Ci sono 40 mila nuovi irregolari che non lavorano e vanno espulsi?

Ansa
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Il 30 maggio, ospite a Piazza Pulita su La7, l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri ha fornito (min. 01:27:45) alcune cifre sull’immigrazione.

Secondo Boeri, da giugno 2018 a oggi «abbiamo rifiutato la protezione internazionale a 45 mila persone. Di queste 45 mila, solo 5 mila sono stati rimpatriate. Ci siamo condannati a tenere da noi 40 mila persone che non possono lavorare e contribuire allo stato sociale».

Questi numeri sono corretti? Che cosa succede ai migranti a cui è stata rifiutata una qualche forma di protezione? Possono o non possono lavorare legalmente? Abbiamo verificato.

I numeri sulle protezioni internazionali e sui rimpatri

Secondo le nostre elaborazioni dei dati del Ministero dell’Interno (qui consultabili), da giugno 2018 – mese di insediamento del nuovo governo – a febbraio 2019 (ultimo dato disponibile) sono state negate 45.283 richieste di protezione e sono stati approvati 17.890 permessi tra protezione umanitaria [1], protezione sussidiaria e concessione dello status di rifugiato.

Per i rimpatri, le statistiche ufficiali sono più complicate da reperire. Abbiamo contattato il ministero dell’Interno per avere i numeri più aggiornati, ma siamo ancora in attesa di risposta.

Secondo i dati più recenti forniti dal Viminale, da giugno 2018 al 31 gennaio 2019 i rimpatri effettuati verso i Paesi di origine sono stati 4.296. Secondo fonti stampa, invece, da inizio anno ad aprile 2019 sono stati 2.143.

In totale, i rimpatri sono stati circa un migliaio in più rispetto a quanto detto da Boeri, sebbene i dati si riferiscano a un periodo di tempo più lungo di quello sui dati sulle domande di asilo [2].

Che cosa succede a chi riceve un diniego?

Nel 2017, il decreto Minniti-Orlando ha modificato le norme che determinano cosa accade a chi riceve un diniego per la protezione internazionale.

Il decreto legislativo 25/2008 (art. 35) stabiliva infatti che in caso di diniego da parte della Commissione territoriale, il richiedente asilo aveva 30 giorni di tempo per presentare ricorso presso il tribunale competente (15 giorni per chi era detenuto nei Centri di identificazione ed espulsione). Lo stesso decreto stabiliva che, in caso di ulteriore esito negativo, il migrante poteva fare ricorso sia alla Corte d’appello competente sia alla Corte di Cassazione.

Il decreto Minniti-Orlando ha però eliminato la possibilità di fare ricorso presso la Corte d’Appello. Nel caso in cui il Tribunale confermi la decisione della Commissione territoriale, il migrante può fare ricorso solamente in Cassazione.

Il migrante può dunque chiedere una sospensione del provvedimento di espulsione che segue al diniego, salvo casi eccezionali. La sospensione si applica per tutto il periodo del ricorso.

In questo caso, grazie a un permesso di soggiorno temporaneo, il migrante che vede inizialmente negata la sua richiesta di protezione internazionale può continuare a soggiornare legalmente nel nostro Paese fino a un massimo di 10 mesi. Ciò è dovuto al fatto che il Tribunale ha fino a quattro mesi di tempo per esprimersi sul ricorso, mentre la Cassazione ha fino a sei mesi.

È difficile stimare quanti ricorsi vengono però presentati ogni anno, ma come abbiamo spiegato in una precedente analisi è probabile che molte delle persone che ricevono un diniego facciano ricorso.

Questa statistica sembra essere inoltre in aumento negli ultimi anni. Nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario 2019, il primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Mammone ha infatti dichiarato che i ricorsi presso la Corte inerenti alla protezione internazionale sono aumentati del 550 per cento rispetto al 2016.

Questi migranti possono lavorare?

Il cosiddetto “decreto accoglienza” del 2015 (dl. 142/2015), invece, ha concesso ai migranti la possibilità di lavorare, fintanto che le autorità competenti non si siano espresse definitivamente sulla loro richiesta di protezione.

Boeri quindi sbaglia: nulla vieta ai migranti di poter lavorare regolarmente anche dopo che la Commissione territoriale ha rifiutato la loro domanda di protezione e nell’attesa che il caso sia esaminato di nuovo dai tribunali.

Come ha confermato a Pagella Politica Livio Neri, avvocato socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), solamente una volta che tutti i ricorsi si saranno esauriti e il provvedimento di espulsione sarà diventato effettivo, il migrante non potrà più lavorare in maniera legale nel nostro Paese.

Quanti sono gli immigrati irregolari in Italia?

Data la difficoltà di attuare i rimpatri, è possibile che una parte dei 45 mila individui a cui sarà negata definitivamente la richiesta d’asilo finiranno per ingrossare le fila degli immigrati irregolari presenti nel nostro Paese. La questione si lega quindi a quella più ampia delle stime del numero di migranti che, pur avendo ricevuto un provvedimento di espulsione, soggiornano da anni sul suolo italiano. Un numero che è sempre molto difficile da precisare.

Il 24° Rapporto sulle migrazioni della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) ha stimato in 533 mila il numero di migranti irregolari presenti nel territorio italiano al 1° gennaio 2018. Una cifra in aumento dell’8,6 per cento rispetto al 2017.

Come si può vedere dal grafico elaborato dalla stessa Fondazione Ismu, il numero di immigrati irregolari è cresciuto di circa il 55 percento dal 2012, riavvicinandosi ai livelli del 2008 (Grafico 1).
Grafico 1. Stima del numero di irregolari in Italia dal 2009 – Fonte: Ismu
Grafico 1. Stima del numero di irregolari in Italia dal 2009 – Fonte: Ismu
A detta di altri studiosi, il dato del 2018 è destinato a salire ulteriormente nei prossimi anni. Secondo Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), i provvedimenti approvati da questo governo porteranno a un continuo incremento degli irregolari presenti in Italia. L’Ispi stima infatti che il numero di migranti senza permesso aumenterà di circa 138 mila unità entro il dicembre 2020.

In conclusione

L’ex presidente dell’Inps Tito Boeri ha dichiarato che da giugno 2018 ci sono in Italia 40 mila migranti che, vedendosi rifiutata la richiesta di protezione, soggiornano nel Paese senza poter lavorare e senza essere stati rimpatriati. La causa di tutto ciò sarebbe da ricercare nella sproporzione che esiste tra il numero delle richieste negate e il numero dei rimpatri.

I dati citati dall’economista sono sostanzialmente corretti. Dal giugno 2018 al febbraio 2019 sono state rifiutate 45.238 richieste di protezione umanitaria. Il numero di rimpatri si aggira invece intorno alle 6mila unità (periodo giugno 2018–aprile 2019) secondo quanto si può ricostruire da fonti di stampa.

Per quanto riguarda la possibilità di lavorare, Boeri è impreciso. Sebbene per un periodo che può arrivare al massimo soltanto a dieci mesi, i migranti che hanno ricevuto esito negativo alla loro domanda di protezione da parte della Commissione territoriale possono lavorare legalmente.

Dato il basso numero di rimpatri e l’altro numero di immigrati irregolari, è però probabile che una parte dei 45 mila migranti citati permarrà illegalmente in Italia senza poter lavorare e contribuire allo stato sociale.



[1] Richieste fatte prima del 5 ottobre 2018, giorno di entrata in vigore del decreto sicurezza (dl. 113/2018) che ha rivisto i criteri di concessione della protezione umanitaria.

[2] I 5 mila rimpatri citati non si riferiscono ai 45 mila richiedenti a cui non è stato concesso l’asilo, dato che questi soggiorneranno ancora in Italia per alcuni mesi per presentare ricorso contro la decisione negativa.

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