L’8 novembre, ospite a Cartabianca su Rai 3, il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha difeso la posizione del suo partito contrario, ormai da mesi, all’invio di armi dall’Italia all’Ucraina. In uno scambio con il giornalista Paolo Mieli, Conte ha dichiarato (min. 27:35): «Noi non abbiamo mai votato l’invio delle armi» all’Ucraina. «Ogni invio delle armi, per come il governo Draghi ha concepito il decreto madre, non prevede nessun voto, ma soltanto un’informativa, secretata, al Copasir», ha aggiunto Conte. «Se ci consentissero di votare, voteremmo “no” all’invio delle armi».
Questa ricostruzione è parziale e omette il ruolo del Movimento 5 stelle nei provvedimenti per fornire armamenti all’esercito ucraino.
Il «decreto madre» a cui ha fatto riferimento Conte è il decreto “Ucraina”, approvato dal governo Draghi a fine febbraio 2022 e convertito in legge dal Parlamento ad aprile. All’epoca, il governo Draghi era sostenuto dal Movimento 5 stelle e il decreto, come riferiscono fonti stampa, era stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, dove sedevano anche gli esponenti del partito di Conte.
Tra le altre cose, il decreto “Ucraina” (n. 14 del 25 febbraio 2022) ha stabilito che fino al 31 dicembre 2022 il Ministero della Difesa è autorizzato a mandare all’Ucraina mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari «previo atto di indirizzo delle Camere» e in deroga a quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990, che regola le esportazioni di armi dall’Italia. Il 1° marzo 2022, Camera e Senato hanno approvato due risoluzioni a larga maggioranza, con i voti favorevoli anche dei parlamentari del Movimento 5 stelle (a parte alcuni voti contrari, come quello del senatore Vito Petrocelli, poi espulso dal partito un paio di mesi dopo). Le due risoluzioni – entrambe sottoscritte da un deputato e da una senatrice del Movimento 5 stelle – impegnavano il governo ad «assicurare sostegno e solidarietà» all’Ucraina, anche attraverso la «cessione di apparati e strumenti militari» per consentire al Paese invaso dalla Russia di «esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione». Secondo le due risoluzioni, questo doveva avvenire «tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati». Lo stesso decreto “Ucraina” stabiliva che il ministro della Difesa e quello degli Esteri debbano riferire al Parlamento, «con cadenza almeno trimestrale», sull’andamento della guerra, alla luce dell’invio di armi italiane.
C’è stata poi un’altra votazione con cui il Movimento 5 stelle, mostrati i primi dubbi sulla strategia del governo, ha confermato la possibilità di inviare armi all’Ucraina. Il 21 giugno, dopo le comunicazioni dell’allora presidente del Consiglio Draghi in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, in Senato è stata votata una risoluzione, frutto di un compromesso tra i partiti, per coinvolgere di più il Parlamento nella gestione della guerra e sull’invio di armi all’esercito ucraino. La risoluzione, approvata anche con i voti del Movimento 5 stelle, impegnava il governo a «continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari».
Infine, è vero che, a ogni invio di armi, è stato informato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), un organismo composto da senatori e deputati, e presieduto da un membro dell’opposizione, che controllano sull’operato dei servizi segreti italiani. Per esempio, questo è avvenuto anche di recente, il 4 ottobre, in occasione del quinto invio di armi, con l’audizione del precedente ministro della Difesa Lorenzo Guerini (Partito democratico).
Ricordiamo che le liste di armi mandate in Ucraina non sono pubblicamente disponibili: uno dei motivi di questa decisione, secondo il precedente governo, è che in questo modo di non si rischia di avvantaggiare la Russia, dicendole quali nuove armi ha a disposizione l’esercito ucraino.
Questa ricostruzione è parziale e omette il ruolo del Movimento 5 stelle nei provvedimenti per fornire armamenti all’esercito ucraino.
Il «decreto madre» a cui ha fatto riferimento Conte è il decreto “Ucraina”, approvato dal governo Draghi a fine febbraio 2022 e convertito in legge dal Parlamento ad aprile. All’epoca, il governo Draghi era sostenuto dal Movimento 5 stelle e il decreto, come riferiscono fonti stampa, era stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, dove sedevano anche gli esponenti del partito di Conte.
Tra le altre cose, il decreto “Ucraina” (n. 14 del 25 febbraio 2022) ha stabilito che fino al 31 dicembre 2022 il Ministero della Difesa è autorizzato a mandare all’Ucraina mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari «previo atto di indirizzo delle Camere» e in deroga a quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990, che regola le esportazioni di armi dall’Italia. Il 1° marzo 2022, Camera e Senato hanno approvato due risoluzioni a larga maggioranza, con i voti favorevoli anche dei parlamentari del Movimento 5 stelle (a parte alcuni voti contrari, come quello del senatore Vito Petrocelli, poi espulso dal partito un paio di mesi dopo). Le due risoluzioni – entrambe sottoscritte da un deputato e da una senatrice del Movimento 5 stelle – impegnavano il governo ad «assicurare sostegno e solidarietà» all’Ucraina, anche attraverso la «cessione di apparati e strumenti militari» per consentire al Paese invaso dalla Russia di «esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione». Secondo le due risoluzioni, questo doveva avvenire «tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati». Lo stesso decreto “Ucraina” stabiliva che il ministro della Difesa e quello degli Esteri debbano riferire al Parlamento, «con cadenza almeno trimestrale», sull’andamento della guerra, alla luce dell’invio di armi italiane.
C’è stata poi un’altra votazione con cui il Movimento 5 stelle, mostrati i primi dubbi sulla strategia del governo, ha confermato la possibilità di inviare armi all’Ucraina. Il 21 giugno, dopo le comunicazioni dell’allora presidente del Consiglio Draghi in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, in Senato è stata votata una risoluzione, frutto di un compromesso tra i partiti, per coinvolgere di più il Parlamento nella gestione della guerra e sull’invio di armi all’esercito ucraino. La risoluzione, approvata anche con i voti del Movimento 5 stelle, impegnava il governo a «continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari».
Infine, è vero che, a ogni invio di armi, è stato informato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), un organismo composto da senatori e deputati, e presieduto da un membro dell’opposizione, che controllano sull’operato dei servizi segreti italiani. Per esempio, questo è avvenuto anche di recente, il 4 ottobre, in occasione del quinto invio di armi, con l’audizione del precedente ministro della Difesa Lorenzo Guerini (Partito democratico).
Ricordiamo che le liste di armi mandate in Ucraina non sono pubblicamente disponibili: uno dei motivi di questa decisione, secondo il precedente governo, è che in questo modo di non si rischia di avvantaggiare la Russia, dicendole quali nuove armi ha a disposizione l’esercito ucraino.