Quanto è in comune la difesa nell’Unione europea

A oggi molto poco, ma dopo le elezioni europee le cose potrebbero cambiare, sulla spinta della guerra in Ucraina e non solo
ANSA
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L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il conseguente ritorno della guerra ai confini dell’Europa hanno riportato il settore della difesa al centro del dibattito politico europeo. Con la Dichiarazione di Versailles, adottata poche settimane dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022, gli Stati membri dell’Unione europea si sono impegnati tra le altre cose ad assumere «maggiori responsabilità per la propria sicurezza», a partire dal rafforzamento delle capacità difensive. 

In questa prospettiva lo scorso 6 marzo la Commissione europea ha presentato la prima strategia industriale europea in materia di difesa. Gli obiettivi principali riguardano l’acquisto congiunto di armamenti e il supporto all’industria militare europea: entro il 2030 almeno il 40 per cento del materiale di difesa dovrà essere acquistato in modo collaborativo, e almeno il 35 per cento del valore degli scambi dovrà riguardare il commercio tra i 27 Stati membri. A questa strategia si accompagna un programma europeo per l’industria della difesa, ossia un’iniziativa legislativa che si propone di mobilitare 1,5 miliardi di euro per rafforzare il settore. Nonostante questi primi passi, il cammino verso una maggiore integrazione in materia di sicurezza, fino all’eventuale creazione di un esercito comune europeo, rimane difficile soprattutto a causa delle limitate competenze di cui dispone l’Ue in questo settore.

Quanto vale la difesa europea

All’interno del bilancio pluriennale dell’Ue per il periodo 2021-2027, le spese in sicurezza e difesa rappresentano l’1,2 per cento del totale, pari a circa 13 miliardi di euro su 1.076 miliardi di euro complessivi. Questo modesto livello di investimenti è dovuto al fatto che la politica di sicurezza e difesa rimane principalmente a carico degli Stati membri. Se da un lato il Trattato sull’Unione europea afferma che tra le competenze dell’Ue in materia di politica estera e sicurezza comune rientra «la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune», dall’altro questa competenza «non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri». In altre parole, l’Ue promuove la cooperazione tra i 27 Paesi, ma spetta ai governi nazionali prendere le decisioni sulle proprie politiche di difesa e sulla partecipazione alle operazioni militari internazionali. Infatti, l’ultima parola sulle iniziative in materia di politica di sicurezza spetta agli Stati membri dal momento che il Consiglio dell’Unione europea si deve esprimere all’unanimità su questi temi.

Al netto di questo principio, dallo scoppio del conflitto in Ucraina gli Stati Ue hanno aumentato in modo significativo le loro spese militari. Messi insieme, i bilanci annuali per la difesa hanno raggiunto i 240 miliardi di euro nel 2022 (erano 214 miliardi nel 2021) e si prevede che questa cifra continuerà a crescere nei prossimi anni. In media i Paesi Ue spendono per la difesa circa l’1,5 per cento del proprio Prodotto interno lordo (Pil). L’Italia è pienamente in linea con la media europea, con una spesa intorno all’1,5 per cento del Pil, che resta comunque ancora al di sotto della soglia del 2 per cento richiesta dalla Nato. La Grecia registra la percentuale più alta con il 3,9 per cento, mentre l’Irlanda la più bassa con lo 0,2 per cento. 

Solo una parte di queste risorse, però, è destinata a progetti congiunti di difesa. Un report dell’Agenzia europea per la difesa (AED), l’agenzia intergovernativa del Consiglio dell’Ue che si occupa della politica estera e di sicurezza comune, stima che nel 2022 solo il 18 per cento degli investimenti per la difesa degli Stati membri era realizzato in cooperazione.

I progetti europei di difesa

Secondo la stessa AED, la frammentazione delle politiche di difesa e l’assenza di una pianificazione congiunta rendono la spesa europea in sicurezza dei Paesi Ue meno efficiente rispetto a quella di altri Paesi. Per invertire questa tendenza e rafforzare la cooperazione difensiva, negli ultimi anni l’Ue ha avviato diverse iniziative per sviluppare progetti congiunti. Tra queste, nel 2017 è stata istituita la Cooperazione strutturata permanente (Pesco) nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune: in pratica gli Stati membri che vi aderiscono possono pianificare, sviluppare e investire in progetti di difesa condivisi nell’ottica di un’integrazione delle forze armate. La Pesco è attualmente composta da 26 Stati membri su 27 (solo Malta non ne fa parte).

Tra le altre iniziative, il Fondo europeo per la difesa (FED) finanzia la ricerca e lo sviluppo di tecnologie e attrezzature all’avanguardia e interoperabili, integrando gli investimenti degli Stati membri. Per il periodo 2021-2027 il FED ha stanziato 7,9 miliardi di euro da ripartire tra 17 aree d’azione, tra cui la cybersicurezza, le tecnologie spaziali e la robotica. Un altro passo importante verso una maggiore cooperazione in materia di difesa è stato il regolamento Asap (una sigla che sta per Act in Support of Ammunition Production). Adottato a luglio 2023 con una procedura accelerata, questo provvedimento ha finanziato la produzione di missili e munizioni con 500 milioni di euro provenienti dal bilancio comunitario. Secondo i sostenitori di questo atto, in questo modo l’industria militare europea può produrre più armamenti da inviare all’Ucraina o conservare come scorte negli arsenali nazionali.

Verso un esercito comune?

L’Ue non possiede un esercito comune, inteso come forza militare unificata sotto un unico comando. Ma in ogni caso, nell’ambito della difesa, favorisce la cooperazione tra gli eserciti nazionali degli Stati membri, promuovendo l’interazione tra le forze armate e definendo strategie di sicurezza comuni. Tra queste, la Strategic Compass (tradotta in italiano con “Bussola Strategica”) è un piano d’azione approvato dal Consiglio dell’Ue a marzo 2022 per rafforzare la politica di sicurezza e di difesa entro il 2030. Questa “bussola” ha previsto la creazione di una capacità di dispiegamento rapido (Rapid Deployment Capacity, RDC) composta da 5 mila soldati. La RDC, che sarà operativa dal 2025, consentirà di mobilitare forze terrestri, aeree o marittime in base alle esigenze specifiche, per rispondere alle crisi al di fuori dei confini dell’Ue. Per esempio le truppe potranno intervenire per realizzare operazioni di peacekeeping e prevenzione dei conflitti, svolgere missioni umanitarie o evacuare civili. La difesa collettiva, invece, non rientra tra i compiti della RDC. 

Al pari degli altri provvedimenti in materia di politica di sicurezza e di difesa comune, la RDC avrà bisogno del consenso di tutti gli Stati membri per essere attivata. Un consenso così ampio è però difficile da raggiungere e in passato si è rivelato un ostacolo insuperabile per iniziative simili. Per esempio gli Eu Battlegroups, unità militari fino a 1.500 soldati pensate per intervenire negli scenari globali di crisi, non sono mai state dispiegate nonostante siano operative dal 2007. La ragione principale è proprio l’assenza di un accordo all’interno del Consiglio.

Oltre alla RDC, un altro passo verso un esercito comune potrebbe essere rappresentato dalla creazione di un’accademia militare europea. La proposta, ancora da discutere, è stata avanzata da Renew Europe, gruppo politico liberale all’interno del Parlamento europeo. «La creazione di un’accademia militare europea contribuirebbe a spianare la strada a un’Unione europea più sicura e resistente», ha dichiarato la capogruppo Valérie Hayer, auspicando un percorso di formazione comune per i soldati europei. L’annuncio è arrivato il giorno successivo alle dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron, che aveva accennato all’ipotesi di inviare truppe occidentali a sostegno dell’Ucraina. 

In Italia uno dei principali sostenitori della difesa europea comune è il leader di Italia Viva Matteo Renzi, anche lui membro del gruppo di Renew Europe, che un mese fa nella sua newsletter Enews ha scritto che «serve adesso l’esercito europeo, ora o mai più». Una posizione simile è stata espressa dal ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Per Forza Italia la prima vera riforma da fare è quella che preveda una difesa europea. Se vogliamo essere portatori di pace nel mondo, abbiamo bisogno di un esercito europeo», ha dichiarato il segretario di Forza Italia a gennaio in un’intervista con La Stampa. Il sostegno all’idea di creare un esercito comune è arrivato anche dalla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia e dal presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, secondo cui il progetto della difesa comune dovrebbe comunque servire a razionalizzare le spese militari. Dubbi sono invece arrivati da parlamentari europei della Lega.

Un commissario europeo alla difesa

Oltre alla presentazione della nuova strategia industriale, nelle scorse settimane la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato la volontà di nominare un commissario alla difesa se sarà confermata nel suo ruolo dopo le elezioni di giugno. 

I compiti di un eventuale nuovo commissario europeo alla Difesa sono ancora incerti. Attualmente infatti non esiste all’interno della commissione una figura incaricata di occuparsi esclusivamente della difesa comunitaria, e la sua gestione è suddivisa tra due commissari: l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza (incarico ricoperto dallo spagnolo Josep Borrell), e il commissario per il Mercato interno (il francese Thierry Breton). 

I trattati attribuiscono all’Alto rappresentante le principali responsabilità in materia di politica di sicurezza e difesa comune. Per esempio, a lui spetta il compito di presiedere il Consiglio dell’Ue nella formazione “Affari esteri” e di guidare l’Agenzia europea per la difesa. Il commissario per il mercato interno, invece, è a capo della direzione generale della Commissione europea per l’industria della difesa e lo spazio (Defis), che promuove la competitività e l’innovazione nel settore dell’industria militare e spaziale dell’Ue. Come ha ricordato (min. 8:30) di recente lo stesso Borrell, che ha criticato la proposta di von der Leyen, «una cosa è l’industria della difesa e un’altra è la difesa»: mentre alcune competenze del commissario al Mercato interno potrebbero essere assegnate a un commissario specifico, le responsabilità in materia di difesa dell’Alto rappresentante non potrebbero essere redistribuite in quanto stabilite dai trattati.

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