Negli ultimi mesi si è affermato il tema della varianti del coronavirus, che stanno destando parecchia preoccupazione anche nel nostro Paese. L’ultima indagine condotta dall’Istituto superiore di sanità (Iss) con le regioni e le province autonome
ha scoperto che la cosiddetta “variante inglese” rappresenta in Italia il 54 per cento dei casi di metà febbraio, quella brasiliana il 4,3 per cento e quella sudafricana allo 0,4 per cento. Nell’indagine precedente la variante inglese
era diffusa solo nel 18 per cento dei casi.
La diffusione della variante inglese è particolarmente importante ai fini del calcolo dell’immunità di gregge, perché essendo maggiormente infettiva alza l’indice di riproduzione e di conseguenza la soglia dell’immunità di gregge.
Come
abbiamo spiegato di recente, ci sono diverse stime sulla maggiore trasmissibilità della variante inglese. Una recente ricerca, non ancora sottoposta al controllo della comunità scientifica,
ha stimato che la variante sia tra il 43 e l’82 per cento più trasmissibile delle varianti di coronavirus preesistenti. La Fondazione Bruno Kessler (Fbk), un ente di ricerca di interesse pubblico che collabora con l’Iss,
ha stimato sulla base delle due indagini che la variante inglese ha una maggiore trasmissibilità del 37 per cento, seppur con una grande incertezza statistica.
Se si ipotizza una maggiore trasmissibilità del 40 per cento e un indice R0 del coronavirus iniziale di 3, si ha che l’R0 della variante inglese è pari a poco più di 4, e dunque l’immunità di gregge salirebbe a un livello tra il 70 e l’80 per cento.
Quando raggiungeremo l’immunità di gregge
Oltre che dalla contagiosità di una malattia, il raggiungimento dell’immunità di gregge dipende da quante persone si possono effettivamente vaccinare e dalla disponibilità di vaccini.
Secondo i dati più recenti del Ministero della Salute, l’Italia
dovrebbe ricevere circa 16 milioni di vaccini tra gennaio e marzo (al momento ne sono stati consegnati 7 milioni), 45 milioni tra aprile e giugno e 78 milioni tra luglio e settembre e 32,7 milioni tra ottobre e dicembre. Dai dati del Ministero abbiamo escluso il vaccino CureVac perché al momento è ancora tra la fase 2 e la fase 3 e quindi la sua disponibilità non è sicura.
Va inoltre considerato che i vaccini finora disponibili non sono autorizzati per chi ha meno di 16 anni (Moderna) o 18 anni (Pfizer e AstraZeneca). Sotto i 16 anni in Italia
ci sono 8,3 milioni di ragazzi che quindi per ora non potranno essere vaccinati. Pfizer e Moderna
stanno già svolgendo delle sperimentazioni fino ai 12 anni e anche altre società farmaceutiche puntano a farlo nei prossimi mesi.
Non tutta la popolazione potrebbe inoltre essere disponibile e farsi vaccinare. Un sondaggio condotto da Quorum a dicembre
ha rilevato che il 63 per cento degli intervistati si è detto disponibile a fare il vaccino, il 19 per cento dovrebbe pensarci e il 16 per cento non intende farlo.
Ipotizzando un tasso di adesione pari all’80 per cento tra chi può fare il vaccino, bisognerebbe somministrare dosi a più di 40 milioni di persone. La disponibilità di vaccini ci permetterebbe di raggiungere questo obiettivo non prima di metà del terzo trimestre, cioè intorno ad agosto.
Con un tasso di adesione all’80 per cento e una parte di popolazione che non può essere vaccinata, non si raggiungerebbe però l’immunità di gregge, in quanto si arriverebbe a circa il 67 per cento di italiani vaccinati. Con un’adesione del 90 per cento, ci si avvicinerebbe invece parecchio, arrivando a circa il 77 per cento. Per vaccinare 46 milioni di persone si dovrebbe aspettare circa settembre.
In generale è evidente come sia difficile raggiungere l’immunità di gregge se non si può vaccinare quasi tutta la popolazione. Anche senza contare gli under 16, prima di settembre non ci sarebbero sufficienti vaccini per farlo.
Va inoltre considerato che l’idea dell’immunità di gregge si basa sull’assunzione che i vaccini proteggano non solo dalle conseguenze della malattia, ma anche dall’infezione. Le sperimentazioni che ad oggi hanno portato alle autorizzazioni dei vaccini contro la Covid-19 non si sono concentrate particolarmente su questo aspetto. Come
abbiamo spiegato di recente, esistono comunque alcune evidenze incoraggianti. Per esempio, per il vaccino Pfizer c’è uno studio condotto in Israele che ha dimostrato un’efficacia contro la trasmissione del virus del 90 per cento.