L’Ue vuole davvero «rovesciare» il governo di Orbán?

Il leghista Grimoldi ha criticato l’annuncio dell’Ue di voler attivare il nuovo meccanismo per la tutela dello stato di diritto. Ecco come funziona e quali conseguenze potrà avere
EPA/OLIVIER HOSLET
EPA/OLIVIER HOSLET
Il 5 aprile il deputato della Lega Paolo Grimoldi ha criticato su Facebook l’Unione europea, colpevole, a detta sua, di aver lanciato «un procedimento punitivo per tentare di rovesciare un premier regolarmente eletto», ossia Viktor Orbán, confermato primo ministro dell’Ungheria alle elezioni del 3 aprile. 

La critica di Grimoldi fa riferimento all’annuncio fatto il 5 aprile da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Quest’ultima presto attiverà il nuovo meccanismo a tutela dello stato di diritto, che potrebbe portare l’Ue a ridurre drasticamente il flusso di soldi versato ogni anno alle casse ungheresi ogni anno. Lo “stato di diritto”, lo ricordiamo, è l’idea che tutti i soggetti, pubblici e privati, di un Paese siano legati al rispetto della legge, sotto la giurisdizione di corti indipendenti, a prescindere della maggioranza politica in carica.

Tra gli altri, la decisione di von der Leyen è stata attaccata anche dal capo di gabinetto del governo Orbán, Gergely Gulyás, secondo cui quello annunciato da von der Leyen sarebbe un tentativo di punire gli elettori ungheresi per il loro voto democraticamente espresso. Ma come stanno davvero le cose? Come funziona il meccanismo punitivo legato alla violazione dello stato di diritto? E perché l’Ue si è mossa subito dopo le elezioni ungheresi? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza.

La nuova potente arma di Bruxelles

Dal 2021 l’Ue si è dotata di un nuovo meccanismo a protezione del proprio bilancio comune, per fronteggiare eventuali violazioni dello stato di diritto che abbiano ripercussioni, o che rischino di avere ripercussioni, sugli interessi finanziari dell’Ue. Le sanzioni possibili – descritte dall’articolo 5 del regolamento che istituisce il meccanismo – sono varie, e possono arrivare alla sospensione dei pagamenti allo Stato da parte dell’Ue.

Il meccanismo è figlio di un compromesso, ma al netto di alcune concessioni ai Paesi che erano inizialmente contrari a questo strumento (Polonia e Ungheria soprattutto), ha una portata rivoluzionaria. In primo luogo, il nuovo strumento punitivo per reprimere le più gravi violazioni dei principi fondanti dell’Ue va a colpire gli interessi economici dei Paesi coinvolti. In secondo luogo, soprattutto, non richiede l’unanimità.

Questo è un deciso passo in avanti rispetto alla situazione precedente, quando le più gravi violazioni potevano essere sanzionate in base all’articolo 7 del Trattato sull’Ue, ma senza dirette ripercussioni economiche. Al massimo veniva infatti solo sospeso il diritto di voto per il Paese sanzionato in seno al Consiglio dell’Ue. Inoltre l’articolo 7 richiede l’unanimità di tutti gli Stati Ue, tranne ovviamente quello sottoposto alla procedura.

Per il meccanismo sullo stato di diritto invece è sufficiente la maggioranza qualificata, ossia serve l’approvazione da parte di almeno il 55 per cento degli Stati Ue (15 su 27), che devono rappresentare almeno il 65 per cento della popolazione Ue. L’Ungheria, che rappresenta poco più del 2 per cento della popolazione Ue, sembra dunque in una posizione estremamente debole, per la prima volta da anni, a fronte delle possibili sanzioni. Non le sarà infatti sufficiente la sponda della Polonia o degli altri Stati del gruppo Visegrad, ossia Repubblica Ceca e Slovacchia, per ottenere i voti necessari a bloccare il meccanismo sanzionatorio. Senza contare che, a causa delle recenti posizioni ammiccanti nei confronti del presidente russo Vladimir Putin e le critiche nei confronti del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Orbán ha spaccato l’asse con la Polonia, rimanendo isolato.

Dunque il meccanismo a tutela dello stato di diritto è una novità significativa e, se attivato, potrebbe teoricamente causare pesanti danni all’economia ungherese. Come avevamo calcolato a fine novembre 2020, i trasferimenti diretti dal bilancio Ue all’Ungheria coprivano il 7 per cento abbondante della spesa pubblica ungherese.

Come funziona la procedura

In base all’articolo 6 del regolamento che ha istituito il meccanismo sullo stato di diritto, la Commissione Ue, se ritiene che ci siano le basi per procedere, avvisa lo Stato ritenuto colpevole, evidenziando le violazioni rilevate. Lo Stato a quel punto deve rispondere con le proprie controargomentazioni, offrendo possibili soluzioni. 

Se la Commissione non è soddisfatta della risposta ricevuta – dopo aver nuovamente informato lo Stato delle sanzioni che intende proporre, in modo che questo possa obiettare sulla loro proporzionalità – avvia la procedura davanti al Consiglio dell’Ue. Quest’ultimo, a quel punto, ha un mese di tempo, salvo casi eccezionali, per accettare la decisione della Commissione, modificarla o respingerla, a maggioranza qualificata. 

L’intera procedura ha una durata di circa sei mesi, a partire da quando la Commissione invia il primo avviso allo Stato.

A che punto siamo con l’Ungheria

Nel caso dell’Ungheria, la procedura non è ancora stata formalmente avviata. La Commissione aveva inviato a novembre 2021 una lettera all’Ungheria per spiegare come i problemi relativi allo stato di diritto creassero un rischio per gli interessi finanziari dell’Ue, chiedendo venissero presi provvedimenti necessari. Una lettera analoga era stata inviata contestualmente anche alla Polonia, che non è stata citata da von der Leyen nel suo discorso del 5 aprile ma che – se non adotterà le misure richieste dall’Ue a tutela dello stato di diritto – potrebbe subire le stesse decisioni annunciate per l’Ungheria. 

Queste lettere sono i primi passi informali che precedono la procedura vera e propria, vista poco fa, che inizia con una notifica ufficiale della Commissione allo Stato membro. Questo è quindi il prossimo passo, che von der Leyen ha annunciato il 5 aprile a proposito dell’Ungheria.

Ma perché, se il meccanismo esiste dal 2021, è stato applicato all’Ungheria solo adesso? Fino a febbraio, mancava il parere della Corte di giustizia dell’Ue – richiesto da Ungheria e Polonia – sulla legittimità del meccanismo. Dopo aver avuto il via libera dai giudici comunitari, la Commissione ha così deciso di aspettare fino a dopo le elezioni. È facile immaginare che l’avvio di questa inedita, e potenzialmente devastante, procedura in campagna elettorale avrebbe sollevato le accuse di ingerenza esterna da parte del partito Orbán.

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