Israele, Regno Unito e Italia: dati alla mano, i vaccini stanno funzionando

Ansa
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Al 1° marzo in Italia è stato completamente vaccinato il 2,35 per cento della popolazione, mentre il 2,52 per cento ha ricevuto solo la prima dose. In totale sono state somministrate 4,3 milioni di dosi, utilizzando il 75 per cento delle dosi ricevute.

A due mesi dal suo inizio, è già possibile vedere alcuni effetti della campagna vaccinale nel nostro Paese? È ancora presto, ma come spiegheremo tra poco sembrano esserci alcuni indizi incoraggianti. Abbiamo invece dati più solidi per quanto riguarda Israele e Regno Unito, due degli Stati che hanno vaccinato di più fino ad oggi, e notizie positive arrivano anche da Stati Uniti e Spagna.

Vediamo i numeri nel dettaglio.

Italia: primi segnali dagli operatori sanitari

In questo momento il nostro Paese si sta concentrando sulle vaccinazioni della popolazione con più di 80 anni di età, del personale scolastico e delle forze dell’ordine. Circa un quarto degli over 90 e circa un sesto tra chi ha 80-89 anni ha ricevuto almeno la prima dose.

Nelle scorse settimane la priorità nelle vaccinazioni è stata data agli operatori sanitari e socio-sanitari per proteggere chi lavora negli ospedali e per evitare focolai nei luoghi più a rischio. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha rilasciato questa settimana un grafico in cui confronta l’andamento settimanale dei contagi tra gli operatori sanitari e quello nella popolazione generale.

Fatto 100 il picco dei casi raggiunto a inizio novembre per entrambe le curve, si vede che a partire da metà gennaio la curva degli operatori continua a scendere, rispetto a quella della popolazione generale. Nella settimana del 15 febbraio, i casi tra gli operatori sanitari erano il 9 per cento del picco di novembre, mentre quelli totali il 35 per cento. È ancora presto per dirlo con buona certezza, ma è molto probabile che questa differenza tra le due curve sia dovuta alle vaccinazioni (Grafico 1).
Grafico 1. Confronto tra l’andamento dei casi settimanali tra gli operatori sanitari e i non sanitari – Fonte: Iss
Grafico 1. Confronto tra l’andamento dei casi settimanali tra gli operatori sanitari e i non sanitari – Fonte: Iss
Va comunque tenuto presente che sono analizzati i dati per data di prelievo, e non di notifica del caso, ed è quindi possibile che in futuro entrambe le curve siano riviste al rialzo a causa di persone a cui è già stato fatto il tampone, ma la cui positività non è ancora stata comunicata all’Iss. Inoltre, non sappiamo quali siano i tassi di positività sui tamponi – ossia la percentuale di positivi sul totale dei test fatti – e se le politiche di screening sugli operatori sanitari siano cambiate.

Israele: meno casi e meno trasmissione

Veniamo adesso a Israele, il Paese che ad oggi ha vaccinato il maggior numero di persone: il 54 per cento della popolazione ha infatti ricevuto almeno una dose del vaccino Pfizer-BioNTech. Il governo israeliano ha deciso di dare la priorità agli over 60, la parte della popolazione più a rischio per gli effetti della Covid-19, e poi al resto della popolazione. Ricordiamo che il Paese guidato da Benjamin Netanyahu ha allentato a inizio febbraio il lockdown nazionale introdotto un mese prima.

Di recente sono uscite alcune ricerche per quantificare quale sia stata finora l’efficacia della campagna vaccinale in Israele, raccolte su Twitter anche da Eran Segal, biologo computazionale dell’Istituto Weizmann di Tel Aviv. In Israele, tra gli over 60, i casi che necessitano di ospedalizzazione sono calati del 68 per cento rispetto al picco di metà gennaio, mentre nelle altre fasce di età non si è osservato un simile calo. Anche il numero di nuovi casi positivi, così come quello dei test risultati positivi, è diminuito maggiormente tra gli over 60 (Grafico 2).
Grafico 2. Alcune evidenze degli effetti sui vaccini tra gli over 60 in Israele Fonte: Eran Segal
Grafico 2. Alcune evidenze degli effetti sui vaccini tra gli over 60 in Israele Fonte: Eran Segal
I dati israeliani fanno anche ipotizzare che il vaccino di Pfizer-BioNTech permetta di ridurre non solo lo sviluppo dei sintomi, ma anche le infezioni da Sars-Cov-2. Non è una cosa da poco: bloccare la trasmissione è infatti fondamentale per poter arrivare alla cosiddetta “immunità di gregge”.

Uno studio condotto su quasi 600 mila persone, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha mostrato una riduzione del 90 per cento delle infezioni da coronavirus sette giorni dopo la seconda dose. Lo studio è stato costruito in modo da evitare che le diverse strategie di testing influenzino troppo l’analisi dei dati. I ricercatori hanno anche accertato un’efficacia del 94 per cento per le infezioni sintomatiche, dell’87 per cento per le ospedalizzazioni e del 92 per cento per le malattie gravi (Grafico 3). L’efficacia tra 14 e 20 giorni dopo la prima dose contro i decessi è pari al 72 per cento (ma c’è ampia incertezza a causa della minore quantità di dati).
Grafico 3. Risultati dello studio pubblicato su Nejm – Fonte: Nejm
Grafico 3. Risultati dello studio pubblicato su Nejm – Fonte: Nejm
Uno studio sugli operatori delle case di riposo, che vengono testati regolarmente, ha mostrato come dopo pochi giorni dalla seconda dose del vaccino vi sia un importante calo dei casi tra chi è stato vaccinato e chi no. Dopo 14 giorni dalla seconda dose solo lo 0,4 per cento degli operatori vaccinati risultava positivo, contro il l’1,7 per cento di chi non era stato vaccinato.

Regno Unito: meno casi, ospedalizzazioni e decessi negli over 80

Anche dal Regno Unito arrivano segnali incoraggianti dalla campagna vaccinale, sebbene vada ricordato che il Paese stia iniziando solo ora ad allentare gradualmente il lockdown imposto a dicembre.

Un’analisi del Financial Times sui dati britannici mostra come a fine febbraio si sia iniziato a vedere l’effetto dei vaccini negli over 80. Va tenuto presente che, a differenza di Israele, nel Regno Unito stanno somministrando principalmente il vaccino sviluppato da AstraZeneca-Università di Oxford, che ha il richiamo dopo tre mesi.

Guardando agli ingressi in ospedale, si vede come la curva degli over 85 scenda più velocemente di quella di chi ha tra i 18 e i 64 anni. Un effetto simile ma più marcato si vede anche nei decessi tra chi ha più di 80 anni e chi ne ha tra 0 e 69. Sui casi la differenza è sensibilmente più ridotta (Grafico 4).
Grafico 4. Gli effetti della campagna vaccinale in Gran Bretagna – Fonte: Financial Times
Grafico 4. Gli effetti della campagna vaccinale in Gran Bretagna – Fonte: Financial Times
Uno studio effettuato in Scozia dalle Università di Edimburgo e di Strathclyde ha evidenziato che dopo quattro settimane dalla prima dose del vaccino il rischio di ospedalizzazione si è ridotto del 94 per cento tra chi è stato vaccinato con il vaccino di AstraZeneca-Università di Oxford e dell’85 per cento tra chi ha invece ricevuto il vaccino di Pfizer-BioNTech.

La protezione aumenta progressivamente con il passar dei giorni da quando è stata somministrata la prima dose e riguarda tutte le categorie di età, nonostante ci sia un ampio margine di errore tra i 65-79 anni.

Un altro studio della Public Health England (Phe) – un ente inglese che fa parte del Dipartimento della Salute britannico – mostra che il vaccino Pfizer-BioNTech ha ridotto il rischio di infezione di oltre il 70 per cento tre settimane dopo la prima dose e dell’85 per cento dopo la seconda dose. I dati a loro disposizione non sono sufficienti a valutare il vaccino di AstraZeneca-Università di Oxford, ma la ricercatrice del Phe Mary Ramsay ha dichiarato che sono promettenti.

Spagna e Stati Uniti: meno decessi nelle case di riposo

Anche in Spagna ci sono dati incoraggianti. Un’analisi di El Paismostra come nelle case di riposo delle Asturie, da dove sono partite le vaccinazioni, ci sia stato un importante calo dei decessi che non si è invece osservato nella popolazione generale.

Gli Stati Uniti sono invece partiti dagli operatori sanitari e da chi vive nelle case di riposo. Un’analisi del New York Timesmostra che con l’inizio delle vaccinazioni i casi sono calati sensibilmente di più nelle case di riposo rispetto al resto della popolazione.

L’effetto è però ancora più forte se si guarda al numero di decessi. Ponendo a 100 i decessi a dicembre, quando sono iniziate le vaccinazioni, si vede che quelli all’interno delle case di riposo sono calati del 65 per cento, mentre quelli nella popolazione generale sono addirittura cresciuti (Grafico 5).
Grafico 5. Gli effetti dei vaccini sui decessi negli Stati Uniti – Fonte: New York Times
Grafico 5. Gli effetti dei vaccini sui decessi negli Stati Uniti – Fonte: New York Times

In conclusione

Da Israele al Regno Unito, passando per Paesi come Stati Uniti e Spagna, i dati raccolti sugli effetti della campagna vaccinale contro la Covid-19 – seppur preliminari e con alcuni limiti – vanno tutti nella stessa direzione e dicono che i vaccini riducono la gravità della malattia e molto probabilmente anche la trasmissione del virus.

Per quanto riguarda l’Italia, alcuni numeri sembrano mostrare effetti promettenti sulla popolazione degli operatori sanitari – i primi a essere stati vaccinati – ma vedremo come si evolveranno i dati nelle prossime settimane.

Con la campagna vaccinale che non va particolarmente veloce nel nostro Paese, potrebbe volerci del tempo prima di vedere qualche effetto sulla popolazione anziana, oltre a quelli sugli operatori sanitari.

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