Musk e Zuckerberg possono “lottare” in un sito archeologico? Che cosa dice la legge

Il ministro Sangiuliano ha confermato le trattative per organizzare l’evento in Italia, escludendo Roma. Vediamo in quali casi, e a quale prezzo, l’uso di un bene culturale può essere concesso a cittadini privati
Il teatro antico di Taormina, in Sicilia – ANSA
Il teatro antico di Taormina, in Sicilia – ANSA
Venerdì 11 agosto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha scritto su Twitter di aver avuto una «lunga e amichevole conversazione» con il proprietario del social network Elon Musk per organizzare un «grande evento di evocazione storica» in Italia. Come confermato da Musk, l’evento in questione è l’incontro di lotta – nello specifico di arti marziali miste (Mma, dall’inglese mixed martial arts) che il ceo di Tesla e SpaceX vuole organizzare da tempo contro Mark Zuckerberg, proprietario di Meta, la società di cui fanno parte Facebook, Instagram e Whatsapp. 
A oggi non è chiaro se l’evento si terrà davvero, in quale modalità e dove. Sangiuliano ha solo precisato che l’evento non sarà organizzato a Roma. In un primo momento si era ipotizzato l’uso del Colosseo, ipotesi poi smentita, e nelle scorse ore Pompei e Taormina si sono candidate per ospitare il “combattimento”. Sangiuliano ha comunque aggiunto che «ci sarà una ingente donazione a due importanti ospedali pediatrici italiani per il potenziamento delle strutture e la ricerca scientifica per combattere le malattie». 

Alcuni politici hanno subito criticato l’annuncio del ministro. Secondo il leader di Azione Carlo Calenda, usare i monumenti italiani in questo modo sarebbe «indecoroso e irrispettoso del nostro retaggio». In un’intervista con la Repubblica, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha detto che «non si svende il nostro patrimonio culturale per il vezzo di due miliardari», accusati di non pagare abbastanza tasse in Italia. Una posizione simile è stata presa anche dal vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (Forza Italia).

Al di là delle diverse opinioni sull’evento, che cosa dice la legge sull’uso dei beni culturali per scopi privati? Prima di rispondere a questa domanda, inquadriamo la disciplina che riguarda tali beni per avere più chiari i termini della questione.

I beni culturali in Costituzione

L’articolo 9 della Costituzione stabilisce, al comma 2, che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Questo articolo, che è posto tra i principi fondamentali della Costituzione, stabilisce un legame tra i beni culturali e la Nazione, intesa come l’insieme dei principi democratici a cui essa si ispira e che ne connotano l’essenza.

Dunque, l’oggetto della tutela costituzionale non è soltanto il bene in sé (storico, artistico, paesaggistico), ma l’insieme dei valori positivi di cui esso è portatore, nella propria materialità e accessibilità. In passato la disciplina dei beni culturali era improntata a una connotazione “difensiva”, cioè volta ad assicurarne soltanto la conservazione, l’integrità e la sicurezza. In seguito si è affermata l’idea che i beni culturali non esprimono solo un valore materiale e che, quindi, la loro tutela deve essere connessa funzionalmente a un’attività di promozione finalizzata alla loro fruizione da parte delle persone. Questo proprio per diffondere quei valori fondanti della Nazione che si rinvengono dalla lettura dell’articolo 9 della Costituzione e che sono espressi dai beni culturali. L’uso di quest’ultimi, sulla base di determinate condizioni, può essere concesso a singoli cittadini privati.

L’uso privato dei beni culturali

Il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (decreto legislativo n. 42 del 2004) definisce (art. 2) i beni culturali come «le cose immobili e mobili» che «presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico», insieme alle «altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».

Lo stesso codice prevede alcune ipotesi di utilizzo privato dei beni culturali. L’articolo 106 dispone che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere a singoli richiedenti «l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale» (su questo vincolo di compatibilità torniamo meglio tra poco). Per i beni di sua competenza, il Ministero della Cultura determina un canone che il privato cittadino deve versare nelle casse dello Stato. Per tutti gli altri beni la concessione è autorizzata dello stesso ministero, a due condizioni: che il conferimento «garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene»; e che «sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo». Con l’autorizzazione del ministero possono poi essere dettate prescrizioni per la migliore conservazione del bene.

In base all’articolo 107, il Ministero della Cultura, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire ai privati la «riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna». Le disposizioni dell’articolo 106 si differenziano da quelle dell’articolo 107 per la durata della concessione del bene: nel primo caso l’uso è stabile, nel secondo caso è temporaneo. Visto che l’articolo 107 non specifica altro (“nel silenzio della norma”, come si dice in questi casi), si ritiene applicabile anche al secondo tipo di concessione, quello temporaneo, il vincolo di compatibilità sancito dall’articolo 106.

Il prezziario del ministero

Prima di trattare il tema della compatibilità, va ancora detto che, come anticipato, la concessione dell’uso di un bene culturale a un privato comporta il versamento di un canone allo Stato. Proprio di recente, ad aprile 2023, il Ministero della Cultura ha adottato con un decreto le “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”. Una parte delle linee guida riguarda la riproduzione dei beni culturali italiani, per esempio in stampe o filmati, un’altra riguarda l’uso degli spazi di questi beni. Qui è contenuta la formula che determina quanto un privato deve pagare per avere in concessione un bene culturale dello Stato.

Innanzitutto, a seconda delle dimensioni dello spazio dato in concessione, esiste una tariffa minima e una tariffa massima. Si va per esempio da un minimo di 100 euro per un spazio con una superficie inferiore ai 100 metri quadrati a 3.200 euro per quelli oltre i 1.550 metri quadrati. Questi valori devono poi essere moltiplicati per un coefficiente, a seconda che la classe di pregio dello spazio sia media, alta o eccezionale. Questa classe è determinata su una serie di fattori, come il numero di visitatori o la testimonianza unica di un periodo storico. A sua volta il valore ottenuto deve essere moltiplicato per un altro coefficiente, che cambia in base alla finalità della concessione (spettacoli, concerti, convegni, sfilate di moda e altro). 

Per esempio, spiegano le linee guida, la concessione di uno spazio da 51 a 350 metri quadri, con una classe di pregio media, per una sfilata di moda della durata di cinque giorni costerebbe 60 mila euro. La concessione di uno spazio di dimensioni simili, ma con una classe di pregio alta, per un singolo evento privato con rinfresco costerebbe 7.700 euro. Qui di seguito è mostrata la tabella con i vari coefficienti per gli eventi con finalità lucrative e commerciali, come molto probabilmente sarà quella del combattimento tra Musk e Zuckerberg, visto che lo stesso Musk ha annunciato che l’evento sarà trasmesso in streaming sui social network.
Tabella 1. Coefficiente per finalità d’uso – Fonte: Ministero della Cultura
Tabella 1. Coefficiente per finalità d’uso – Fonte: Ministero della Cultura
Ai canoni per l’uso degli spazi vanno aggiunti quelli relativi alle riproduzioni. «Pertanto – sottolineano le linee guida – la tariffa dovuta costituirà la risultante della tariffa per l’utilizzo degli spazi e di quella per le riprese fotografiche».

La questione della “compatibilità”

Il criterio della compatibilità, come accennato, condiziona la concessione in uso a privati di beni culturali, prevista dai citati articoli 106 e 107. Si tratta, peraltro, di  un principio generale contenuto nel “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. In base all’articolo 20, per esempio, i beni culturali non possono essere adibiti a «usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione». L’articolo 120, ancora, stabilisce che la sponsorizzazione di un bene culturale può essere fatta solo in «forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione».

Ricapitolando, da quanto detto finora, l’uso di un bene culturale da parte di un privato: non deve produrre un impatto sul bene tale da pregiudicarne la conservazione, comportando effetti negativi permanenti; non deve precluderne la pubblica fruizione; non deve esprimere valori incompatibili con la destinazione d’uso e il carattere storico artistico del bene. Mentre il rispetto delle prime due condizioni può essere verificato secondo criteri oggettivi, il rispetto del terzo punto – quello sulla compatibilità – comporta un’inevitabile valutazione discrezionale. 

La domanda da farsi è se e fino a che punto l’uso di un bene culturale, come il sito archeologico di Pompei o il Teatro Greco di Taormina, può essere concesso a privati per scopi almeno apparentemente estranei ai valori storici, artistici, culturali, simbolici e identitari che il bene stesso esprime. Questo vale soprattutto quando la richiesta di uso privato di un bene culturale sia relativa a eventi, come il “combattimento” tra Musk e Zuckerberg, che potrebbero non avere un valore artistico o culturale unanimemente riconosciuto.

Compatibile in che senso?

La compatibilità dev’essere valutata innanzitutto sotto il profilo materiale, ossia dal punto di vista della tutela dell’opera interessata, della sua conservazione e integrità. In altre parole la concessione del bene a privati dev’essere tale da non comportare danni al bene stesso. Ma, come abbiamo visto, considerato che il bene culturale è anche portatore dei valori connessi all’identità della Nazione, il concetto di compatibilità va valutato anche sotto il profilo immateriale, vagliando se un certo uso privato del bene può pregiudicare tali valori.

Sotto questo secondo profilo, il tema è trattato dalle raccomandazioni per la concessione in uso temporaneo degli spazi museali pubblicate dall’International Council of Museums (Icom), una delle principali organizzazioni internazionali che rappresenta i musei nel mondo. Secondo l’Icom, la concessione a pagamento dei beni culturali per eventi privati è sempre più diffusa e «rappresenta spesso una fonte di entrate pressoché irrinunciabile» per molti musei italiani. Le esigenze di conservazione e valorizzazione dei beni culturali non sempre possono essere adeguatamente soddisfatte, dati gli ingenti investimenti richiesti e, al contempo, la carenza di fondi dovuta alla precaria condizione delle finanze statali.

Tra le altre cose l’Icom chiarisce che l’uso del bene culturale non deve lederne «la missione, l’identità e l’immagine», dev’essere in linea con la sua funzione culturale e non deve rispondere «solo a una logica di pura redditività». Inoltre, sottolinea l’organizzazione, «occorre trasmettere ai partecipanti all’evento la consapevolezza del valore e dell’identità del luogo che li ospita» e «non vanno accolte iniziative politicamente connotate».

Di “compatibilità” si parla anche nella cosiddetta “Carta di Burra”, ossia la Carta dell’Consiglio internazionale per i monumenti e i siti (Icomos) Australia, redatta nel 1979 per la conservazione dei luoghi e dei beni patrimonio culturale. Secondo questa carta, l’«uso compatibile» è quello «che rispetta il valore culturale di un luogo», in quanto non ha alcun impatto o lo ha «soltanto minimo sul valore culturale».

Nel 2016 lo stesso Ministero italiano dei Beni culturali ha affrontato la questione nella risposta a un’interrogazione parlamentare su alcune concessioni di beni culturali in uso a privati, avvenuti in alcuni casi anche con limitazioni alla fruizione del bene da parte dei visitatori. Nell’interrogazione si chiedeva se non fosse un errore «avvalorare l’idea che, pagando, si possa disporre dei monumenti pubblici per uso privato, seppure per ricavarne risorse finanziarie che suppliscano alla carenza di quelle pubbliche». 

Nella risposta il ministero chiariva che l’utilizzo degli spazi dei cosiddetti “luoghi della cultura” da parte di singoli richiedenti «è ammesso come forma di fruizione del patrimonio culturale, nonché di valorizzazione in quanto ne favorisce la diffusione della conoscenza». Il riferimento alle finalità compatibili con la destinazione culturale dei beni concessi in uso «non può intendersi come un divieto assoluto di utilizzo degli spazi museali per eventi non aventi carattere culturale quanto, piuttosto, solo come fattore che condiziona la concessione nella durata e nelle modalità di svolgimento degli eventi». 

Dunque, le leggi non vietano di concedere un luogo del patrimonio culturale italiano a Musk e Zuckerberg per organizzare il loro “combattimento”. Ma serve comunque rispondere ad alcune domande sulla base di quanto visto finora. L’evento avrebbe un impatto negativo e permanente sull’integrità del bene culturale che lo ospitasse? L’evento potrebbe incidere negativamente e in modo rilevante anche sui valori immateriali, ossia culturali, estetici e storici, incarnati dal sito archeologico dove sarebbe organizzato? L’evento svilirebbe il patrimonio artistico nazionale e, più in generale, il valore puro dell’arte?  

Le stesse domande dovrebbero farsi per valutare, a fronte di ogni concessione di beni culturali per eventi privati, quali possano ritenersi consentiti e quali no: un concerto di musica classica sì, ma di rock no? E il jazz? La messa in scena di una commedia di Shakespeare sì, ma la rappresentazione di un comico no? 

Per rispondere a queste domande, andrebbero utilizzati criteri quanto più oggettivi, che al momento però non sono disponibili. Sarebbe bene, tuttavia, che tali parametri oggettivi di valutazione fossero indicati dal legislatore, affinché l’utilizzo del patrimonio storico e artistico da parte dei privati sia regolamentato in maniera uniforme e secondo i principi della Costituzione.

Precisiamo, per trasparenza, che Facta.news riceve fondi da Meta all’interno del suo Third Party Fact-checking Program.

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