Tra il 16 e il 17 maggio molti politici di diversi schieramenti – dalla Lega al Movimento 5 Stelle, passando per Italia viva – hanno scritto sui social che la pandemia di Covid-19 ha fatto salire il numero di studenti che hanno interrotto gli studi.
Nello specifico, i politici hanno ripreso un articolo del 16 maggio di Repubblica, intitolato: “I dispersi della Dad. Quei 200 mila ragazzi in fuga dalla scuola”. Nel pezzo si legge che nel 2020 si stimano «200 mila studenti usciti dal circuito scolastico dalla primaria alla media superiore» a causa, per esempio, del ricorso alla didattica a distanza (Dad).
Ma quanto è affidabile questa statistica? Abbiamo verificato e questo dato va preso con molta cautela, per una serie di motivi. Vediamoli uno per uno.
Da dove arriva il dato dei «200 mila dispersi»
Il dato dei «200 mila» è ottenuto da Repubblica sommando i risultati di due indagini diverse, che provano entrambe (con una serie di limiti, come vedremo) a quantificare il fenomeno della dispersione scolastica, nelle scuole elementari e medie e in quelle superiori.
Questo termine fa riferimento a un insieme di situazioni, spesso complesse e difficili da catalogare sotto etichette univoche, per le quali gli studenti interrompono definitivamente il percorso di studi (fenomeno noto con il nome di “abbandono scolastico”) oppure smettono di presentarsi in classe, pur essendo ancora iscritti, o vengono bocciati e devono quindi ripetere l’anno.
Fatta questa precisazione, analizziamo nel dettaglio le due fonti dei dati.
Le scuole elementari e medie
Per quanto riguarda i ragazzi di elementari e medie, le informazioni arrivano da un’inchiesta condotta a gennaio 2021 dalla Comunità di Sant’Egidio – un’associazione cristiana nata a Roma ma ormai presente in 70 Paesi – e intitolata “Inchiesta sulla dispersione scolastica”.
L’indagine ha analizzato un campione di 2.800 minori sparsi in 23 città italiane (tra cui anche quelle più popolose come Milano, Roma e Napoli) che nel periodo settembre-dicembre 2020 frequentavano una tra le 79 “Scuole della Pace”. Queste strutture non sono vere e proprie scuole dipendenti dal Ministero dell’Istruzione, ma sono centri di sostegno scolastico gestiti da Sant’Egidio, in cui gli adolescenti possono andare nel pomeriggio per studiare o fare i compiti.
Nel periodo di tempo analizzato, 62 studenti delle elementari su 2.800 hanno smesso di frequentare la scuola, oppure risultavano iscritti senza però aver mai frequentato. Il numero scende a 41 per gli alunni delle medie. Il totale complessivo di 103 studenti corrisponde quindi al 4 per cento del totale dei 2.800 bambini e ragazzi considerati.
Repubblica ha poi tradotto questo dato su scala nazionale. Secondo i dati rilasciati dal Miur, nell’anno 2020-2021 il totale degli iscritti alle scuole elementari e medie era di circa 4 milioni. Il 4 per cento di questa cifra corrisponde a circa 160 mila alunni che, almeno a livello teorico e seguendo i calcoli che abbiamo appena illustrato, avrebbero smesso di presentarsi a scuola all’inizio dell’anno scolastico in corso.
Si intuisce però che il campione utilizzato nell’inchiesta della Comunità di Sant’Egidio è poco rappresentativo della realtà del sistema scolastico nazionale, che con tutta probabilità è molto più eterogeneo rispetto al gruppo di utenti delle “Scuole della Pace” gestite dall’associazione.
Queste infatti – lo leggiamo sul sito della Comunità stessa – si rivolgono spesso «a minori in difficoltà che vivono nelle grandi periferie urbane», a «ragazzi molte volte “attratti” dalla violenza e dalle aggregazioni devianti, con problemi familiari, di deprivazione affettiva ed economica, di figli di immigrati con difficoltà di integrazione». In questi contesti, per motivi diversi e spesso al di fuori del controllo dei bambini stessi, il tasso di abbandono o dispersione scolastica è superiore rispetto alla media nazionale.
Le scuole superiori
Da dove arrivano i restanti 40 mila studenti che sommati ai 160 mila appena visti permettono di raggiungere la cifra complessiva di «200 mila» studenti in “fuga” dalla scuola?
In questo caso i dati di partenza sono stati forniti da uno studio dall’Ong Save the Children, impegnata nella tutela dei minori, pubblicato a gennaio 2021. Questo è a sua volta basato sull’indagine “I giovani ai tempi del coronavirus” condotta da Ipsos, una società francese specializzata in ricerche di mercato.
L’indagine è basata su un campione di mille ragazzi tra i 14 e i 18 anni che frequentano le scuole secondarie di secondo grado, come i licei. Save the Children afferma che il campione è «rappresentativo dell’universo di riferimento per genere, area geografica ed età degli intervistati». Secondo questo studio, il 28 per cento degli intervistati ha detto che almeno un loro compagno di classe ha smesso di frequentare le lezioni tra marzo 2020 e gennaio 2021.
Il calcolo per arrivare ai 40 mila studenti che avrebbero interrotto gli studi in tutta Italia è stato ripercorso su Twitter da Lorenzo Ruffino, studente di Economia all’Università di Torino e collaboratore di Pagella Politica. Riassumendo: secondo il Ministero dell’Istruzione gli studenti italiani di scuola superiore nell’anno scolastico 2020/2021 sono circa 2,6 milioni, il cui 28 per cento corrisponde a 738 mila ragazzi. Questi sono divisi in 122.504 classi, con una media quindi di 21,5 alunni per classe. Da qui, dividendo i 738 mila ragazzi in classi di 21,5 alunni otteniamo 34.317 classi in cui almeno un alunno ha smesso di frequentare le lezioni.
Se sommiamo questi 34 mila studenti ai 160 mila alunni che avrebbero smesso di frequentare le lezioni alle medie e alle elementari – secondo un calcolo, lo ricordiamo, poco rappresentativo – arriviamo a un totale di 194 mila bambini e ragazzi: un numero vicino ai «200 mila» di cui si è tanto parlato ultimamente.
Anche nel caso dello studio di Ipsos, però, il campione è piuttosto ridotto (mille persone su un totale di più di due milioni e mezzo) e i calcoli per arrivare alla statistica dei «40 mila» non sono particolarmente accurati: il numero di classi è dedotto come media matematica, e il dato del 28 per cento aggrega il numero di intervistati nelle cui classi uno, due o anche tre compagni non si sono più presentati alle lezioni.
Inoltre, il lasso di tempo considerato dalla Comunità di Sant’Egidio (settembre-dicembre 2020) e da Ipsos/Save the Children (marzo 2020-gennaio 2021) è significativamente differente.
Sebbene la notizia secondo cui «200 mila» ragazzi avrebbero dovuto interrompere la propria istruzione a causa della pandemia in corso non sia inventata, i dati e i calcoli effettuati per raggiungere la cifra finale arrivano da studi diversi, basati su campioni e metodologie differenti e non necessariamente applicabili su scala nazionale.
Che cosa dicono i dati più aggiornati
Guardando ai dati ufficiali, si scopre che nel nostro Paese il tasso di abbandono scolastico – ricordiamo, chi ha abbandonato definitivamente la scuola – è diminuito nel 2020 rispetto all’anno precedente.
I dati sono forniti da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea. Questi misurano la percentuale di early leavers, cioè i giovani tra i 18 e i 24 anni (quindi una fascia d’età più vecchia rispetto a quella considerata dagli studi di Ipsos e della Comunità di Sant’Egidio) che hanno conseguito al massimo la licenza media e non frequentavano alcuna scuola o corso formativo nelle quattro settimane precedenti il sondaggio.
In base ai questi parametri, nel 2020 il tasso di abbandono degli studenti italiani è sceso rispetto a quello del 2019, passando dal 13,5 per cento al 13,1 per cento. Questo quindi smentisce l’idea generale secondo cui durante la pandemia di Covid-19 un maggior numero di ragazzi e ragazze hanno lasciato la scuola.
Anche il trend complessivo degli ultimi 10 anni è positivo: nel 2009 l’abbandono nel nostro Paese era pari al 19,1 per cento, e il dato è poi diminuito progressivamente – tranne che per un lieve aumento tra il 2016 e il 2018 – fino ad arrivare ai livelli attuali.
Allargando lo sguardo vediamo però che, nonostante l’Italia si stia muovendo nella giusta direzione, i nostri dati non sono comunque in pari con quelli degli altri Paesi europei. Nel 2020 eravamo infatti i quartultimi della classifica dopo Romania, Spagna e Malta. Il Paese con il tasso minore era la Croazia (2,2 per cento, anche se il dato è ancora provvisorio), seguita da Grecia (3,8 per cento) e Slovenia (4,1 per cento). Il migliore tra i principali Paesi europei era la Francia, che con un tasso dell’8 per cento si posiziona al tredicesimo posto. La media tra i 27 Paesi era del 10,1 per cento.
In conclusione
Negli ultimi giorni molti politici sono tornati a parlare dell’abbandono e della dispersione scolastica, problemi purtroppo non nuovi ma ora accentuati dalla pandemia di nuovo coronavirus che ha costretto molti ragazzi a seguire le lezioni virtualmente.
La discussione è partita da un articolo di Repubblica, secondo cui dall’inizio dell’emergenza sanitaria «200 mila» studenti tra scuole elementari, medie e superiori avrebbero interrotto gli studi o smesso di frequentare le lezioni lo scorso anno. Abbiamo verificato e i dati utilizzati per supportare questa affermazione non sono particolarmente solidi e vanno presi con molta cautela.
Gli “abbandoni” degli alunni delle primarie e delle medie sono stati calcolati a partire da un’inchiesta condotta dalla Comunità di Sant’Egidio su un campione di bambini e ragazzi che frequentano corsi pomeridiani di centri non del tutto assimilabili alle scuole.
I dati relativi invece agli studenti delle scuole superiori sono stati dedotti da un’indagine Ipsos basata su mille ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni, di cui il 28 per cento ha affermato che almeno un compagno di classe ha smesso di presentarsi all’appello nel corso della pandemia. I calcoli fatti per applicare queste indagini su scala nazionale, seppur corretti, non necessariamente restituiscono un quadro affidabile della situazione nel nostro Paese.
Quel che sappiamo per certo è che, secondo dati Eurostat, nel 2020 in Italia il tasso di abbandono scolastico – calcolato sui i ragazzi con un’età tra i 18 e i 24 anni e un titolo di studio non superiore alla licenza media – è stato del 13,1 per cento: un dato migliore rispetto al 13,5 per cento del 2019, ma comunque al di sopra della media europea del 10,2 per cento.
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