La povertà non aumenta, ma è una cattiva notizia

Da tre anni la quota di persone povere in Italia è la stessa e non cala, a dimostrazione che il problema resta strutturale 
AFP
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In Italia i poveri non aumentano, ma nemmeno diminuiscono. È questa, paradossalmente, la cattiva notizia che emerge dai nuovi dati dell’ISTAT sulla povertà assoluta nel 2024. Lo scorso anno, nel nostro Paese vivevano in questa condizione 5,7 milioni di persone, pari a 2,2 milioni di famiglie. 

Dopo anni segnati dalla pandemia e dall’inflazione, la quota di italiani che non riesce a sostenere una spesa mensile considerata minima per vivere dignitosamente è rimasta ferma al 9,8 per cento, di fatto identica al 2023. Una stabilità che racconta di un problema ormai radicato e resistente a ogni miglioramento congiunturale dell’economia.

La povertà non arretra

I dati mostrano che in dieci anni c’è stato un peggioramento: nel 2014 il 6,9 per cento dei cittadini in Italia viveva in povertà assoluta, cioè circa 4,1 milioni di persone. Nel 2019 c’è stato un calo, e poi la povertà è tornata ad aumentare, stabilizzandosi negli ultimi due anni. 
Ricordiamo che la soglia di spesa mensile per essere considerati in povertà assoluta varia a seconda dell’area geografica e della composizione del nucleo familiare: una coppia di genitori under 30 con un figlio di meno di tre anni, per esempio, è considerata povera se vive con meno di 1.765 euro al mese in un’area metropolitana della Lombardia, mentre la soglia scende a 1.259 euro in un piccolo comune della Sicilia.

La povertà assoluta non va poi confusa con quella relativa, che misura invece la condizione di chi spende per i consumi meno della media della popolazione. La povertà relativa è quindi un indicatore del divario rispetto al tenore di vita medio della società in cui si vive, non un valore assoluto.

I divari ancora aperti

Dietro la media nazionale si nascondono forti differenze territoriali. Nel Nord-Ovest c’è stato un leggero peggioramento tra il 2023 e il 2024, con il tasso passato dal 9,1 al 9,2 per cento. Il Nord-Est ha invece registrato un miglioramento, dall’8,6 all’8,1 per cento, così come il Centro, dove la povertà è scesa dal 7,9 al 7,6 per cento. Nel Mezzogiorno, invece, la situazione è peggiorata: il tasso è salito dal 12 al 12,5 per cento, con una crescita più marcata nelle isole. 
La povertà, inoltre, tende a riprodursi nel tempo. Secondo uno studio dell’Università di Oxford, in Italia chi cresce in una famiglia povera ha una probabilità più alta di 15 punti percentuali di essere povero anche da adulto rispetto a chi nasce in famiglie non povere.

Le differenze si ampliano se si considera la presenza di minori o anziani nel nucleo. Tra le famiglie con almeno un figlio minorenne, il tasso di povertà è dell’11,8 per cento, mentre scende al 6,7 per cento tra quelle con almeno un anziano. Forti sono anche le disparità legate alla cittadinanza: la povertà riguarda il 6,2 per cento delle famiglie composte solo da italiani, ma il 35,2 per cento di quelle di soli stranieri e il 18,8 per cento di quelle miste. Nel Mezzogiorno, le famiglie di soli stranieri in povertà sono addirittura il 42,5 per cento, venti punti in più rispetto al Centro.
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