Le ragioni dei sì e dei no allo ius scholae

Ecco quali sono le posizioni di chi è favorevole e di chi è contrario alla riforma della concessione della cittadinanza italiana, all’esame della Camera
ANSA/Matteo Corner
ANSA/Matteo Corner
In queste settimane la Commissione Affari costituzionali della Camera sta esaminando la proposta di modifica della legge sulla cittadinanza italiana, il cui ottenimento è ancora regolamentato da una legge del 1992. Il punto più discusso del testo in esame riguarda l’introduzione del cosiddetto ius scholae, termine che generalmente fa riferimento al criterio che subordina l’ottenimento della cittadinanza alla frequentazione di un ciclo scolastico nel Paese in cui risiede il richiedente, a prescindere dalla sua età.

Il testo sulla cittadinanza ha diviso la maggioranza che sostiene il governo Draghi: mentre il centrosinistra allargato, dal Partito democratico al Movimento 5 stelle, è generalmente favorevole alle modifiche, così come Forza Italia, la Lega si oppone insieme a Fratelli d’Italia, all’opposizione. 

Ma quali sono le ragioni principali avanzate dai favorevoli e dai contrari? Abbiamo fatto il punto della situazione.

A che punto siamo

Il testo in esame è stato presentato il 3 marzo scorso dal deputato Giuseppe Brescia, del Movimento 5 stelle, ed è il risultato dell’unificazione di cinque proposte di legge sul tema presentate a partire dal 2018. 
Il testo unificato estende (art. 1) la possibilità di ottenere la cittadinanza ai bambini e alle bambine nati in Italia o arrivati nel nostro Paese prima di avere compiuto 12 anni, dopo aver frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni. In questo modo, la proposta introduce di fatto il principio dello ius scholae, oggi assente nell’ordinamento italiano che invece applica quasi esclusivamente lo ius sanguinis, (in italiano “diritto di sangue”), secondo cui un bambino eredita automaticamente la cittadinanza italiana alla nascita se almeno uno dei genitori già la possiede. 

Il 9 marzo la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato la versione unificata dei cinque testi inizialmente considerati (a cui poi ne sono stati aggiunti altri quattro). In quell’occasione, come detto, la maggioranza si è divisa: il centrosinistra allargato, formato da Partito democratico, Italia viva e Movimento 5 stelle, ha votato a favore insieme a Forza Italia, mentre la Lega e Fratelli d’Italia si sono opposti, non riuscendo comunque a bloccare l’approvazione del testo.

Nel corso della seduta successiva, il 4 aprile, Brescia ha riferito che nel frattempo erano stati presentati circa 730 emendamenti al testo, di cui quasi 500 avanzati dalla Lega. Tra questi, alcuni chiedono che la cittadinanza possa essere rilasciata in seguito al superamento di una «prova orale» su «usi e costumi italiani dagli antichi romani ad oggi», oppure sulle «sagre tipiche italiane» o le «festività nelle diverse regioni». Altri invece propongono che la cittadinanza sia richiedibile soltanto dagli studenti che abbiano ottenuto almeno 90 punti su 100 – o 80 su 100 secondo un’altra versione dell’emendamento – all’esame di maturità, oppure che i richiedenti abbiano almeno la media dell’8 o del 9 alle scuole medie e superiori. 

In ogni caso, il percorso della legge è ancora lungo: il testo, e i vari emendamenti, dovranno essere approvati dalla Commissione Affari costituzionali alla Camera, poi dall’aula e quindi passare all’esame del Senato.

Le ragioni dei contrari

I partiti maggiormente contrari alla riforma della legga sulla cittadinanza sono la Lega di Matteo Salvini, che fa parte della maggioranza che sostiene il governo Draghi, e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, all’opposizione. 

Tra le varie tesi portate a favore del “no” allo ius scholae, questi partiti sostengono, per esempio, che al momento un cambiamento nelle leggi sulla cittadinanza non è la priorità per il governo italiano, che dovrebbe invece pensare alla guerra in Ucraina e studiare misure per sostenere le famiglie messe in difficoltà dall’aumento dei prezzi della benzina o dalle bollette. L’11 marzo, per esempio, Giorgia Meloni ha scritto su Twitter che «famiglie e imprese italiane arrancano» a causa della pandemia e della guerra, mentre il Pd continua «a parlare di cittadinanza agli immigrati». Questa argomentazione è stata sostenuta anche dal senatore Maurizio Gasparri, di Forza Italia, partito che comunque ha votato a favore del testo in Commissione Affari costituzionali alla Camera. 

Chi si oppone allo ius scholae ripete spesso che la riforma introdurrebbe criteri troppo generosi per la concessione della cittadinanza, arrivando di fatto a “regalarla”. In una diretta Facebook del 9 marzo, per esempio, la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli ha detto che la proposta andrebbe bocciata perché permetterebbe a chiunque abbia frequentato almeno cinque anni di scuola in Italia di ottenere la cittadinanza, pur senza aver necessariamente concluso il ciclo di studi e «senza verificare l’apprendimento della lingua italiana». 

Effettivamente il testo unificato approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera non fa riferimento al superamento o alla conclusione di un ciclo di studi, e pone come requisito l’aver «frequentato regolarmente» una scuola per almeno cinque anni. Diversi emendamenti presentati sono concentrati proprio su questo punto, cercando di inserire requisiti più stringenti legati al rendimento scolastico. 

Il deputato leghista Rossano Sasso ha invece criticato la proposta affermando che già oggi nel nostro Paese i minori stranieri godono delle stesse tutele di quelli italiani, pur senza essere formalmente cittadini. È sostanzialmente vero, anche se ricordiamo che per alcune questioni specifiche possono esserci alcune disparità di trattamento tra minori italiani e stranieri.

In passato alcuni esponenti del centrodestra, tra cui Salvini, hanno inoltre più volte ripetuto che già oggi l’Italia è tra i Paesi europei che concedono più cittadinanze, sostenendo che quindi non c’è bisogno di modificare le norme. È vero che tra il 2015 e il 2017 l’Italia è stato il Paese europeo ad avere concesso il maggior numero di cittadinanze, scendendo poi al terzo posto negli anni successivi e ritornando prima nel 2020, ma questa tendenza non è dovuta tanto alla “generosità” del sistema vigente, quanto al fatto che negli ultimi anni molte persone arrivate a partire dagli anni Novanta hanno effettivamente maturato i requisiti necessari per ottenere la cittadinanza italiana.

Le ragioni dei favorevoli

I partiti di centrosinistra, in particolare il Partito democratico, sono invece favorevoli a un cambiamento nelle procedure per concessione della cittadinanza. Il 9 marzo, per esempio, il segretario del Pd Enrico Letta ha commentato positivamente l’approvazione del testo unificato in Commissione Affari costituzionali della Camera, affermando che il partito procede «con determinazione» verso l’approvazione definitiva.

Pochi giorni prima, il 3 marzo, dopo aver presentato il testo unificato il relatore Giuseppe Brescia (M5s) ha detto che «le norme attuali risalgono al 1992», quindi a trent’anni fa, ed è quindi ora di «prendere atto delle profonde trasformazioni della società». Questa argomentazione è utilizzata anche dagli attivisti che chiedono una riforma della norma, riuniti nella campagna “Dalla parte giusta della storia”. Secondo i dati del Miur, nell’anno scolastico 2019/2020 più del 65 per cento degli studenti stranieri, in tutti i livelli di istruzione, erano nati in Italia, ma questi al momento devono aspettare comunque il raggiungimento dei 18 anni per richiedere la cittadinanza. 

Da Italia viva, il deputato Marco di Maio ha commentato favorevolmente il testo unificato di Brescia e il fatto che questo metta al centro la scuola, che è il «vero motore dell’integrazione» e la «base fondamentale per la costruzione di un’identità collettiva condivisa».

Più sfumata è invece la posizione di Forza Italia. Il partito infatti ha votato a favore del testo di Brescia, ma alcuni esponenti hanno poi detto che questa non deve prevedere «automatismi» per concedere la cittadinanza e che sono necessarie «alcune modifiche imprescindibili».  

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