Giuseppe Conte sfiderà Giuseppe Conte per la guida del Movimento 5 Stelle

È l’unico candidato ammesso alla votazione online degli iscritti e diversi tra gli esclusi parlano di un’elezione farsa
ANSA
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«Questa consultazione è una farsa, sono piuttosto deluso. Non è stata una sfida alla pari. Come potevamo pensare di prevalere su un candidato come Giuseppe Conte, senza nemmeno un confronto pubblico e la possibilità di farci conoscere?». Thomas Alì, 26 anni, è uno dei settanta iscritti che hanno deciso di candidarsi alla presidenza del Movimento 5 Stelle, sfidando il presidente uscente. Da giovedì 23 a domenica 26 ottobre, dalle 10 alle 18, gli iscritti potranno votare online sulla piattaforma Skyvote per rinnovare la presidenza del movimento. Ma di fatto potranno esprimersi su un solo nome: quello dello stesso Conte.

L’ex presidente del Consiglio è infatti l’unico candidato che è riuscito a ottenere almeno 500 sottoscrizioni, come previsto dal regolamento interno, e che quindi potrà accedere alla fase di voto. Tutti gli altri candidati – per lo più attivisti locali o persone comuni senza ruoli di rilievo nel Movimento – sono stati esclusi per non aver raggiunto il numero minimo di firme. «Non è stato un procedimento equo, non abbiamo avuto la possibilità di avere un confronto, di farci conoscere dagli iscritti», ha detto a Pagella Politica Alì, che lavora al Comune di Peschiera Borromeo, in provincia di Milano. Molti altri candidati esclusi hanno espresso giudizi simili. 

Conte, eletto presidente del partito per la prima volta nell’agosto 2021, conclude in questi giorni il suo primo mandato quadriennale. Lo scorso 3 settembre il Movimento ha aperto le autocandidature per il suo rinnovo, chiuse il 10 settembre.

Un percorso contestato

All’inizio le candidature erano 77, ma solo 21 sono state dichiarate ammissibili dal Comitato di Garanzia, l’organo interno che controlla il rispetto dei requisiti. L’elezione del presidente si è quindi articolata in due fasi: prima la presentazione delle candidature e la raccolta delle firme di sostegno, poi la votazione degli iscritti.

Per candidarsi bisognava essere iscritti al Movimento 5 Stelle da almeno sei mesi, avere più di 18 anni, non aver militato in altri partiti negli ultimi dieci e non appartenere a logge massoniche. Erano inoltre escluse le persone condannate per reati dolosi, anche solo in primo grado, o con procedimenti penali pendenti «da far ritenere la condotta lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del Movimento».

Cinquantasei aspiranti candidati non hanno superato questi requisiti. Ai restanti 21, compreso Conte, è stato chiesto di raccogliere almeno 500 firme digitali entro cinque giorni, dal 17 al 22 settembre. Alla scadenza, solo Conte aveva raggiunto l’obiettivo e quindi è stato ammesso al voto. Il regolamento prevede che venga eletto presidente il candidato con la maggioranza dei voti, senza alcuna soglia minima di partecipazione. È dunque scontato che Conte sarà confermato per altri quattro anni, per un secondo e ultimo mandato, dato che lo statuto gli consente di ricoprire al massimo due mandati consecutivi.

Il percorso che ha portato alla votazione è stato fortemente criticato da diversi candidati. «C’è un problema di democrazia interna», ha detto a Pagella Politica Vincenzo Evangelista, iscritto dal 2018, tra i candidati esclusi. «Sulla carta siamo partiti tutti con le stesse regole, ma è evidente che Conte aveva un vantaggio grandissimo rispetto a noi, e cioè la sua popolarità, essendo un politico di professione e conosciuto». Evangelista, nato a New York e residente in provincia di Avellino, è responsabile tecnico di un’azienda termoidraulica.

Il Movimento non ha organizzato alcun confronto pubblico tra i candidati, anche se il regolamento lo consentiva nella cosiddetta “fase elettorale”, cioè tra coloro che avessero raccolto il numero minimo di firme. Poiché l’unico a farlo è stato Conte, i dibattiti non si sono tenuti. «Io mi sono candidata perché mi è stato proposto da altri iscritti, ma sapevo che ci sarebbero state poche possibilità di essere eletta», ha spiegato a Pagella Politica Maria Rosaria Calascibetta, originaria di Carbonia, in Sardegna. Calascibetta, titolare di un centro di consulenza fiscale e societaria, ha però espresso sostegno a Conte: «Io ho stima del presidente, l’ho sostenuto come capo del governo e lo sostengo ancora come guida del Movimento».

Il caso Appendino

Le critiche non sono arrivate solo dalla base. Il 18 ottobre l’ex sindaca di Torino e deputata Chiara Appendino si è dimessa dal ruolo di vicepresidente del Movimento, prendendo le distanze dalla linea politica seguita da Conte, in particolare sulle alleanze. «Voglio dare un segnale politico: dobbiamo aprire una discussione vera e invertire la rotta», ha scritto sui social, definendo la sua una «scelta sofferta» dopo risultati elettorali che considera deludenti. A suo giudizio, «il problema è nella nostra identità, nella direzione politica», sempre più lontana dalle persone e troppo concentrata sugli «accordi di palazzo».

Alcuni candidati alla presidenza condividono le sue preoccupazioni. «Le problematiche sollevate da Appendino le condivido, anche se parzialmente. Però se avesse voluto risolvere i problemi del Movimento avrebbe potuto candidarsi anche lei», ha detto a Pagella Politica Tommaso Romagnoli, consigliere comunale a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze. Diversa la lettura di Giorgio Fede, deputato e coordinatore del Movimento nelle Marche: «Appendino ha sollevato osservazioni giuste e apprezzabili, ma non era un modo per delegittimare Conte, quanto per richiamare alla necessità di un dibattito interno». Fede ha poi difeso il percorso elettorale: «Siamo uno dei pochi partiti che apre la votazione a tutti i suoi iscritti. Se nessun parlamentare o figura di spicco si è fatta avanti per contendere Conte, è la conferma dell’ampia condivisione della sua guida e linea politica. Altrimenti ci sarebbe stato qualcuno che si sarebbe candidato».

Una questione identitaria

Tra i parlamentari, molti considerano la rielezione di Conte poco più che una formalità. «Lo considero un passaggio abbastanza scontato, quasi procedurale», ha commentato un deputato che ha preferito restare anonimo. 

Secondo il deputato Andrea Quartini, la vera sfida per il futuro sarà distinguersi dagli altri partiti del cosiddetto “campo largo”, cioè l’alleanza con Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra. «Appendino ha fatto delle osservazioni condivisibili, il tema di non farsi fagocitare negli altri partiti c’è. Non dobbiamo diventare subalterni al PD soprattutto, ma dobbiamo essere capaci di spingere sui nostri temi e differenziarci dagli altri», ha spiegato Quartini. 

Dello stesso parere è la deputata Enrica Alifano, che considera Conte la guida più credibile per il partito: «Dobbiamo essere capaci di distinguerci dal PD e da Alleanza Verdi-Sinistra, con cui su alcuni temi come la pace, il disarmo e la lotta alle disuguaglianze spesso ci incrociamo».

Oltre alla questione identitaria, Evangelista insiste sulla mancanza di democrazia interna: «Non ha alcun senso far votare gli iscritti su un unico candidato, e questo lo contestai anche quattro anni fa quando avvenne più o meno la stessa cosa». Nel 2021, infatti, Conte era stato eletto con il 93 per cento dei voti favorevoli, contro il 7 per cento di contrari, in un referendum interno senza altri candidati.

Più che il risultato, questa volta sarà interessante osservare il livello di partecipazione. Negli ultimi anni, infatti, il numero di iscritti che prende parte alle consultazioni online è diminuito, salvo poche eccezioni. L’ultima votazione nazionale, lo scorso 29 agosto, riguardava la destinazione di circa un milione di euro delle restituzioni dei parlamentari e dei consiglieri regionali del Movimento a favore della popolazione palestinese di Gaza: avevano votato circa 26 mila iscritti su poco più di 100 mila, poco più di un quarto del totale. A giugno, invece, in occasione della modifica dello statuto e del codice etico, avevano partecipato circa 50 mila iscritti su 99 mila, poco più della metà.

Per la rielezione di Conte non è prevista una soglia minima, ma il numero dei votanti sarà comunque un indicatore significativo del grado di partecipazione interna. Quattro anni fa avevano votato circa 67 mila iscritti su 115 mila, pari al 58 per cento. Confrontare i dati di quest’anno permetterà di capire se la base del Movimento 5 Stelle continua a sentirsi partecipe o se, come sostengono alcuni dei suoi stessi membri, la “democrazia diretta” del partito è ormai solo un rituale.

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