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro, eletti con l’Unione dei cristiani democratici, e il deputato Clemente Mastella, eletto con l’Udeur. Tra i partiti di opposizione i candidati eletti ma incompatibili con il ruolo di parlamentare europeo furono il senatore Achille Occhetto, eletto con la lista “Di Pietro-Occhetto”, il deputato e segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto e il deputato e presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio.

In totale quindi alle elezioni europee del 2004 i candidati eletti che rinunciarono al seggio perché ricoprivano altre cariche furono 11, ma i posti da loro liberati furono 19, dato che Berlusconi e Fini erano stati eletti in tutte e cinque le circoscrizioni.

Prima dell’incompatibilità

Prima delle elezioni europee del 2004 la legge permetteva a un parlamentare italiano di svolgere contemporaneamente il ruolo di parlamentare europeo. Anche per questo motivo nelle tornate elettorali precedenti, dal 1979 al 1999, i casi di parlamentari eletti che hanno rinunciato al seggio sono pochi, e non era raro che membri di primo piano del Parlamento italiano svolgessero contemporaneamente il ruolo di parlamentare europeo. 

In ogni caso, nel giugno 1994 Berlusconi rinunciò di nuovo al seggio europeo, conquistato in tutte le circoscrizioni come capolista, perché pochi mesi prima era diventato per la prima volta presidente del Consiglio. In quella tornata elettorale rinunciarono pure quattro candidati nella circoscrizione Nord-Occidentale della Lista “Pannella-riformatori”, che mandò al parlamento europeo solo il sesto candidato più votato, Gianfranco Dell’Alba. Come ha spiegato a Pagella Politica Marco Taradash, uno dei candidati che all’epoca era deputato e aveva rinunciato al seggio, questa scelta era stata il frutto di una strategia precisa, che puntava a far eleggere giovani esponenti del partito anche grazie alla spinta generata dai «pochi nomi più noti». «Era un modo per creare nuova classe dirigente competente in un partito piccolo», ha detto Taradash.

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